Due chiacchiere con Cristiana Collu, neodirettrice del MART

03.02.2012
Cristiana Collu

Il primo di febbraio Cristiana Collu ha assunto ufficialmente l’incarico di direttore del MART di Rovereto, succedendo alla quasi trentennale guida di Gabriella Belli. Sarda, dal ’97 direttrice del Museo Man di Nuoro, storica dell’arte e curatrice di mostre, nonché per anni professore di storia dell’arte e progettazione museografica presso l’Università di Sassari, Facoltà di Architettura di Alghero, Corso di laurea in Architettura e di Museologia presso l’Università di Cagliari, Facoltà di Architettura, Cristina Collu ha lasciato il MAN, presieduto da Tonino Rocca, per intraprendere un nuova strada in Trentino Alto Adige.

Cristiana, che cosa significa passare da una realtà come quella del MAN alla complessità del MART roveretano?

Ogni realtà museale ha la sua complessità. Sono realtà differenti, ma non vorrei fare delle gerarchie perché ognuna ha le sue specificità. Chi fa il mio mestiere è destinato a diverse realtà e questo è molto stimolante professionalmente e le istituzioni allo stesso tempo hanno bisogno di un ricambio.

Sono abituata a vedere più i punti in comune che quelli che allontanano le due realtà, anche per consolarmi. Si tratta di due regioni con una certa autonomia, con una tradizione forte, di due piccole città con grande sforzo delle amministrazioni pubbliche che hanno puntato ad avere un luogo d’eccellenza e di due realtà a dimensione d’uomo sia della città sia del territorio. Per quanto riguarda le proporzioni della struttura del museo invece le somiglianze vengono meno. Il MAN è stata una buona palestra, perché lavorare in questi luoghi, che sono come dei baluardi, fa si che il direttore abbia a che vedere con tutti gli aspetti che riguardano il museo e che arrivi a conoscere profondamente la “macchina museo” e questa conoscenza è facile poterla restituire ad altre realtà.

Musei, palazzi storici, collezioni, un patrimonio soprattutto antico: come conciliare il grande retaggio del passato con l’immagine di un Trentino Alto Adige che si muove verso il contemporaneo?

Questa è un’altra grande differenza che c’è tra i due luoghi in cui ho lavorato. Il passato non è mai da vivere come un fardello o come un peso, ma è qualcosa di cui ci dobbiamo occupare per trasmetterlo così come lo abbiamo ricevuto. Allo stesso tempo occuparsi del contemporaneo è anche lasciare una propria traccia e abitare questi luoghi e interpretarli secondo un punto di vista che è quello del nostro tempo, mi sembra già una definizione di essere contemporaneo. Il passato è una buona base di partenza per guardare al futuro.

Cristiana, puoi presentare il MART per quello che è allo stato attuale?

Le grandi macchine sono state senza direzione per un paio di mesi e a questa prova il MART ha reagito in maniera ineccepibile dimostrando la solidità di questa macchina. Il MART ha dato prova di aver avuto una grande direzione e un grande staff, che ha portato avanti tutti i programmi. Ho visto un grande senso di responsabilità, di appartenenza e anche grande curiosità verso quello che verrà.

Che relazione c’è tra la struttura architettonica del MART e chi ci lavora?

C’è sicuramente molta sintonia tra la solida architettura del Botta e lo staff, anche se le persone sono più morbide rispetto ad un’architettura così forte. Ognuno ha saputo guidare le proprie posizioni per portare avanti la vocazione internazionale di questo museo.

Come se la passano i musei in questo momento di crisi internazionale?

È un momento difficile, figuriamoci per il contemporaneo. Ho già parlato di museo contemporaneo come un’istituzione in crisi. In questi momenti di tagli alla cultura credo che una società civile debba far fronte senza abbassare la guardia. La crisi può essere anche un momento di opportunità sperando che passi presto. Io credo però che le istituzioni, così come gli enti pubblici, abbiano gli strumenti per far fronte a momenti così complicati.

Come vedi invece questo momento di crisi dal punto di vista culturale e non economico?

La cultura viene sempre considerata come qualcosa di fragile che si può aggredire rispetto ad un discorso lungimirante e di visione e alla fine di questo ne facciamo le spese. In Trentino mi sembra comunque che il sostegno alla cultura non manchi e al MART meno che mai.

Si può già parlare di prossimi progetti di punta?

Non posso anticipare progetti, ma lavoreremo su grandi tematiche, mi ricollego a quello che dicevamo poco prima, su questa crisi culturale. Vorrei portare avanti un programma per indagare sotto vari aspetti e vari linguaggi i grandi temi che preoccupano e che inquietano in questo momento, per farci carico di queste problematiche che tutti avvertiamo.

Alice in Wonderland parte il 25 febbraio, cosa possiamo aspettarci, cosa ci racconti?

Eredito il programma del 2012 che era già stato impostato e che però mi piace. Si tratta di una tematica molto suggerente. Quello che ho valuto dare fin dal principio è un’impronta alla comunicazione visiva con una grafica di maggiore freschezza.

Che rapporto vedi tra te e Alice? C’è qualche somiglianza?

Mi piace molto sperimentare, non come visione ingenua o infantile, ma proprio come esplorazione del mondo. Mettersi alla prova, accettare il cambiamento e altri punti di vista, come Alice che con il fungo cresce e rimpicciolisce per cogliere vari aspetti della realtà. O persino tutto il discorso sull’identità che viene sempre messa in discussione, ma Alice non si spaventa e si mette sempre in relazione con qualcosa che è diverso da sé e quindi un percorso di crescita senza fare residenza.

Un tuo grande desiderio?

Ho molti desideri e posso riportare una citazione di una santa che mi sta molto a cuore, ovvero Santa Teresa di Biglié, che dice: “voglio tutto”. Una visione femminile di tipo orizzontale e non verticale o gerarchica, “voglio tutto” è un po’ un desiderio del mondo.

Come riesci a conciliare una vita da direttore con una vita familiare?

È facilissimo, le donne sono brave a fare molte cose ed è spesso anche rigenerante.

In che modo partecipa l’arte nella tua sfera privata? La vivi come lavoro o sempre come passione?

Non interferisce nel mio privato, è come un chirurgo che quando torna a casa non vuole vedere sangue. In casa mia pareti bianche, nessun quadro!

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