La Haydn inizia banale (come fosse Capodanno), poi si riprende

Sembrava di essere a capodanno, l’altra sera all’ennesimo concerto sinfonico della stagione dell’Orchestra Haydn, martedì 6 marzo a Bolzano. Un Cajkovskij imbarazzante, fatto di musiche macchiettistiche, che fanno il verso al folclore italiano, banalizzandolo, restando sempre in superficie, creando solo un’allegria volgare, grezza, appunto imbarazzante per chi ascolta. Ma certo non è colpa degli orchestrali, i quali eseguono ciò che viene loro proposto, forse troppo spesso senza spirito critico, con pigrizia, ma sicuramente non è responsabilità loro la scelta del programma. Forse lo è del direttore ospite, forse del direttore artistico, forse di entrambi. E, lo ribadiamo dopo averlo scritto più volte, la scelta del programma è già qualcosa di creativo, che può entusiasmare, può essere una scelta profonda, curiosa, accattivante, culturalmente innovativa, oppure niente di tutto questo. Scegliere un pezzo del genere per una stagione sinfonica che vuol dirsi matura e “colta” non ci sembra quindi la scelta più coerente.
Comunque il direttore Stefano Ranzani si è calato benissimo nei panni dell’animatore turistico, gesticolando, balzellando, mimando di tutto e di più, facendo probabilmente divertire lo stesso pubblico, il quale anche lui non ha mostrato fino ad ora delle gran doti critiche sul programma di volta in volta proposto.
Ma ci si riprende – alla grande! – col primo Concerto per violoncello di Dmitrij Shostakovic, interpretato dal bravissimo Enrico Dindo, molto passionale nel suono, corposo e deciso, sensibile nell’enfatizzare i gesti rabbiosi, duri e violenti, come le suggestioni misteriose e delicate. Tra queste ultime è emerso il canto del movimento lento, una melodia fantasma, di un altro pianeta. Rimproveriamo al solista solamente le facce fatte, talvolta eccessivamente teatrali, espressioni contratte, certo dovute ad un’estrema concentrazione data la difficoltà della parte, ma comunque parte dello spettacolo. Lo sa benissimo il regista teatrale Robert Wilson, che nelle sue rappresentazioni di opere liriche impone ai suoi cantanti delle facce cinematografiche. E vi assicuriamo che lo spettacolo ci guadagna!
Facce a parte, Enrico Dindo ci regala anche un meraviglioso bis, un’allemanda tratta da una suite per violoncello solo di Bach. Musica sublime, interpretazione di grande rispetto, di assoluta purezza. Tanto di cappello e grazie per la magia.
Nel secondo tempo, con la Jazz Suite di Shostakovic, si ritorna un po’ all’atmosfera da balera che regnava con Cajkovskij. Salviamo solo la bellissima musica dei due valzer, malinconici e sognanti, tra l’altro eseguiti dall’orchestra con grande trasparenza timbrica. Riguardo all’atmosfera grossolana di festa, non vogliamo comunque negare a nessuno un po’ di superficiale euforia. Anche perché questa volta, rispetto al Capriccio di Cajkovskij, c’è un’idea più forte, e soprattutto un gusto più raffinato.