Food
June 5, 2013
People I Know. Patrick Uccelli: “gli agricoltori altoatesini hanno dimenticato la loro missione”
Anna Quinz
Quello tra Patrick Uccelli e il vino è un rapporto in continua evoluzione. Oggi il quasi 40enne bolzanino gestisce a Salorno la tenuta Dornach, dove coltiva le sue vigne e produce il suo vino cercando di sviluppare un modello di agricoltura sostenibile e con una visione per il futuro: ristabilire, un giorno, un’azienda il più autarchica possibile, che sia in grado di alimentare chi ci vive e la lavora. Agricoltore atipico Patrick, ha studiato prima medicina, filosofia e storia, ma poi – destino disegnato dalla terra – si è laureato in viticultura ed enologia, e da quel momento in poi, dalle vigne non si è più separato. Tante le esperienze nelle più svariate realtà viti-vinicole, in giro per l’Europa. Poi la necessità di fermarsi e tornare “a casa”, dove lo incontriamo ora.
Alto Adige, terra di agricoltori e viticoltori. Secondo te siamo all’avanguardia in questi settori? Oppure no?
Per me l’Alto Adige (ma non solo, è un fenomeno visibile anche altrove) ERA una terra di agricoltori, oggi non lo è più (completamente). O meglio, il termine “agricoltore” si è completamente svuotato del suo significato originario. Una volta l’agricoltore produceva alimenti. Oggi l’agricoltore altoatesino (e lo sono anche io) non lo fa più e produce reddito coltivando i terreni a frutteto e/o vigneto per poi andare ad acquistare il cibo al supermercato. Un paradosso: il contadino che ha la terra produce cose che non servono a sfamare la sua famiglia o il suo paese e poi, dopo averle vendute su scala globale, va ad acquistare alimenti prodotti da contadini (o industrie agroalimentari) lontani migliaia di km. Il sedicente “agricoltore” altoatesino è sicuramente all’avanguardia per quanto riguarda la gestione tecnica. La sua arretratezza è nell’aver dimenticato (forse troppo in fretta) che il suo primo e vero compito sarebbe quello di mantenere fertile il suolo (per le generazioni future che devono coltivarlo) e produrre alimenti sani. Oggi questo in gran parte dell’Alto Adige non succede più. Mele (nelle quantità prodotte in Alto Adige) e vino non sono sicuramente alimenti basilari.
Quali le eredità della tua famiglia e quali di Anton von Gelmini zu Kreuzhof (fondatore della tenuta Dornach)?
L’eredità della mia famiglia, ma anche di Anton von Gelmini zu Kreutzhof sono i terrazzamenti di Dornach, la tenuta che dal 2008 coltivo e che ogni anno cerco di sviluppare verso un modello di agricoltura il più sostenibile possibile. La visione per il futuro è quella (un giorno magari), di ristabilire, riconoscendo il disegno che aveva in testo (o nel cuore) Anton, un’azienda il più autarchica possibile, che sia in grado di alimentare chi ci vive e la lavora.
Dei luoghi vissuti a nord (Austria e Germania) e a sud (Sicilia e Puglia) cosa hai imparato, cosa apprezzato o non apprezzato?
L’immagine che conservo dell’Austria è un po’ sfuocata. Forse per via di una vita da studente vissuta intensamente, forse perché è l’esperienza più lontana. L’Austria è un paese molto particolare per me. Ricordo un utilizzo davvero pignolo del titolo di studio nelle presentazioni (piacere, sono il Dott. XY oppure il Mag. XY..) e una certa “spensieratezza” nel vivere la vita notturna. Della Germania ho un ricordo molto positivo, ho sempre ricevuto una bella accoglienza, molta cordialità e apprezzamento verso le mie origini italiane. I tedeschi che ho frequentato e che frequento sono tutt’altro che rigidi. Della Sicilia ricordo un paesaggio crudo, molti sacchetti dell’immondizia (anche in spiaggia), case senza intonaco, un uso smisurato della macchina, tanto calore (sia umano che fisico). Dai miei collaboratori ho ricevuto delle belle lezioni di dedizione al lavoro e di umiltà (alla faccia degli stereotipi). Della Puglia ricordo l’odore della terra (molto presente) e dei sapori a tavola ancora rustici e sinceri. Molta cordialità, tanti sorrisi e la voglia di lasciare che gli sguardi tra uomini e donne si intreccino. Indimenticabile Otranto.
Salorno, ultimo paese dell’Alto Adige. Ti piace vivere lì?
Nonostante il fatto che saltuariamente qualche esponente politico o qualche articolo sulla stampa locale diffami il paese per l’alto numero di immigrati, io trovo che Salorno sia un paese dove si può stare bene. Sono stato straniero, in varie parti d’Europa e d’Italia, perciò la problematica legata all’immigrazione non la recepisco. E soprattutto non recepisco la demagogia che ci si ricama sopra. Qui prendo ad esempio chi lavora “dietro le quinte” (come sempre) per l’aggregazione, per lo scambio e per lo sviluppo di una socialità comune. E non prendo lezioni da chi predica l’intolleranza gratuita classifica in base all’appartenenza etnica e/o politica. La mia stima va a tutti quei “salorneri” impegnati nelle attività di volontariato e che dedicano il loro tempo libero a chi ne ha bisogno.
