Cradle Rockers #11: mi telefona un’amica carissima

Mi telefona un’amica carissima “Mi sposo! Vieni?”
Carissima …quanto lontani
ssima: letteralmente ‘in Cuneo al mondo!’
“In qualche modo ce la farò!” Lo affermo e lo penso seriamente. L’idea iniziale era di portarci dietro La Terribile e Lo Strillofono, insieme a tutto il necessario per la loro – e nostra – sopravvivenza: molti pannolini, molti cambi vestiti, pappette, latte in polvere, biberon, bavaglini, ciucci, il lettino da campeggio con lenzuola, Ruben e Martino (i pelouches della nanna assolutamente indispensabili, rispettivamente di Amelia e Anita), il passeggino…
Andare via per un giorno o per una settimana non cambia granchè. La macchina si riempie ogni volta come fossimo zingari in trasferta, e Tesorini organizza l’incastro esatto delle carabattole da inserire nel bagagliaio come fosse una delicatissima operazione chirurgica. Tutto in ermetico silenzio di concentrazione.
Il problema maggiore è emerso scervellandosi sul regalo da fare ai futuri sposi. Cosa regalare a due che lavorano nel proprio enorme magazzino di articoli per la casa (dalle posate alla biancheria da letto, dalle tende agli accessori da bagno) e che non possono fare un viaggio per motivi familiari? Avendo un giardino, e molti animali (tra cui un gigantesco cavallo nero con le zampe pelose) la mia amica Francesca mi consiglia “che ne dici di un albero?” Bella l’idea! Ma mica potevo arrivare al matrimonio con un bonsai… Mi informo e scopro che l’albero più antico del mondo è una quercia (ben 13.000 anni!!) e compro una bella quercia.
Già grandina.
In vaso.
Metterla in macchina non è stato semplice. Dove avrei infilato tutto il resto? Lo Strillofono avrebbe viaggiato nel fogliame con la linguetta fuori, e La Terribile avrebbe cercato sicuramente di strapparne un ramo, o, come dice lei, “uno steckele”. E nemmeno consultando un oracolo Tesorini avrebbe trovato l’incastro giusto per mettere 2 bambine e un albero in pochi metri cubi senza creare danni collaterali.
Insomma, abbiamo lasciato le piccolette ai nonni. Per due notti.
Il viaggio, giungla permettendo, è andato benissimo: nessuno che vomita, nessuno che piange, nessuna sigla dei cartoni animati. Arriviamo a destinazione, festeggiamo il matrimonio, mangiamo, beviamo (poco, la jella mi ha punito con un severissimo raffreddore!).
Solo che.
Ecco.
Ci sentivamo strani.
Liberi, ma infelici.
Vuoti.
I figli riempiono le giornate, ogni minuto, ogni pensiero, ogni idea, ogni progetto. Tutto lo spazio disponibile ha comunque a che fare anche con la loro esistenza. Incredibilmente, in questi quasi 3 anni di “nuova vita familiare”, ci siamo abituati a loro senza accorgercene, abbiamo modificato le nostre abitudini come fosse una forzatura, continuando, forse per inerzia, a lamentarci ripetendo “è dura, è difficile, essere genitori è stancante, i bambini ti fanno impazzire eccetera” e adesso, invece, ci mancavano!
Mi viene in mente una bellissima similitudine scritta da Tagore, il grande poeta bengalese. Una sera è a bordo della sua casa galleggiante sul Gange e legge un libro al lume di candela. Ad un certo punto il vento spegne la fiamma della candela e la stanza è invasa dalla luce della luna. Tagore scrive: “La bellezza era tutta intorno a me, ma il lume di una candela ci separava. Quella piccola luce impediva alla bella, grande luce della luna di raggiungermi.”