Contemporary Culture in the Alps
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© 2025 FRANZLAB
Centrale Fies

Feminist Future e il progetto di co-design thinking applicato alla comunicazione

20.06.2025

© Centrale Fies

In comunicazione il linguaggio e l’immagine sono punti di attenzione sempre più complessi e delicati. Molte questioni sostenute, praticate e sperimentate in questo centro, soprattutto in comunicazione, sono diventate imprescindibili anche nel dibattito pubblico. Centrale Fies ne segue così le evoluzioni spesso lavorandoci, schierandosi e sperimentando in prima linea, per chiedersi continuamente quale sia la sua posizione. 

Anche la rinegoziazione coi pubblici o con chi legge i contenuti di social, siti e comunicazione, cambiano di segno: un pubblico completamente nuovo, con cui risuonare, sembra avere il potere di ridisegnare paesaggi e contesti al di là di quelli già immaginati. 

Forse è anche per questa attenzione e delicatezza nei confronti del linguaggio che Centrale Fies, nel 2022, viene selezionata all’interno della rete europea apap-Feminst Futures, per creare una nuova identità visiva.

La rete europea, di ispirazione femminista, sceglie di non lavorare tanto sul tema del femminismo all’interno delle produzioni artistiche, ma si chiede cosa voglia dire immaginare il femminismo come metodo, come esercizio critico, come etica, sperimentando uno switch nei modelli di relazione interni/esterni alle strutture e nelle relazioni tra art-worker, e coi pubblici. 

Ne sono esempio le linee guida, posizionate nei punti strategici del centro e offerte al pubblico, immaginate per condividere e sensibilizzare a un atteggiamento inclusivo, aperto e rispettoso di ogni cosa e persona, in una sorta di vademecum per lo stare assieme all’interno dello spazio fisico e mentale condiviso.

La scelta della crew di comunicazione di Centrale Fies di impostare un lavoro di co-design thinking, per la creazione di logo e identità visiva, nasce proprio da questa voglia di sperimentare sul campo l’orizzontalità e la condivisione con le altre realtà partner della rete europea. Ma quale tipo di Europa avremmo dovuto guardare? Quale Europa avevamo in mente? 

Nello spettacolo Olympic Games, la coreografa Chiara Bersani e il coreografo Marco D’Agostin, in scena con Marta Ciappina e Matteo Ramponi, aprono la scena con una lettera struggente al pubblico, una lettera che parla di come ci abbiano fatte e fatti nascere “sotto stelle morenti” che però avevamo imparato a contare, e mano a mano che se ne aggiungeva una, la mettevamo sulla nostra bandiera blu e le davamo un nome. Una generazione, la mia, cresciuta col mito dell’Europa che abbiamo visto accendersi di luce e lambire spaventosamente il buio.

Chiara è sul palco, e arrivata al proscenio legge a voce alta una piccola parte di uno sgomento personale e collettivo, dedicato al concetto di Europa:

“È molto difficile essere qui, davanti a voi, e dovervi parlare a nome mio, di Marco, di Marta e di Matteo. Da sempre stiamo cercando le parole giuste per farlo. Abbiamo trafitto l’Europa per trovarle. Le abbiamo scritte, da un lato all’altro del vecchio continente, gli uni agli altri, cercandone sempre di nuove. Abbiamo spedito cartoline su cui piccoli astronauti piantavano bandiere immaginarie; abbiamo preso aerei che ci hanno portati da Amburgo a Barcellona, abbiamo bevuto caffè a Marsiglia, tè a York; alcuni amori ci hanno inseguito volando sul Mar Mediterraneo, con altri abbiamo combattuto nelle lunghe notti di Zagabria. Alla fine qualche parola l’abbiamo trovata. Eppure, ora che sono qui, è difficile rivolgerle a voi (...)”

Vent’anni fa la narrazione dell’Europa portava tutta verso un luogo unitario e depositario di civiltà, cultura e democrazia ed era in larga parte compatta all'interno dell'Unione, facendo sì che molte persone si riconoscessero in valori comuni, seppur i percorsi individuali non fossero sempre allineati nel raggiungerli. Una serie di trasformazioni economiche, politiche e sociali hanno messo in crisi il racconto con cui una generazione è cresciuta: Brexit, ultra nazionalismi, migrazioni ma anche lotte e approcci decoloniali per intaccare il pensiero eurocentrico. Come trovare allora una stessa idea di immaginario femminista al quale far aderire 11 paesi partner, con undici storie e velocità differenti?

In quei mesi, inoltre, mentre la Polonia stava lottando per il diritto all’aborto, in Italia si stava facendo strada - attraverso letteratura, talk, festival, incontri -  l’idea di un femminismo senza categorizzazioni di genere. C’erano da considerare teorie, ricerche e analisi storiche in una complessità di rilettura e reinterpretazione, da confrontarsi con la natura politica del tema, vagliandone i risvolti e le mutazioni dettate dai passaggi di contesto spaziale e sociale. 

