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November 15, 2011
Paolo Rosa: “l’arte ha una missione, risensibilizzare”
Marco Bassetti
Mercoledì, nel corso del quarto appuntamento de “La Classe dell’arte” (Centro Trevi, ore 20.45), quattro esponenti del settore dibatteranno intorno alla relazione che l’arte intrattiene con la tecnologia, nell’ambito di un dialogo trasversale, multidisciplinare e aperto a tutti. La tecnologia ci avvicina all’arte? Quanto e come le istituzioni culturali ne sfruttano le potenzialità? Le nuove tecnologie sono un valido supporto per l’esperienza e la conoscenza dell’arte a tutte le età e per tutte le tasche? Tra i personaggi chiamati da Paola Tognon, curatrice della rassegna, a raccontare la propria visione, c’è Paolo Rosa. Artista, teorico e saggista, docente universitario, è fondatore di Studio Azzurro, “ambito di ricerca artistica, che si esprime con i linguaggi delle nuove tecnologie”, fondato nel 1982 con l’obiettivo di “indagare le possibilità poetiche ed espressive di questi mezzi che così tanto incidono nelle relazioni di questa epoca”. Franz lo ha intervistato.
L’obiettivo della rassegna è quello di promuovere una riflessione sui meccanismi dell’attuale sistema culturale, affrontato da personalità afferenti a diversi ambiti del sistema dell’arte. Un approccio multi-disciplinare, aperto a tutti, non elitario, come giudica questa operazione?
Mi sembra un’operazione assolutamente meritevole, c’è bisogno di riflettere sul fenomeno della cultura, e dell’arte in particolare, e di farlo con dei linguaggi che non sono quelli degli addetti ai lavori. Quando l’arte si avvita dentro una spirale di specialisti, perde la sua efficacia. Proprio perché l’arte ha bisogno di una relazione con la polis, con le cittadinanze, con le persone, è bene che l’arte si metta nei banchi di scuola per imparare a utilizzare dei linguaggi che siano comprensibili e condivisibili.
Mi può chiarire cosa lei intende oggi – 2011 – per “arte”? Possiamo demarcare un campo specifico?
Dobbiamo, riuscirci è un obiettivo. Penso che l’arte in questa fase possa essere uno strumento straordinario per capire e navigare la complessità in cui viviamo, che non è più misurabile solo attraverso gli strumenti razionali, ma ha bisogno di quella dimensione di sensibilità che l’arte esprime. In questo si manifesta proprio una missione dell’arte, che è quella di lavorare sulle sensibilità, sui sensi. Cercare di risensibilizzare in un’epoca in cui è molto facile anestetizzarsi per via del sistema tecnologico-mediatico che abbiamo intorno e che è il sistema dominante nell’odierno panorama comunicativo. In questo contesto l’arte ha il dovere di demarcare il proprio spazio specifico, è una necessità.
La serata sarà dedicata ad un riflessione sul rapporto tra arte e tecnologia. Come vive e come si esprime, nella sua attività artistica, questa relazione?
Noi di Studio Azzurro siamo artisti non nativi digitali e quindi non siamo cresciuti con questo amore per la tecnologia come gadget. Noi siamo molto attenti a comprendere le conseguenze della tecnologia, conseguenze che riguardano in maniera importante le relazioni tra gli uomini. Gli uomini stessi si sono procurati uno strumento che ha incasinato tantissimo le loro comunicazioni e le ha portate all’esasperazione, con aspetti però non solo negativi ma anche di grande opportunità. Ora si tratta di leggere, valorizzare, fare emergere queste opportunità. E questa è per l’arte una grandissima chance. Attraverso l’esperienza della tecnologia si può rivalutare la possibilità di ricucire, grazie ad un linguaggio ormai comune e diffusissimo, un rapporto tra l’arte e le persone e costruirlo come mai era stato possibile prima, quando l’arte aveva, appunto, un formato più elitario. Credo che con la tecnologia si aprano un sacco di scenari per recuperare lo spirito sperimentale ed esplorativo che è tipico dell’arte.
In questo dibattito, come valuta la diffusione di massa delle nuove tecnologie digitali in rapporto all’arte? Limiti, potenzialità, prospettive? Oggi, con la diffusione delle tecnologie, tutti siamo artisti, tutti siamo fotografi, tutti musicisti… Ma l’arte dov’è?
La facilità di utilizzo di questi mezzi espressivi, dalla fotocamera digitale al software di grafica, agevola il superamento di un limite fondamentale che è dove la tecnologia usa te piuttosto ad essere tu ad usare la tecnologia. Per cui ti sembra di fare l’artista mentre in realtà stai usando il linguaggio di tal programma che è in realtà il prodotto di una multinazionale. Strumento che ti permette di fare cose straordinarie per certi versi, ma che se non lo usi con le giuste capacità creative e una certa consapevolezza culturale spesso succede che sia lui, con tutti i suoi aspetti predefiniti, ad usare te. Questo è il limite di questa diffusione di massa della sensazione di essere tutti artisti. Il problema è non dimenticarsi che l’arte non è solamente l’utilizzo di uno strumento, ma necessita di una consapevolezza culturale molto forte.
L’utilizzo e la diffusione delle tecnologie mettono appunto in campo questioni come “consapevolezza del mezzo”, “rapporto tra medium e messaggio”, “rapporto tra messaggio e fruitore”… Da anni la sua ricerca artistica riflette sul tema dell’interattività, sulla base di queste esperienze che idea si è fatto in proposito?
Noi ci siamo occupati di interattività perché immaginavamo che questo fosse un orizzonte verso cui si poteva spostare un po’ tutto l’assetto dei linguaggi tecnologici e della comunicazione sociale. Dopo diciotto anni dalla prima esperienza fatta in questo senso, possiamo dire che è avvenuto proprio questo. Quando abbiamo iniziato ad occuparci di interattività non c’era neanche internet, per dire… Ho scritto e riflettuto su queste esperienze in un volume recentemente uscito per Feltrinelli (L’arte fuori di sé, Un manifesto per l’età post-tecnologica). Nel mettere mano in questo ambito, abbiamo trovato tantissimi addentellati, tantissimi prolungamenti che ci portano direttamente nella realtà sociale e non soltanto in quella estetica. E in questo ci siamo costruiti un minimo di consapevolezza riguardo al mezzo tecnologico e alle ragioni della sua importanza cruciale in questo particolare momento storico. La consapevolezza del mezzo penso sia un elemento indispensabile… Ma come la possiamo costruire? Facendo esperienza. Infatti i nostri lavori sono opere esperienziali in quanto hanno un fortissimo contenuto in termini di produzione di esperienza, non solo per gli interlocutori, quelli che una volta avremmo chiamato “spettatori”, ma anche per noi stessi artisti. Ogni volta leggiamo delle dinamiche che sono imprevedibili dal punto di vista progettuale, proprio perche emergono da un’interazione, da un dialogo aperto. In questo c’è la costruzione di una maggiore consapevolezza sia da parte nostra sia, credo, da parte dei nostri interlocutori. La mia speranza è che si domandino: perché certe cose possono emozionare e certe altre invece no, pur usando gli stessi strumenti?
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