Pif al Festival delle Resistenze: “La rassegnazione è una sconfitta clamorosa”

30.04.2013
Pif al Festival delle Resistenze: “La rassegnazione è una sconfitta clamorosa”

Con quel suo sguardo stralunato, Pif è uno che resiste. Resiste alla mafia, resiste alla banalità, alla rassegnazione di chi non si stupisce più di niente, all’indifferenza di chi sta alla finestra senza prendere posizione, agli stereotipi più scemi e, al contempo, più forti e contemporanei. Palermitano doc, Pierfrancesco Diliberto (questo il suo nome all’anagrafe) è uno che è cresciuto a pane e cinema. È uno che conosce il medium televisivo molto bene, che lo sfrutta in maniera intelligente per arrivare, con temi tosti, ai più giovani. Ospite domani, Primo Maggio, al Festival delle Resistenze contemporanee (ore 18.30, Piazza Matteotti, Bolzano), lo abbiamo intervistato.

Ho sentito qualche cretino che diceva “Eh ma cosa centra Pif con il “Festival delle Resistenze”…

Tu cosa gli hai risposto? (risate) Suppongo mi abbiano invitato principalmente per il mio impegno antimafia. Ho sempre pensato che un magistrato antimafia, o un giornalista scortato, sia come un partigiano di una volta. Cambiano i nemici, cambiano i metodi di lotta, ma lo spirito è lo stesso. Penso che, rispetto alla mafia, il concetto di Resistenza sia calzante e molto attuale.

Questo è un po’ il significato del Festival, attualizzare i valori della resistenza nell’epoca contemporanea.

Esatto, è quello stesso spirito che ti spinge a combattere oggi. Noi siamo in guerra, quella che si sta combattendo è una vera e propria guerra. Non pensiamo solo ai morti ammazzati, la mafia si manifesta oggi in vari modi, sempre più infiltrata nel mondo degli affari… La mafia influenza in maniera pesante la nostra vita, la vita del nostro paese. È una lotta, una vera lotta.

Nel 2012, nel ventesimo anniversario dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, hai partecipato con il racconto “Sarà stata una fuga di gas” al libro “Dove Eravamo. Vent’anni dopo Capaci e Via d’Amelio”…

Sì, il libro provava a raccontare quei giorni attraverso non solo la testimonianza di familiari, magistrati, giornalisti, poliziotti, ma anche il racconto di persone che, a partire da quei giorni, hanno iniziato a combattere la mafia. Forse per alcuni versi oggi è più difficile combattere: una volta almeno sapevi chi era il nemico, prendevi le armi e sparavi. Nel racconto ricordo che quando scoppiò la bomba in via d’Amelio, mi trovavo a 2 chilometri di distanza, forse meno. Avevo vent’anni e andai con i miei amici sul luogo della strage. Vent’anni dopo ci sono tornato, in occasione della commemorazione… A pochi secondi dell’ora esatta dell’esplosione, tutti raccolti in un rigoroso silenzio, sono uscite due macchine dal garage che si trovava dietro il palco e hanno cominciato a suonare il clacson, protestando perché non potevano uscire. Mi ricordo che una macchina poi mi passò davanti e io dissi “Complimenti per il tempismo”.

Stai dicendo che il nemico si nasconde tra noi?

Questo è il vero dramma, perché io sono sicuro che quelle persone non erano colluse con la mafia. Il dramma è che erano persone come me. Queste persone sono accanto a noi, sono come noi, vivono nel nostro stesso ambiente, però dell’uccisione di Borsellino non gliene frega niente, a loro interessava solo uscire. Non gliene frega nulla della mafia finché la mafia non bussa e poi, magari, accettano anche di pagare il pizzo: perché la vita va così, l’importante è tirare avanti. Falcone disse durante il Maxiprocesso: “Il palermitano sta alla finestra per vedere come finisce la corrida”. Non prendere posizione equivale a prendere posizione a favore dei mafiosi. La mafia vive e prospera grazie a queste persone, a questo bisogna resistere.

Resistenza non solo alla criminalità, ma anche all’indifferenza…

Esatto! Quando sei un ragazzino che vive a Palermo e vedi un negozio che prende fuoco, la prima volta ti stupisci. Alla quinta volta non ci fai neanche più caso, fa parte della normalità… ti rassegni e pensi che quella sia la tua vita. Ecco io ho fatto una scelta, e grazie al cielo non sono il solo: ogni volta che vedo un negozio che prende fuoco mi stupisco e mi incazzo come se fosse la prima volta. Non voglio rassegnarmi, la rassegnazione è una sconfitta clamorosa.

E se i nostri nonni si fossero rassegnati…

Oggi saremmo fascisti. Dobbiamo capire che se si combatte per migliorare la società, i benefici vanno a tutti. Anche a quelli che stanno alla finestra a guardare. Il Maxiprocesso è l’esempio, quando lo Stato si è messo davvero a combattere la mafia, ci è riuscito: i benefici hanno interessato poi tutti, anche chi criticava Giovanni Falcone.

In un certo senso, anche il tuo lavoro come reporter televisivo, all’interno del programma “Il testimone”, può essere inquadrato nell’ambito della resistenza contemporanea, non credi?

Ogni tanto mi chiedono quale sia il filo conduttore tra una puntata e l’altra. Io ho molta curiosità e grazie al mio lavoro ho la possibilità di soddisfarla. Però una cosa che ho notato è che tutti i personaggi che racconto sono persone che combattono per cambiare qualcosa o per affermare una verità.

Ad esempio?

Be’ io ricordo sempre una puntata che mi ha arricchito molto, quella con le persone nane.  I nani entrano nella nostra vita giusto per strapparci una risata. In realtà la loro vita è segnata da una lotta contro il pregiudizio che colpisce la loro condizione. La stessa cosa emerge nella puntata che aveva come protagonisti i transessuali. Ho incontrato persone normali, che non hanno a che fare con la prostituzione, che hanno un lavoro, sono inseriti nella società, ma che combattono una lotta quotidiana per il riconoscimento della propria identità.

Potremmo parlare di resistenza quotidiana o di normalità della resistenza…

Esatto, sono i tanti eroi normali dei nostri giorni.

Però, te lo devo dire… Tra i vari protagonisti dei tuoi reportage, c’è stato anche Fabrizio Corona. È uno che resiste, certo, contro la legge però…

(risate) Sì, trovare una forma di resistenza in Fabrizio Corona non è semplice. Il problema è che una persona che ti affascina, è uno che tenta di fare il ribelle ma non gli viene bene. Ecco, diciamo che non lo citerei come esempio di resistenza.

Forse il quel caso la resistenza non era tanto nel personaggio, ma nello sguardo dei telespettatori…

Sì, a qual suo fascino bisogna in qualche modo resistere… (risate) Certo è che se fossero tutti come Corona io sarei milionario: basta premere rec e fa tutto lui.

www.festivalresistenze.it

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