Attraverso strumenti di feedback, a distanza, è stato possibile comprendere prospettive, esperienze e punti di vista di ogni realtà partner, che da subito hanno sentito l’esigenza di creare uno spazio sicuro e inclusivo nel quale esprimersi liberamente, dando forma a una collaborazione significativa. La condivisione dei passaggi pratici e teorici hanno velocizzato sinergie, anche quando veniva chiesto alle realtà partner di esprimere opinioni, suggerimenti, valutazioni.

Una via da intraprendere poteva essere quella di ampliare il campo del concetto di femminismo senza escludere il sentire di nessuno. Insomma, se la filosofa Rosi Braidotti immagina il femminismo allargato a tutti gli ambiti possibili, senza depotenziarne la prima identificazione con la donna ma anzi, amplificandone le conquiste fatte e quelle a venire, e quello di Helen Huster in Xenofemminismo è un femminismo “alieno” che lavora per tutte quelle identità che sono estranee a ciò che viene ritenuto la normalità, forse avevamo trovato un terreno comune.  

Si trattava dunque di individuare un linguaggio, veloce e potente, capace di contenere concetti da un lato collettivizzati e dall’altra portatori di altre possibilità reali e immaginifiche. Lavorare alla co-direzione creativa per questa nuova identità visiva di una delle più importanti reti europee dedicata alle arti performative, ha voluto dire anche co-creare un metodo comune per confrontare gli immaginari visivi e linguistici, sia quelli consolidati che da rielaborare. 

Quello che abbiamo messo a disposizione delle undici realtà è stata una griglia di posizionamento iconografico, nella quale precedentemente avevamo registrato decine di immagini raccolte e selezionate dal web, suddivise per aree che richiamassero gli immaginari collettivi più praticati e in auge. 

La tavola moodboard conteneva otto categorie da noi nominate con termini evocativi capaci di aprire dei frame. 

Di seguito la suddivisione proposta al gruppo di lavoro.

1. girl power (celebriamo l'emancipazione, l'indipendenza, la fiducia e la forza delle donne) 2. the spell (la stregoneria trasformerà la realtà) 3.the new queer (l'evoluzione dell'iconografia queer, l'accento sulle identità fluide e plurali: il nuovo arcobaleno.) 4. making kin (ricercare nuovi modi di relazionarsi con tutte le altre forme di vita) 5. witches against fascism (rituali, performance e azioni collettive private e pubbliche per combattere il fascismo "fissiamo in profondità le telecamere di sorveglianza finché non si frantumano." 6. intersectional (le lotte alle disuguaglianze e all’oppressione, se unite, possono valere ancora di più) 7. xenofeminism (l'evoluzione antinaturalistica del femminismo (intersezionale/inclusivo/tecnologico/antibiologico) 8. the political body (il mio corpo non è un parco giochi).

Interessante e sorprendente vedere in tempo reale i posizionamenti dei partner della rete, che in questa occasione si sono divisi a metà tra witches against fascism e making kin, così come sfidante il far collidere le soluzioni, in cui non avrebbe vinto la proposta più votata dai membri del gruppo, ma quella che esprimeva la crasi tra le diverse visioni. 

Il creare una visual identity attraverso il co-design tra strutture ha dato origine a una riflessione culturale e politica e a una volontà di lavoro orizzontale e inclusivo nell’operatività di musei, festival e centri di ricerca della rete, che ha reso più coerente la natura profonda del progetto. 

© Centrale Fies

La risultante di questo incrocio di visioni e di posizionamenti è l’immagine di una stella a 5 punte, rimando al pentacolo, ai cinque sensi e agli elementi di aria, fuoco, terra, acqua e spirito; al centro della stella un capezzolo senza genere, simbolo di sensibilità, piacere e nutrimento mentre la texture/pelle perlata e aliena a racchiuderne qualsiasi ipotetica provenienza. 

L’immagine è stata affiancata da un lettering a mano, un passaggio di forma dall’icona alla scrittura a preservarne la sostanza e la matericità. Una volta creata, l’identità visiva è stata reinterpretata dai partner della rete, compresa Centrale Fies che ne ha elaborato due versioni successive: trasformazioni generate dall’incontro con le linee della progettualità annuale del centro di ricerca fino al 2023, quando lo sfondo dell’immagine si infiamma nell’oscurità e la stella si fa spazio di accoglienza per altre forme di vita in grado di proteggerla e moltiplicarne i punti sensibili allo stesso tempo. 

da TELL MUM THE SPELL WORKED #0, Centrale Fies 2023

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