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April 2, 2012
People I know. “Mimmo” Marcassoli: il Festival Studentesco di ieri e di oggi
Anna Quinz
Classe 1948, laureato in giurisprudenza, latinista convinto (e si chiede “perché non lo rimettono alle medie?”) Giuseppe “Mimmo” Marcassoli fa un mestiere serio (si occupa di marketing), ma in realtà è molto conosciuto a Bolzano – da giovani di tante generazioni – soprattutto per il fatto che è una delle anime storiche del Festival Studentesco (dove si occupa della tecnica), la kermesse che mette in competizione tra loro, in moltissime discipline, le scuole superiori della Provincia. Mimmo, nonostante la sua inconfondibile chioma bianca, sembra non invecchiare mai, sia nell’aspetto che nelle azioni. Si definisce creativo, come tutti i nati sotto il segno del Cancro e decisamente disordinato, come tutti i creativi (ma nel suo disordine trova tutto e poi “se qualcuno mette ordine, sono fregato”). Va pazzo, come Oscar Wilde, per le cose immorali, illegali e che fanno male alla salute e lo divertono le persone con humor inglese (forse sempre Oscar Wilde?) mentre detesta i pedanti e quelli che “non ci sono più le stagioni di una volta”. Pensa poco al passato e preferisce parlare di futuro. Come spesso succede a chi, frequentando molto i giovani, rimane sempre, profondamente, giovane.
Parliamo del Festival Studentesco. Come partecipante, poi come organizzatore. Tappe, emozioni, ricordi, aneddoti.
Era il 1967, anno non facile a causa del ribollire studentesco. Qualcuno voleva cambiare il mondo, io mi sarei accontentato di molto meno. Assieme ad alcuni compagni di classe, prendo decisamente in mano la situazione del Festival, e ci presentiamo al cinema-teatro Corso (a proposito chi è il cretino che l’ha tirato giù?) con le carte in regola. Presentiamo una band, un improbabile “Bilinguino d’oro”, nel quale in italo-tedesco e in perfetto stile “Gufi” ci lamentiamo molto della condizione giovanile del tempo (ma va?), e il celeberrimo sketch “l’automobile”. Sull’onda del successo ci chiamano a riproporre la scenetta: siamo a Merano in un teatro parrocchiale. Il prete ci mette a disposizione una sala per prepararci. Salta fuori una bottiglia di vino che passa di mano in mano fino a che qualcuno si decide a stapparla: era Lambrusco che, dopo il trattamento, si è trasformato in un devastante idrante. Morale: abbiamo affrescato le pareti, scappando come ladri appena finita l’esibizione.
Cosa insegna ai ragazzi che partecipano il Festival, e cosa loro insegnano a lei, di anno in anno?
L’operazione più complicata è quella di tranquillizzarli prima che entrino in scena: dalla loro memoria sparisce tutto ciò che è stato ripetuto mille volte durante le prove e le mani diventano ghiacciate. La paura di fare flop vince su tutto e io cerco di riportarli alla razionalità, con qualche domanda tecnica in modo che non rimangano concentrati sulle loro paure. Poi, dopo l’esibizione, il mio compenso è la loro incontenibile gioia. Sorrisi, pacche sulle spalle e il mio classico commento “complimenti ragazzi, ben fatto”. Cosa mi insegnano loro? Due cose: che l’entusiasmo è la molla della vita e che la tendenza a essere positivi porta al successo garantito.
Che rapporto ha in generale con i giovani? Come li vede cambiare negli anni? Cosa avevano i giovani della sua generazione che non hanno quelli di oggi, e viceversa?
Bellissimo. La differenza generazionale… La domanda è volutamente insidiosa ma posso rispondere con trasparenza: cambiano gli scenari di contorno, forse le abitudini e forse qualche comportamento. Tutto ciò impone ai ragazzi di oggi di adattarsi al mondo che li circonda. Quelli della mia età si adattavano al loro. Da sempre la società è la fonte ispiratrice del mondo giovanile, nel bene e nel male, con esempi positivi e negativi. Se qualcuno sostiene che la gioventù di oggi non è più quella di una volta, quel qualcuno dice cose banali per il semplice fatto che i giovani sono figli del loro tempo e dei valori che vengono loro trasmessi. Saper stare insieme può essere, ad esempio, un valore condivisibile. Qualcuno sostiene che i giovani oggi tendono all’individualismo. Se fosse così, basterebbe che gli adulti creassero le condizioni per facilitare l’incontro. E mi pare che il Festival sia in proposito una risposta nei fatti.
Il Festival è stato definito il più bello spettacolo in Provincia. È d’accordo? Cosa crede manchi ancora però a questa Provincia, e cos’ha in più rispetto ad altre?
Non ho visto tutti gli spettacoli presentati in Provincia e quindi non mi sento di fare graduatorie. Ma credo che questa formula abbia qualcosa di magico e di diverso da altri spettacoli. E’ quello che nel marketing passa sotto il nome di differenziazione: certamente bello, perché sicuramente diverso. Sulla nostra Provincia… Il raffronto con altre realtà mi porta a un giudizio positivo, ma questo non significa né la perfezione né che si sia fatto di tutto per inseguirla. Ovvero i miglioramenti sono sempre possibili, a cominciare dall’abolizione delle diaboliche retrospettive storiche per cominciare a dare un senso al concetto di futuro. In fin dei conti è lì che dovremo andare a vivere nei prossimi anni. In attesa di questi miglioramenti consoliamoci dicendo che qualsiasi donna per essere considerata bellissima deve avere un piccolo difetto.
Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 25 marzo 2012
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