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April 26, 2013

CUL*#?*%! Talk about me. If you want me to survive. Quanto è sexy la cultura?

Anna Quinz

La cultura è sexy? Boom! Domanda da un milione di dollari. Molti credo risponderebbero senza pensieri: no. Perché l’idea che abbiamo di ciò che è sexy non ha proprio molto a che fare con sale teatrali o da concerto, con musei d’arte e gallerie, con cinema bui e biblioteche. Alcuni però, se si fermeranno a pensarci un momento di più, potrebbero anche rispondere: si. O almeno, si con riserva.

Tutto (o quasi) sta nel come, più che nel cosa. Anche su Playboy, non è tutto ugualmente sexy. In fondo le tette sono tette (scusatemi), ma se il fotografo si mette qui, la luce la dirige così, se l’atmosfera mi racconta quello e i colori quell’altro, allora le cose possono cambiare parecchio. Gli operatori culturali però, a quanto pare, fanno altre letture rispetto a Playboy (non tutti), e forse non si sono mai fermati a pensare un attimo a questo semplice ma fondamentale nodo che se sciolto, faciliterebbe almeno un po’ le cose nel già duro mondo della cultura.

Comunicazione. Questa la parola magica. Buona comunicazione, ancora più magia. Non basta avere un bel progetto, se non lo comunichi bene, te lo puoi pure tenere e portare a casa. Ce lo insegnano Coca Cola e McDonald’s da decenni (anche se lì la storia è un po’ diversa, ma questi facili esempi servono a specificare l’importanza dell’immagine, del branding, della penetrazione nelle teste e negli stili di vita fatte a mezzo comunicazione). Ce lo insegnano tutti coloro che hanno saputo svecchiare e sdoganare dai circuiti elitari la cara vecchia cultura, e portarla sul piatto della contemporaneità per essere mangiata come un gelato. Come qualcosa che piace, insomma, ma che se non ben fatto o messo nelle condizioni sbagliate, irrimediabilmente, ti si scioglie in mano.

Abbandonati gli snobismi e gli elitarismi, scesi dai troni aurei che spesso gli intellettuali hanno creato per sé, che succede? Succede che forse ti accorgi che più che di troni c’è bisogno di scale ben dotate di corrimano su cui appoggiarsi, non perché non la gente non è capace di camminare, ma solo per sicurezza, per essere sicuri di non cadere col cul* per terra. Il corrimano è la soluzione, perché la strada è in salita, di certo, non bastano 2 gradini, saranno molti e servirà un bel pò di allenamento per non finire stremati dopo poco e abbandonare l’impresa.

Operatori illuminati, media innovativi, promotori svegli e gente del marketing, sono quelle persone che un pezzo per ciascuno il corrimano lo stanno costruendo. Per arrivare un po’ più in giù, più vicino, più qui e meno lì. Sono visionari che prendendo da altri ambiti, senza guardarli dall’alto verso il basso con aria di superiorità, hanno rubato e rubato bene (rubare non è peccato), per portare la cultura ad essere se non proprio degna di un numero speciale di Playboy, almeno un po’ più sexy di prima.

Di questo vorrei parlare sabato 27, in via Cassa di Risparmio alle 18 – all’interno del “pacchetto” Festival delle Resistenze – con i tre ospiti che ho invitato.

Non sono ospiti a caso. Ci sarà Virginia Sommadossi, che è la responsabile della comunicazione di Centrale Fies, centro di produzione di performing arts, location magica del Festival Drodesera e luogo dove creatività, sapere, curiosità e conoscenza impregnano ogni mattone e ogni filo d’erba del giardino. Virginia è – come tutti in Centrale, è una visionaria, una che ha deciso che per comunicare le cose visionarie che la “sua” Centrale fa e regala al mondo serviva una comunicazione altrettanto visionaria, forte, decisa. A volte anche irriverente e shokante. Le campagne, i flyer, le locandine di Centrale Fies, non passano mai inosservate, catturano l’occhio e mettono in circolo neuroni che pensavamo dimenticati. Ogni volta ci colpiscono dritti al cuore e ci fanno pensare “Wow, ancora una volta quelli della Centrale mi hanno stupito con effetti speciali”. Instancabile Virginia cerca sempre il nuovo, attingendo a piene mani ai mondi altri che da donna curiosa e insaziabile fa suoi come fossero il latte che si beve al mattino. Non è un caso se prima parlavo di Playboy. Virginia ha intitolato la sua tesi di laurea “Hybrids-when art meets porn”, una tesi che indagava il porno come linguaggio attraverso le nuove tendenze della performance contemporanea, da un punto di vista femminile (e non femminista). Proprio con lei vorrei sviscerare le derive sexy e sensuali buona comunicazione della cultura.

Ancora con noi ci sarà Guido Musante. Architetto, redattore e critico che vive a Milano e scrive per riviste come “Domus”. Guido è anche redattore e co-curatore di Babylon, rivista mensile solo per iPad sulle diverse forme espressive. Chi meglio di lui può allora raccontarci quanto conta la comunicazione mediatica, quanto contano i giornali, la tv, i nuovi media, per veicolare i messaggi e i linguaggi della cultura? Guido lo conosco da anni. Persona riservata e di poche parole riesce sempre a sintetizzare con poche frasi perfette e azzeccate, concetti che a volte potrebbero sembrare astrusi. Che è poi il compito del buon comunicatore e giornalista, quale Guido senza è. Sarà perché ha tre figli piccoli, sarà perché ha una naturale dolcezza nei modi e nell’eloquio, ma da quando lo conosco ricordo alcune delle più interessanti e stimolanti conversazioni mai fatte. Dall’arte all’architettura, dal design alla buona cucina. Osservatore attento, per curiosità innata e per lavoro, Guido potrà aprire – anche grazie al suo essere “di altrove” ma buon conoscitore dell’Alto Adige – spiragli di riflessione intriganti, mai banali.

Infine, purtroppo non dal vivo ma in collegamento telefonica avremo Paolo Dalla Sega. Autore di numerosi avvenimenti culturali e project consultant di eventi speciali interdisciplinari, nonché docente in Università Cattolica di “Ideazione degli eventi culturali e di Valorizzazione urbana e grandi eventi” presso la laurea magistrale in Teoria e tecniche della comunicazione e presso la laurea magistrale interfacoltà in Economia e gestione dei beni artistici e culturali. Incontrato per la prima volta a Trento, quando curava il validissimo progetto “password” (progetto di partecipazione per la costruzione delle linee strategiche del prossimo decennio dell’assessorato alla cultura del Comune), di Paolo posso dire che è una di quelle persone che senti istintivamente che potrà darti idee, stimoli, punti critici interessanti su cui ragionare. Varie volte ci siamo confrontati sulla validità o meno del concetto di Festival, e varie volte mi sono detta che forse aveva ragione lui. Studioso attento, valido interlocutore, grande ascoltatore dotato del dono della sintesi, sarà la persona giusta con cui interrogarsi su pregi e difetti del sistema culturale italiano, attraverso lo specifico binocolo che guarda non solo alla qualità e alla validità dei contenuti, ma anche alla lungimiranza e modernità dei relativi sistemi di comunicazione e diffusione.

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