Dal bar al lievitato gourmet. Una sfida famigliare dal 1986

Da sinistra: Santo, Fabiana e Francesco della pizzeria "Il Corso" di Bolzano, @ Franziska Unterholzner
Si chiama "Il Corso", ma tecnicamente è al civico 44 di Piazza della Vittoria, prima insegna dei Portici che conducono a Gries. La storia di questa insegna bolzanina, oggi locale di tendenza con "Due Spicchi" della guida "Gambero Rosso 2026", racconta l'epopea di una famiglia: i Gabriele-Cardinali, che da quattro decenni riscrivono il concetto di accoglienza e, più recentemente, il canone della pizza.
Santo Gabriele, l’anima del forno, ne traccia il perimetro storico. "Tutto nasce in questo locale nel 1986. Era l'iconico "Bar del Corso" fin dal 1933, anno in cui hanno edificato il quartiere. Io sono cresciuto nel bar di casa, con i miei genitori: papà Francesco e mamma Ida". L’evoluzione è stata un’onda lunga e misurata: da semplice "bar della movida" negli anni Novanta, in una Bolzano in cui "la gente pranzava fuori casa solo per necessità", si trasforma grazie a un format lungimirante, precorrendo i tempi con un’offerta di piatti veloci e di qualità declinati per il pranzo di impiegati e professionisti. "Eravamo io e Fabiana, all'epoca mia fidanzata e oggi mia moglie, a introdurre le novità", spiega Santo. "Io già lavoravo dietro le quinte con idee innovative - ricorda Fabiana -. Tirava tantissimo la pasta, i primi piatti, abbiamo introdotto le insalatone. Un format decollato quando c'è stata la necessità del pasto veloce".


Il punto di svolta definitivo, la vera cesura tra il passato e il presente, è stato però il primo lockdown del 2020. "Fino al Covid il servizio bar è rimasto: poi è diventato pizzeria. Abbiamo stravolto il locale e la proposta culinaria". Un cambiamento non dettato dalla fortuna, ma da un'antica e inesauribile passione di Santo maturata lontano dai riflettori. "La mia esperienza parte dal '79: studiavo da odontotecnico e sfornavo pizze la sera nella pizzeria "Gambrino" di famiglia che vendemmo negli anni Novanta. Mi affascinava il lievitato: una pasta cruda che in un minuto diventa una pizza e si può mangiare. È meraviglioso, è quasi magia".
La curiosità lo ha portato a Napoli per mesi, per studiare i processi chimici e la lievitazione che gli artigiani locali non riuscivano a spiegare. "Sulla parte "meccanica" ero già pronto, ma volevo cambiare il mio approccio. Napoli mi ha aperto gli occhi su come trattare l'impasto e scegliere il tipo di farina. Poi ho elaborato una filosofia e una tecnica mia: ecco perché oggi noi siamo diversi. Non siamo più bravi di altri, ma diversi sì". Questa "diversità" si traduce in una pizza contemporanea che si allontana dal disciplinare napoletano con l’aggiunta di farine integrali e una maturazione lunga, fino a trentasei ore.


L'identità estetica post-lockdown porta invece la firma di Federico, il figlio "esteta e buongustaio", e di Fabiana, co-creatrice. "Dovevamo far capire alla clientela che era cambiato qualcosa: non potevamo solo mettere l'insegna "pizzeria" - racconta Federico -. Ci siamo innamorati di questo azzurro dopo un viaggio a Capri; uno scorcio di mare che abbiamo mutuato come spunto di design qui a Bolzano". L'arredo è un mix di scelte audaci: tinte accese, maioliche mediterranee, teste di moro e pezzi vintage scovati nei mercatini. "Il locale oggi ha un'identità propria, con contrasti, neon moderni e arredi vintage - prosegue Federico -. L'impatto è forte, con tante cose da fotografare, ed è oggettivamente uno stile che oggi si direbbe instagrammabile, che è fondamentale".
Al dinamismo della pizza e dell'arredo risponde la pacata dolcezza di Fabiana, l'altra colonna portante, che ha trovato il suo spazio creativo nei dessert. "Ho sempre avuto la passione per i dolci, coltivata a livello amatoriale. Il cavallo di battaglia? Dagli inizi e ancora oggi è il mio tiramisù". Un’attenzione maniacale alla qualità degli ingredienti – mascarpone sodo, uova fresche, savoiardo doc – che l'ha portata tra i finalisti alla prima edizione della Tiramisù World Cup nel 2017, con 780 pasticcieri. Non tutte le sfide culinarie, tuttavia, sono andate a buon fine. "Due o tre anni fa ho fatto la cassata siciliana con la ricetta originale. Purtroppo ho trovato un siciliano integralista, un talebano della cassata, e l'ha definita "imbarazzante". Ci sono rimasta malissimo", ammette con ironia.