Cosa ti piace del tuo lavoro e cosa no?
Mi piace la libertà di potermi organizzare liberamente. Certo, il ritmo dei lavori in campagna è dettato dalla stagionalità, ma riconosciuti questi ritmi la loro organizzazione è un esercizio molto divertente. Non mi piace la solitudine che spesso accompagna l’attività in vigneto. Nella mia mente sono impresse vecchie fotografie ingiallite di intere famiglie che passavano le giornate nei campi. Di lavoro pesante, di sudore e di fatica, ma sempre affrontata da tutta la famiglia. Questo nell’agricoltura cosiddetta moderna è andato purtroppo praticamente perso.
Giornata tipo? Cosa fai quando non lavori?
Fortunatamente non esiste una giornata tipo. Posso passarla in vigneto, posso trascorrerla in cantina, posso dedicarmi allo svolgimento delle pratiche burocratiche, posso dedicarla ai clienti in visita, o fare di tutto un po’. Diciamo che non mi annoio. Quando non lavoro tendenzialmente faccio qualcosa che ha a che fare con il lavoro: sto lavorando per reintrodurre l’elemento animale nella mia azienda. A breve arriveranno le prime pecore e capre. Forse un giorno delle mucche. Poi naturalmente ho anche altre passioni come la musica, la lettura, il buon cibo, la condivisione di momenti di festa con gli amici, le passeggiate in montagna: insomma, tutto ciò che possa riempirmi lo spirito.
Il tuo rapporto col vino? Con la terra? E con la natura in generale?
Il mio rapporto con il vino è in costanze evoluzione. Se penso alle varie tappe che si sono susseguite in quasi 40 anni di vita mi viene un po’ da sorridere. Le prime “sbornie” prese con del Lambrusco di Sorbara amabile comprato per pochi soldi al supermercato, alle innumerevoli bottiglie di “Edelvernatsch” consumato su altrettante innumerevoli panchine di Bolzano oppure sui prati del Talvera, il mio periodo di lavoro in enoteca in Austria con la scoperta dei vini del “nuovo mondo” (i vari Cabernet e Zinfandel dalla California, i Malbec argentini, lo Syrah australiano ed i Pinotage e Chenin Blanc sudafricani). Poi è arrivato il periodo della Francia con i sui grandi bordolesi. Poi lo studio dell’enologia l’obbiettivo si sposta sui grandi rossi toscani e piemontesi, i bianchi friulani e altoatesini. Poi passando per i bianchi austriaci e tedeschi (Mosella, Rheingau, Pfalz, Nahe,…) arrivo nuovamente in Francia dove mi stregano il bianco biodinamico alsaziano di Zind Humbrecht e i rossi dallo Chateauneuf du Pape.
Oggi lavoro ai miei di vini, quelli dove tutto passa per la mia volontà e per la mia mano. Con sempre un occhio aperto verso la Francia e la sua Borgogna.
Il mio (re)incontrare la terra è stato un passaggio fondamentale nella mia (ancora breve) vita. Credo che le cose siano andate in questa maniera perché avevo necessità di mettere radici dopo 12 anni spesi in giro per l’Europa e che mi avevano reso molto “fluttuante”, sia nei rapporti professionali che in nei legami interpersonali. Avevo necessità di radicare. E senza terra le radici non attecchiscono.
Per quanto riguarda il mio rapporto con la natura mi sembra addirittura banale definirlo importante. Nella natura che mi circonda sono in grado di riconoscere molto di quello che sono, dei gesti che compio. Hai presente il gesto che fai quando esci di casa la mattina e allunghi corpo e braccia verso il sole e i suoi raggi ti scaldano fino all’interno? Se lo osservi bene è lo stesso gesto che fa un albero, che indirizza i suoi rami con un gesto quasi di accoglienza, di abbraccio verso il sole che lo scalda e che lo nutre. Solo che noi quel gesto lo compiamo in pochi secondi, mentre lui lo fa per una vita.
Certo, la parola natura permette una serie infinita di interpretazioni e non basterebbero probabilmente 10 enciclopedie per definirla nel suo complesso. Credo però che nella definizione di natura debba trovare spazio sia quello che rappresenta all’esterno, ma anche e soprattutto quello che rappresenta al mio interno: la mia natura di essere umano.
Qual è la cosa più importante della vita?
Non credo che ne sia una, o meglio, suppongo dipenda molto dal periodo della vita nel quale ci si trova. In questo maggio 2013 mi sentirei di dire che una delle cose più importanti nella vita è la stabilità. La stabilità dei rapporti interpersonali, di quelli professionali, di quelli affettivi, di quelli famigliari e, last but not least, la stabilità nel rapporto con se stessi.
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