Al Museo Civico di Bassano del Grappa, la Rivoluzione divisionista oltre il mito della vetta solitaria

Giovanni Segantini "Ritorno dal bosco" 1889-1890 © Segantini Museum St. Moritz
Per molto tempo il racconto su Giovanni Segantini è rimasto prigioniero di una retorica romantica e monolitica: quella del genio solitario, l’eremita delle vette consumato dalla sua ossessiva ricerca della luce eterna e stroncato dalla peritonite a soli quarantun anni su un alpeggio di Schafberg. Oggi, a oltre un decennio dall’ultima grande retrospettiva italiana, il Museo Civico di Bassano del Grappa, in piena risonanza con l’Olimpiade Culturale di Milano-Cortina 2026, smantella questa narrazione per consegnare al pubblico un Segantini nuovo, audace sperimentatore, perfettamente integrato nei dibattiti figurativi della sua epoca. La grande mostra curata da Niccolò D’Agati, inaugurata lo scorso 25 ottobre per rimanere allestita fino al 22 febbraio 2026, non è una mera celebrazione ma un’operazione di rigore scientifico che, attraverso un centinaio di capolavori rintracciati tra le massime collezioni pubbliche e private internazionali, ricolloca il pittore di Arco nel firmamento dell'Ottocento europeo.




Nell'ultimo decennio, a Maloja, la ricerca di Segantini si condensa nel "simbolismo naturalistico": la natura non è solo descritta, ma assolutizzata e resa eterna, carica di poesia e sentimento, come nelle opere "Le due madri", "L’ora mesta" o "La vanità", dove la fanciulla non si specchia nella propria beltà, ma scorge un dragone che incarna l'invidia. L'ossessiva tensione a catturare lo spirito della montagna si concluse tragicamente sulle alture di Schafberg, in un estremo tentativo di completare il pannello centrale del suo grande trittico.

Questa rilettura di Segantini non sarebbe stata possibile senza il rigore scientifico che ha preceduto la mostra, con indagini non invasive che hanno svelato inediti dettagli sulla tecnica pittorica e sui materiali impiegati, in particolare su opere chiave come l'"Ave Maria a trasbordo". L'allestimento di Mustafa Sabbagh amplifica questa intensità: un palcoscenico drammatico di luci e ombre in cui i colori vibranti delle tele risplendono, trasformando la visita del pubblico in un'esperienza emozionale e unitaria. La mostra di Bassano del Grappa è oggi un nostalgico tributo, ma soprattutto la definitiva affermazione di Segantini come figura di modernità laica la cui celebrazione della montagna, in un'epoca di repentino cambiamento climatico, si rivela oggi più attuale e ineludibile che mai.