Nonostante il contraccolpo, i suoi dolci fatti in casa, come il salame al cioccolato e le declinazioni di crema al mascarpone, sono diventati parte integrante dell'offerta, rispondendo al desiderio di "sapori che ti riportano un po' all'infanzia". Più difficile, invece, è stato il tentativo di reintrodurre un classico come la zuppa inglese: "Tanti non sanno neppure che non è una minestra... è un dolce vintage a cui è difficile togliere le ragnatele".
La staffetta generazionale nel laboratorio è incarnata da Francesco, il figlio pizzaiolo, "che ha portato la freschezza tipica di un ragazzo di vent'anni ancora più curioso di me", ammette Santo. Francesco, diplomato in odontotecnica, ha trovato la sua vocazione nel lievito dopo il cambiamento radicale del locale. Anche lui ha affinato la tecnica a Napoli, per poi tornare e portare nuove prospettive: "La prima pizza che ho inserito in menù? "Alta quota", con Graukäse, speck e crumble di Schüttelbrot, pensata per un concorso sul tema no-waste e territorio: unisce sapido, dolce, aspro e diverse consistenze". La ricerca è continua, con pizze stagionali come "L'orto d'inverno", con cavolo viola e speck al fieno, e l'imminente "Spiegeleier", con uova, patate e cipolle: un omaggio alla tradizione culinaria sudtirolese.

La filosofia del team si estende anche al progetto "Levita", elaborato da Fabiana con il supporto nutrizionale della Clinica Bonvicini: due ricette a grammatura ridotta - "In malga" e "Luce d'autunno" - per ridefinire la pizza in chiave di equilibrio e benessere con impasti a base di integrali e cereali.
A chi tenta l'impasto a casa, Francesco regala qualche consiglio pratico: "Un errore banale? Ascoltare chi dice di usare poco lievito. Se hai degli amici a cena e vuoi fare la pizza, impasti il pomeriggio con le giuste dosi di lievito, più elevate, e avrai un impasto perfetto in maniera veloce senza dover aspettare due giorni. La pizza nn "lieviterà in pancia" perché, già solo a 50 gradi, il lievito muore". Allo stesso modo, il giovane pizzaiolo sfata il mito delle lunghe lievitazioni eccessive: "Chi parla di 72 ore sta dicendo una cavolata oppure sta proponendo una pizza faticosa da masticare. Meglio farla lievitare bene che tanto. Un processo di 48 ore a freddo aiuta la maturazione, ma con la giusta tecnica l'impasto garantisce un ottimo prodotto".


Un prodotto che, conclude Santo, è frutto di un unico incrollabile principio: "La base è sempre la qualità". Con centocinquanta coperti e un menu che affianca la pizza a piatti di cucina ricercati, dai "Paccheri antica ricetta" al "Risotto alle rape rosse" o all'hamburger di montagna, l’evoluzione de "Il Corso" non si ferma. L’orizzonte futuro è già definito da Fabiana: "Non vogliamo raddoppiare il Corso, ma pensiamo già a come proporre un'altra formula altrove. Ci piacerebbe, rimanendo nei lievitati, provare a fare una pizza al taglio gourmet, fatta bene, con un bell'ambiente e un arredamento curato. Devi attrarre il cliente non perché sei abbordabile, ma perché fai qualcosa di unico, di buono e di speciale".
