Aldo Grasso e la televisione da salvare (che non è quella che probabilmente pensate)

Aldo Grasso e la televisione da salvare (che non è quella che probabilmente pensate)
Io che per lavoro mi occupo di cultura, e divido il mio tempo (anche privato) tra vernissage e spettacoli teatrali, tra film d’essai e reading letterari, ho sempre avuto un certo imbarazzo, nei cosiddetti “circuiti intellettuali” in cui spesso – ahimè – mi capita di gravitare, ad ammettere il mio amore spassionato per la televisione (a volte, devo ammettere l’ho fatto, ma per puro spirito di contraddizione, per dimostrarmi “diversa”, ma non ha funzionato molto bene). E non è che io, televisivamente parlando, ami proprio le cose più “impegnate”, come i talk politici, le trasmissioni d’indagine, l’informazione o anche (ma questo non mi è dispiaciuto) i format “in stile Saviano”. A me sono sempre piaciuti i serial americani (anche quando erano le buone vecchie sit com), sono cresciuta con Bim Bum Bam prima e con Non è la Rai poi, mi appassionano i Talent Show, per anni ho seguito assiduamente Beatiful (e ammetto, anche un po’ di Centovetrine, ma era la beata post-adolescenza) e ho creato veri e propri gruppi d’ascolto per le prime volte di quasi tutti i reality (il primo Grande Fratello, la prima Isola dei Famosi ecc). Insomma, non propiamente un palinsesto televisivo da intellettuale (anche se mai ho guardato Chi l’ha visto, Domenica In, C’è Posta per te o Forum), ma ognuno ha le sue debolezze, e il piccolo schermo, è una (non l’unica, evidentemente) delle mie.
Ieri sera però, Aldo Grasso, il più noto critico televisivo italiano ospite della Libera Università di Bolzano per un interessante conferenza, mi ha rincuorata e riconfortata, e ora potrò – forse – ammettere a cuor leggero, durante la prossima conversazione “intellectual chic” che a me Master Chef piace proprio un sacco.
Grasso, oltre che per le poche battute “rubate” nel breve video che vedete, ha infatti tenuto una breve ma efficace lezione di storia della televisione e della critica televisiva, partendo da un confronto tra due modelli televisivi storici ed emblematici, che in qualche modo ribaltano completamente le visioni intellettuali e snob di chi, con perverso piacere, parla male della televisione, pensando così di porre se stesso su un piedistallo, rispetto alla “massa”. I due modelli riportati da Grasso, sono da un lato il compianto Mike Bongiorno, che con il suo Lascia o Raddoppia, è entrato nelle case di tutti gli italiani, e riuscendo a fermare per una sera a settimana il paese intero. L’altro modello è quello di Alberto Manzi e della sua ormai lontana trasmissione Non è mai troppo tardi, che con finalità educative cercava di combattere l’analfabetismo dilagante nell’Italia dell’epoca. Inutile dire chi ha vinto la battaglia, si direbbe oggi, dello share. E, dice Grasso, le cose e i modelli oggi, non sono poi molto cambiati. Dunque, da un lato la televisione “volgare” (intesa come, per il volgo), un semplice quiz, che ha però una capacità di penetrazione tale, da riuscire a educare, in qualche modo, davvero la popolazione (tutta l’Italia di allora, parlava l’italiano di Mike). Dall’altro invece, una televisione seria e impegnata, dai buoni propositi alti e importanti, che però non fa audience, e dunque, inevitabilmente non funziona e non raggiunge lo scopo. Mike (come direbbe Simona Ventura) arriva alle persone, Manzi, povero lui, no. Nella “battaglia” Mike–Manzi, uno schacciante 1-0. È la dura legge della televisione, inutile fare gli snob, inutile incaponirsi e salire su fragili piedistalli. Questa è la realtà, meglio farci i conti e adeguarsi (anche perché, ricorda Grasso, inutile usare in televisione un linguaggio altro, per esempio quello scolastico di Manzi, la televisione è un linguaggio a sé in cui bisogna entrare con i suoi mezzi e le sue regole, altrimenti, come Manzi si perde).
Ma che fare, dunque, per adeguarsi, senza però scendere al compromesso dell’abbassamento drammatico della qualità (e qui, sarebbero da aprire lunghe – ma interessanti – parentesi che non aprirò, sulla questione televisione pubblica vs televisione commerciale vs pay tv)? La soluzione, l’hanno trovata, fenomeno noto ormai a tutti, le serie americane, secondo Grasso, uno dei più alti esempi di televisione di oggi, per la loro complessità linguistica, capace di raccontare a volte anche meglio di un libro o di un film, la realtà in cui viviamo.
Altro interessante (e provocatorio) esempio di alta televisione e cultura sul piccolo schermo riportato dal critico, è quello di Fiorello. Lo show man è infatti, per Grasso, uno dei pochi capaci di pensare e realizzare programmi da prima serata, capaci di proporre piani di lettura differenziati, che vanno cioè bene per tutti, dal livello più “basso” dell’audience, fino a quello più “alto”, scolarizzato, esigente. Io, devo dire, mi trovo decisamente d’accordo con questa posizione (non con quella su Daverio del video, ma non si può essere d’accordo su tutto, nemmeno con un grande come Aldo Grasso). Perché è vero che pochi come l’ex codino della tv, sono stati in grado di mettere tutti d’accordo, dalla massaia che stira mentre guarda lo schermo, fino al più difficile degli intellettuali (che, se non altro, con Fiorello se la ride di gusto, per un momento di svago che va concesso a tutti, anche ai più alti pensatori).
Insomma, Grasso è riuscito in poche ore, a sfatare molti miti falsamente intellettuali, a far un po’ tremare quelli che speravano di sentirsi dire che la nostra televisione fa schifo tutta e che nella diatriba Mike-Manzi si aspettavano di vedere su podio dei vincitori (o dei santi) il buon maestro ormai dimenticato dai più. Una bella lezione (molto più complessa e articolata di quanto io abbia riportato) per tutti, che forse stasera, ci permetterà di prendere in mano il telecomando senza inutili sensi di colpa, senza controllare se qualcuno ci sta guardando mentre ci attardiamo su X Factor o su Dr House invece che girare su Ballarò, senza sentirci stupidamente stupidi se un po’ ci manca Mike Bongiorno e la sua dirompente “Allegria”.