Music
July 13, 2012
Klaus, “lo psicologo dei chitarristi”. Un’eccellenza altoatesina
Marco Bassetti
In una viuzza che s’inerpica su per Aslago si trova un piccolo-grande laboratorio delle meraviglie. Da cui entrano meraviglie grezze, legni pregiati che profumano delle diverse zone del mondo da cui provengono, ed escono meraviglie finite. Chitarre, acustiche ed elettriche, fatte ad immagine e somiglianza del committente. Tra morsetti, cavalletti, pialle della grandezza di un mignolo e trucioli di dimensione direttamente proporzionale, raspe, macchinari di precisione e lunghissimi rotoli di carta vetrata, si muove Klaus. Rapido e preciso. Un lavoro di pazienza e sudore, quello del liutaio. Un mestiere artigianale fatto di calma e attenzione certosina, un mestiere che sa di altri tempi. Fatto sta che la liuteria Thomas Guitars, è una delle eccellenze dell’Alto Adige di oggi, conosciuta ed affermata a livello internazionale. Tomas Elofsson degli Hypocracy, per dire, non risparmia aggettivi parlando della sua chitarra firmata Thomas Guitars: “È a dir poco mostruosa. Non ho mai avuto una chitarra così dannatamente perfetta per le mie esigenze!”. Dal death metal al jazz manouche le Thomas Guitars sono costruite per adattarsi perfettamente alle diverse esigenze, assecondando i gusti, gli stili e le manie di ciascun chitarrista. È questione di ascolto e di psicologia. Ne abbiamo parlato con Klaus, originario di Monaco di Baviera, uno dei due soci della liuteria.
Da dove nasce la tua professione di liutaio?
Stavo studiando per diventare tecnico del legno alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Rosenheim e lì ho deciso di specializzarmi sulla costruzione di chitarre, piuttosto che di case. Ho frequentato il corso “Historical and physical development of music instruments” che mi ha aperto gli occhi. Così mi sono iscritto alla Scuola di liuteria a Mittenwald e mi sono concentrato esclusivamente sulla costruzione di chitarre.
Come sei arrivato poi a Bolzano?
Ho conosciuto Thomas alla Scuola di liuteria e siamo rimasti in contatto fino a quando abbiamo deciso di aprire uno shop. Questo avveniva due anni fa. Siamo soddisfatti della scelta perché c’è molto lavoro e tutti i nostri clienti sono sempre molto soddisfatti. Clienti dall’Alto Adige, da Modena, da Monaco, dalla Svezia…
So che con Manuel Randi avete un rapporto speciale?
Manuel è un amico. È alla ricerca dello strumento perfetto, non è mai soddisfatto, è molto pignolo… Ha più di trenta chitarre, alcune sono fatte da noi. Spesso gli chiediamo un parere sulle chitarre che stiamo costruendo perché lui è in grado di dire esattamente quello che manca, sente quello che altri musicisti non sono in grado di sentire. È come Michael Schumacher, ci permette di arrivare all’assetto ottimale. Ci offre sempre nuovi spunti, ci dà la possibilità di sviluppare nuove soluzioni. Collaboriamo anche con altri grandi chitarristi come Chris Kaufmann della Scuola GuitArt.
Ma lo strumento, oltre a suonare, deve essere anche bello…
Le richieste da parte dei musicisti sono tantissime. La colorazione, ad esempio, è un campo molto interessante. Tanti richiedono la classica verniciatura bianca, oppure nera. Altri cercano effetti ricercati e allora per noi diventa un gioco. Ci piace sperimentare cose nuove.
Come avviene la commissione? Il cliente arriva con le idee chiare?
L’idea viene sviluppata insieme. Di solito il cliente ci dice il suono che vuole ottenere e il tipo di musica che fa. Poi lo osservo mentre suona e capisco in che direzione bisogna andare. Ha la mano pesante, impugna la chitarra in una certa maniera… Così, un po’ alla volta, viene definito il concetto.
C’è infatti chi ti definisce lo “psicologo dei chitarristi”…
(ride) Un po’ è vero. Spesso mi è sufficiente ascoltare un chitarrista mentre suona per capire dove vuole arrivare e che tipo di suono cerca. Io poi cerco di adattare lo strumento alle sue particolari esigenze, alle sue caratteristiche, di costruirglielo su misura.
Sulla definizione del suono che cosa influisce?
Il suono dipende prima di tutto dalla scelta del legno. Se si vuole un suono caldo si può decidere di usare il mogano, se si vuole un suono più brillante si può scegliere l’acero. Ad esempio abbiamo realizzato una Telecaster seguendo un concetto originale. Di solito è fatta in frassino o in ontano per avere un suono squillante e molto attacco, ma per un cliente che suonava rock abbiamo fatto il body in mogano e il manico in acero, come una Les Paul, però con la tastiera in ebano. L’ebano è molto asciutto e dà un suono molto secco, però con il body in mogano abbiamo raggiunto una fusion molto interessante: corpo del tono melodioso e attacco molto forte. Poi la posizione del pick-up ha una grande importanza, il tipo di ponte, il materiale del capotasto… osso, avorio di mammuth o Tusc, un tipo di avorio sintetico. Sono tutte scelte che, componendosi insieme, vanno a definire la natura del suono che poi lo strumento produrrà.
Mi sembra di capire che ci sia tanto, tanto studio dietro alla costruzione di una chitarra…
È questo il bello di questo lavoro, che non finisce mail. C’è sempre qualcosa da cambiare, da migliorare, qualche nuovo progetto da sviluppare. La musica stessa cambia, adesso si fanno generi di musica che tempo fa nemmeno esistevano, ci sono nuove esigenze, nuovi suoni… e quindi ci dovranno essere nuove chitarre adatte a produrli.
Tanto studio, ma anche tanto lavoro. Quante ore per produrre una chitarra dalla a alla zeta?
In tutto, diciamo per una chitarra acustica, 100 ore. Dalla progettazione al computer, alla realizzazione della prima forma tramite un macchinario alla fase di realizzazione vera a propria che avviene completamente a mano, fino alla verniciatura… Per un’elettrica la prima fase di progettazione al computer richiede più tempo.
Mi hanno detto che, facendo questo mestiere, hai avuto modo di lavorare per grandi artisti?
Sì, quando lavoravo a Verona ho ho avuto modo di incontrare Dodi Battaglia, Bobby Solo, il chitarrista di Ligabue Federico Poggipollini, Darryl Jones, bassista che ha suonato con Miles Davis e i Rolling Stones. Con lui abbiamo mangiato pasta e fagioli… Un mito! Quando ho fatto l’assetto per Bobby Solo, lui poi ha iniziato a cantare in tedesco. “Ma tu sai il tedesco?” gli ho chiesto. “No, però vent’anni fa ho fatto due canzoni in tedesco e mi piacerebbe rifarlo. Potresti aiutarmi tu a tradurre dei testi?”. Due giorni dopo è venuto col disco, giuro! “Se riesci, fammi le traduzioni di questi pezzi”. Poi due mesi dopo sono partito e, purtroppo, non se ne è fatto più niente.
foto di Claudio Martella
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