Associazioni o dissociazioni culturali? Settore da rinnovare

Che caratteristiche ha, oggi, l’associazionismo culturale in Alto Adige Südtirol ed in particolare quello che possiamo definire anche oggi – non senza qualche forzatura – di lingua italiana?
E’ un po’ di tempo che questo interrogativo ha fatto capolino nella mente di chi scrive, aggirandosi in maniera petulante e suscitando pensieri non sempre felici.
La sensazione è che lo scenario in cui ci si muove sia costituito da numerosi soggetti associativi dalla storia più o meno antica e gloriosa, che hanno mantenuto formalmente la loro “ragione sociale” – nel senso degli obiettivi statutari – senza però aver per questo conservato un’altra “ragione sociale”, e cioè quella spinta aggregativa tendente a “fare comunità” che è propria dell’associazionismo culturale.
Il panorama osservato infatti spesso tende ad assomigliare più ad una foto ingiallita degli anni ’70/’80 che ad contesto vivo e aperto, in grado rispondere in modo agile ai grandi cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi decenni di vita altoatesina e che recentemente stanno vivendo un’ulteriore accelerazione.
Mi voglio spingere oltre, scomodando quello che è un vero e proprio totem per la città di Bolzano e in questo modo trasferendo le seguenti considerazioni nella specifica realtà del capoluogo.
A Bolzano è come se la vicenda dell’ex Monopolio – unica esperienza (abortita) di centro sociale, abbattuta senza tanti complimenti nei tardi anni ’70 – avesse in qualche modo spento in città la specifica prolificità associativa . Da allora infatti i soggetti associativi sono più o meno quelli e, se è vero che alcuni nel frattempo si sono dissolti, è altrettanto vero che tra le associazioni (ancora) attive, molte hanno vissuto “mutazioni”, sul cui genere forse è il caso di iniziare una riflessione. I cambiamenti anche radicali sono fatto naturale dopo 30 anni, per carità; e in alcuni casi, virtuosi, si è trattato di consolidamenti sia nella struttura che nelle attività che hanno permesso alle relative associazioni di divenire devi veri e propri “fari” nel panorama culturale locale.
Ma in molti altri casi – la maggioranza – i cambiamenti sono stati altri e molto meno funzionali agli aspetti “socializzanti” sopracitati.
Mi si obietterà che i tempi sono cambiati e che oggi viviamo in un contesto sociale in cui l’individualismo è imperante. Non ne sono così sicuro: secondo me anche oggi la gente si aggrega – basti vedere il fenomeno degli hippy tour” – ma lo fa sempre meno per svolgere una parte attiva in proposte di carattere culturale. Fino a pochi anni fa, a dire il vero, si è registrata una forte spinta “fruitiva”, ma anche a questo proposito in questi ultimi mesi si sta registrando una certa flessione, che è stata oggetto di dibattito anche qui su Franz.
Bisogna poi osservare che un ruolo cruciale nel processo di “svuotamento” delle associazioni è stato svolto dagli enti pubblici, comunali e provinciali, che sono intervenuti con le loro legislazioni con lo scopo, meritorio, di sostenere economicamente i consessi, ma che in alcuni casi hanno provocato l’effetto perverso di trasformarne la “ragione sociale” proprio nel conseguimento dei finanziamenti stessi.
E’ poi successo che la necessità da parte degli enti pubblici di avere – nelle associazioni – interlocutori ben definiti ha finito per trasformare realtà dall’originaria forte spinta aggregativa in sorta di “one man band” in cui, al di là del presidente, i soci divengono solo una presenza virtuale sulla carta.
Con un po’ di fantasia potremmo allora dire che oggi alle libere associazioni di individui accomunati da comuni passioni ed interessi si sono affiancate categorie mutate che potremmo quasi definire, provocatoriamente, “dissociazioni culturali”.
I meccanismi sono diversi. In certi casi, come detto, si è trattato di uno svuotamento del contenuto associativo a favore di una paradossale “individualizzazione”. In altri invece le dissociazioni sono scaturite dalla fuoriuscita polemica di una parte dei soci che sono andati a costituire un’altra associazione, frequentemente in concorrenza se non in guerra con il contesto originario di provenienza.
Insomma: lo scenario risulta essere caratterizzato dalla presenza di associazioni, associazioni individualizzate ed associazioni in diretta concorrenza che si muovono in un contesto poco dinamico. E’ normale allora che spesso le associazioni si lamentino con l’ente pubblico per la mancanza di un coordinamento, rispetto al quale sono però subito pronte ad opporsi, in nome della propria autonomia. Così come è logico che in questa situazione gli enti pubblico (tecnici e politici) facciano fatica a muoversi, per la paura di non pregiudicare i delicati equilibri faticosamente raggiunti.
Che fare?
A mio avviso è ora che tutti gli attori della questione – e cioè responsabili delle associazioni, soci, tecnici dell’ente pubblico, operatori culturali e dello spettacolo, politici, ma soprattutto I CITTADINI – si rimbocchino le maniche per rinnovare dalle fondamenta l’associazionismo culturale locale.
Mi pare davvero una cosa nell’interesse di tutti e per la quale la candidatura del Nordest quale capitale europea della cultura può essere un’occasione in più. Prestando attenzione però: il salto di qualità sopra delineato non è possibile se vengono valorizzate una tantum solo le associazioni più accreditate e propositive. E’ l’intero sistema che va rinnovato partendo dalle fondamenta. Non è facile ma bisogna avere coraggio, ora come non mai.
Voi cosa ne pensate?