Music
April 19, 2012
Concerto “primaverile” della Haydn con il fagotto di Flavio Baruzzi
Emanuele Zottino
Un concerto molto “primaverile” al limite del frivolo, con un programma tutto leggero, a parte qualche intemperia nordico-romantica nel secondo tempo. Questo il risultato in soldoni dell’atmosfera che ha regnato allo scorso appuntamento con l’Orchestra Haydn, martedì 17 aprile presso l’Auditorium di via Dante a Bolzano.
Protagonista della serata il direttore José Serebrier, che ha guidato la compagine in modo non sempre coerente, alternando momenti riuscitissimi di impatto sonoro ad altri di sfibramento del tessuto. Ha aperto il programma Camille Saint-Saëns con il Baccanale dall’opera lirica Samson et Dalila, una sorta di rito orgiastico convulso e senza forma, rapsodico, quasi volgare. L’esecuzione del direttore e della Haydn ha comunque saputo abilmente interagire con questa sorta di clima impazzito che sbilanciava continuamente l’ascolto e lasciava gli spettatori sbigottiti. Questo perché non è mancata l’energia e anche l’ironia con cui i musicisti hanno speziato un lavoro sfilacciato e, potremmo dire, dal carattere circense. Insomma hanno reso lo smarrimento con brillantezza, non nascondendo l’aspetto anche grottesco.
Più raffinato, ma sempre delicato e leggero, il carattere del secondo brano, il Concerto per fagotto e orchestra in fa maggiore, op. 75 di Carl Maria von Weber interpretato dal primo fagotto dell’Orchestra Haydn Flavio Baruzzi. Un’esecuzione impeccabile, che ha reso il pezzo elegante. Con grande senso di misura, Baruzzi si è mosso tra le limitate potenzialità dello strumento, mostrando voglia di melodia nelle parti più cantabili e scioltezza nei passaggi virtuosistici. Delude invece la scelta del bis, Libertango di Astor Piazzolla, eseguito con altri due fagottisti. Delude perché da uno strumento così poco usato in ambito solistico, desideravamo ascoltare qualcosa di più particolare. I pezzi così consumati, che si sentono al supermercato e in tv nelle pubblicità, hanno il difetto di aver logorato l’interesse, di aver appunto consumato le aspettative.
Nel secondo tempo viene eseguita la prima Sinfonia del compositore finlandese Jean Sibelius, un pezzo di fine Ottocento a metà tra Tchaikovsky e qualcosa di tipicamente nordico. Per quel che riguarda l’architettura della sinfonia, José Serebrier ne mette in luce più il carattere di discontinuità che quello della coerenza. I salti, i cambi, i passaggi sono gestiti in modo brusco e con tagli netti, a volte non perfettamente riusciti. Merita citare il finale, con un pedale ostinato dei violini nel registro acuto che ha evocato addirittura Mahler, reso egregiamente dall’orchestra e dal direttore. Si tratta in realtà di un passaggio che porterà al vero finale della sinfonia, ma che abbiamo percepito come apice drammatico e come sfogo di tutto il percorso.
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