Sonorizzare un silenzio infinito

07.05.2012
Sonorizzare un silenzio infinito

Sonorizzare un silenzio infinito

07.05.2012

Sonorizzare un silenzio infinito, dare voce ad una distesa interminabile di neve e ghiaccio, dove tutto sembra immobile, non è impresa tra le più semplici, musicalmente.

È questa la sfida poetica con cui Simon Fisher Turner approccia la musicazione del film The Great White Silence di H.Ponting (1924), lavoro commissionato dal BFI in occasione dei 100 anni della spedizione di Scott al Polo Sud (1912-2012), che il pubblico del TRENTO FILM FESTIVAL  ha potuto vedere e ascoltare dal vivo, nella sala gremita dell’Auditorium Santa Chiara, venerdì scorso.

Come affrontano questo sconfinato silenzio bianco il nostro compositore e l’Elysian Quartet? Simon Fisher Turner è un musicista di lunga e ricca esperienza, passato attraverso la variopinta scena new wave pop inglese della fine degli anni ‘70, attraverso band e progetti come King of Luxembourg, incidendo per etichette come MUTE  e Creation, fino all’uso esplorativo e raffinato dell’elettronica e del field recording (Soundscapes, con Espen Jorgensen, Mute 2011).

E’ a quest’ultimo approdo poetico che Fisher affida la sua bussola per seguire le immagini, guidandoci per una durata di un’ora e mezza di film: la conduzione è affidata a lunghe fasce sonore statiche, realizzate registrando ed elaborando suoni concreti d’ambiente (lunghissimi fischi, folate di vento): campioni modulanti su cui i musicisti del quartetto Elysian Quartet intervengono episodicamente, con texture dal sapore minimalista, increspando la massa sonora dei drone con brevi fraseggi o inspessendola con lunghe sovrapposizioni di armonici.

Molti gli espedienti descrittivi nei campioni di musica concreta elaborati da Fisher Turner: il verso degli uccelli, la registrazione del gorgoglio dell’acqua, il temibile ululare del vento, il suono della campana della nave, la citazione di una registrazione originale dal grammofono di una ballata per mandolino per accompagnare in modo molto realistico una danza in un momento di svago sulla nave.

Il clarinetto basso, che arricchisce la tavolozza timbrica del quartetto d’archi, si sovrappone ai lunghi bordoni statici dei campionamenti con pedali e ostinati ritmici che richiamano l’uso dei fiati inventato da Steve Reich in Music for Eighteen Musician.

Come la densità dell’acqua varia dall’increspatura dell’onda, in cui giocano mastodontici leoni marini, fino all’inspessimento del ghiaccio, così questa composizione musicale gioca la sua dimensione narrativa lungo questi diversi spessori di fasce sonore, senza interventi di spiccato sapore solistico ne’ l’emergere di rilevanti primi piani. Unica eccezione, il lungo canto finale affidato alla voce sola, citazione del tema utilizzato per la commemorazione funebre del febbraio 1913 nella Cattedrale di St. Paul a Londra, in onore delle vittime della spedizione del ‘12.

Il senso dell’orientamento è un elemento concreto e determinante di una spedizione in tempi lontani da navigatori e satelliti, e le immagini vibrano della perizia e dell’esperienza delle squadre di uomini che “annusavano il vento”, e insieme a Schott affrontarono questa incredibile missione esplorativa in una natura radicalmente ostile all’uomo. Nella visione di un film muto la musica influisce sul nostro senso di orientamento di spettatori coinvolti nell’audiovisione, e può restituire (non è scontato che accada!) voce e spessore ai movimenti,altrimenti innaturali nella loro mutezza. Il pubblico del TRENTO FILM FESTIVAL, appassionato e partecipe, ha sicuramente gradito questa esplorazione audiovisiva.

 

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