CheFare: nuove strade per finanziare la cultura e l’innovazione sociale

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Da chi abbia seguito con un po’ di attenzione il dibattito culturale locale, l’estata appena trascorsa verrà ricordata soprattutto per le accese polemiche che hanno opposto il mondo dell’associazionismo bolzanino alla pubblica amministrazione.

Chiunque volesse approfondire il dibattito in merito troverà sicuramente utile la dettagliata rassegna stampa messa a disposizione dagli amministratori della pagina Facebook Bolzano, capitale di quale cultura?

Chi scrive è convinto che al di sotto delle schermaglie a cui abbiamo assistito quest’estate si possa identificare con una certa chiarezza come nell’ambito della cultura si stia assistendo ad un cambio di paradigma che si accompagna ai mutamenti profondi che la società ha affrontato negli ultimi dieci anni. Al modello dell’associazionismo culturale, fondato sul lavoro volontario dei soci e strettamente legato alla committenza pubblica, si va affiancando il modello dell’impresa creativa, fondato sul riconoscimento di figure professionali emergenti e in parte indipendente dalla committenza pubblica.

La questione del finanziamento dell’attività culturale diventa quindi scottante in un momento di profonda crisi economica come quello che stiamo vivendo.

Un tentativo di immaginare forme nuove di finanziamento dell’attività culturale lo stanno facendo i promotori di cheFare, un’iniziativa lanciata pochi giorni fa. Di che cosa si tratta nello specifico? CheFare vuole essere una piattaforma di sviluppo per le attività culturali, innovative e ad alto impatto sociale che permetta di sperimentare nuove modalità di progettazione e finanziamento.

L’iniziativa seguirà una deadline ben precisa. La prima tappa permetterà di creare una mappatura dei progetti più interessanti che risponderanno al bando di concorso elaborato dallo staff di cheFare. In una seconda fase i progetti così selezionati verranno presentati su una piattaforma informatica realizzata in collaborazione con la fondazione <ahref di Trento, che è uno dei partner dell’iniziativa. Qui i progetti saranno visibili al pubblico e dotati di strumenti per autonarrarsi e autofinanziarsi attraverso il crowdfunding (sarà Eppela, la nota piattaforma di finanziamento dal basso nonché partner di cheFare, a fornire ai partecipanti gli strumenti per affrontare questa fase).

I 5 progetti più votati dal pubblico accederanno all’ultima fase dell’iniziativa, in cui una giuria composta da 5 “saggi” sceglierà il progetto vincitore che sarà premiato con la cifra di 100.000 euro. Compongono la giuria lo scrittore Andrea Bajani, il filosofo Roberto Casati, l’economista Paola Dubini, il semiologo Gianfranco Marrone e il giornalista Armando Massarenti.

Inoltre, per tutta la durata dell’iniziativa, i promotori si impegnano a sviluppare un dibattito articolato sui temi del progetto.

Cosi com’è strutturata, la procedura garantisce una grande trasparenza e premia, in particolare nella seconda fase, la capacità dei singoli soggetti di raccontarsi e di fare rete. Ovvero quelle capacità relazionali e sociali che, in un mondo sempre più connesso, costituiscono fattori imprescindibili per il successo di un’impresa che miri a incidere e ad avere ricadute tangibili sul corpo sociale.

Diversi sono i concetti e le parole chiave attorno a cui si struttura il bando di partecipazione a cheFare ma è uno in particolare ad avermi colpito molto positivamente: scalabilità e riproducibilità. Ovvero la capacità del singolo progetto di essere riproposto in contesti e formati diversi in pieno rispetto della filosofia open source che caratterizza l’intera iniziativa.

Mi pare che questa sia l’occasione anche per i molti soggetti attivi sul nostro territorio negli ambiti di riferimento per mettersi in gioco e sperimentare nuove modalità di finanziamento della propria attività e nuove modalità attraverso cui relazionarsi agli ecosistemi culturali sul territorio nazionale. È con questo auspicio che concludo il post.

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