Fotografare le Alpi #25. Intervista a Giorgia Armas

@ Giorgia Armas
Nata su un’isola, ha imparato a fotografare la montagna capendo di non poter fare a meno di nessuna delle due. È il percorso artistico e personale di Giorgia Armas, talentuosa fotografa sarda di soli 21 anni, originaria di San Gavino Monreale (Medio Campidano) ma cresciuta ad Arbus, vincitrice del Lagazuoi Photo Award - New Talents 2025. Nonostante fosse la più giovane del gruppo, ha saputo mettere in dialogo l’intimità del presente con le drammatiche tracce del passato, aggiudicandosi il prestigioso premio fotografico.
“La passione è nata dal vedere sempre mia madre con la macchina fotografica in mano - ricorda -, ci faceva le foto e le stampava. Mi affascinava l'idea di avere di fronte a me la vita e la possibilità di raccontarla per immagini”. L'input formativo decisivo lo deve però a un docente al Liceo Artistico di Oristano, dove si è diplomata in arti figurative. La scelta di approfondire la tecnica e la storia della fotografia è sfociata negli studi triennali al CFP Bauer di Milano: un percorso che terminerà a dicembre e che le ha permesso di integrare la sua predilezione per l'arte manuale e la pittura con il mezzo fotografico.

È stata la lontananza da casa, vivendo a Milano, a farle riscoprire “la parte di me che prima davo molto per scontata, quella delle tradizioni della mia terra, l'unicità della Sardegna”. Questa indagine identitaria è alla base del progetto “Fil’e Oru” (filo d'oro), con cui è stata selezionata per il concorso Lagazuoi, incentrato sul tema del patriarcato sardo rivisto in chiave matriarcale attraverso il simbolismo della filigrana. Il premio, tuttavia, è stato conferito al lavoro svolto in alta quota durante la residenza artistica a quota 2.700 metri: un’esperienza formativa d’eccellenza che si è svolta tra Cortina e l’Alta Badia. Il progetto “Non sono mai stata tanto attaccata alla vita” si focalizza su una rilettura carica di poesia e speranza dei lasciti della Grande Guerra. La giuria ha lodato la sua “personale e toccante capacità di mettere in dialogo passato e presente” attraverso un soggetto denso e complesso, distinguendosi per un linguaggio visivo “originale, ricco e articolato, capace di restituire un'esperienza intima e identitaria, ma anche trasversale e collettiva”.

Giorgia, come nasce questo progetto fotografico?
È nato da un bando proposto a quattro istituti di fotografia. Tra i 35 partecipanti, siamo stati selezionati in quattro. Ho dovuto fare un’indagine approfondita sul luogo, che non essendo il mio, non sapevo come descrivere senza cadere nel banale o nello sguardo da turista. Ho indagato il passato e il presente del Lagazuoi, un ambiente molto frequentato da turisti e sportivi. Volevo riportare questo evidente turismo sulle tracce storiche della Prima Guerra Mondiale, come le trincee e le gallerie che vengono esplorate ma che, di fatto, restano scenario di guerra. Il mio obiettivo era portare lo spettatore a immergersi nella storia del luogo e a riflettere su scenari che, purtroppo, vediamo riproporsi nell'attualità internazionale. Ho alternato fotografie di paesaggio su queste tracce e fessure con immagini più aperte, ribaltate e modificate, che simulano uno spazio chiuso e opprimente ma, allo stesso tempo, aperto sul paesaggio montano.



Cosa rende riconoscibile il tuo stile fotografico?
Essendo ancora agli inizi, è difficile etichettarmi con uno stile: è una continua indagine. In questo progetto ho cercato di indagare l’aspetto sia sociologico sia ambientale; un approccio che ho ritrovato, con declinazioni diverse, anche nel lavoro che mi ha fatto selezionare, “Fil’e Oru”, dove ho investigato il patriarcato sardo attraverso la filigrana e l'artigianato, fondendo fotografia e lavoro tessile. Probabilmente la sensibilità con cui osservo le cose che mi circondano e di conseguenza le fotografo è il tratto distintivo che vorrei fosse solo mio.
Come nasce il desiderio di indagare le Alpi?
Sono sempre stata molto legata alla natura e vivere tre anni in città mi ha fatto capire che quello non è il mio "posto felice". Ritrovarmi in mezzo alla natura mi ha riportato la tranquillità mentale. Indagare un luogo così stimolante come la montagna, piena di storia, mi genera una curiosità che altrove non avvertirei. Le Alpi sono un luogo che non avevo mai visitato e raccontarle è stata una sfida, sia per l'altitudine elevata sia perché è un luogo sconosciuto con dinamiche particolari. È stata una sfida anche trovarmi da sola con cinque sconosciuti che poi, instaurando un legame forte. sono diventati compagni importanti. Creare un progetto fotografico su un luogo di cui non sai nulla in pochi giorni è molto stimolante e ti spinge a dare tanto.

Riconosci un’evoluzione nei tuoi scatti alpini?
All'inizio, esplorando, mi è venuto naturale fare le classiche foto da cartolina con paesaggi mozzafiato. Ho visto una vera evoluzione quando mi sono calata all'interno di trincee e gallerie: in certe fotografie ho trovato uno sguardo diverso, non più quello del turista ma di chi si immerge, quasi a simulare lo sguardo di un soldato. L'evoluzione è stata cercare di guardare il paesaggio con un'ottica scomoda. Le foto ribaltate sono lo sguardo creativo che ho voluto imprimere per stimolare all'esterno delle gallerie la stessa sensazione che si poteva vivere all'interno: creare una fessura che simulasse la montagna come teatro di bellezza, ma anche di guerra, chiusura e oppressione.
Con quale approccio hai scelto di immortalare l’arco alpino?
Non di denuncia, ma di riflessione. Inizialmente avevo pensato al bianco e nero, ma avrebbe avuto un impatto troppo angosciante. Volevo portare lo sguardo a riflettere sulla realtà di questi posti, scenario di guerra e di cambiamento territoriale: la montagna scavata è stata essa stessa vittima degli scontri. Volevo indurre un senso di riflessione a chi visita la montagna, offrendo uno sguardo in più sulla storia dell'uomo, non solo sull'escursione.

Cosa hai scoperto in questa tua indagine fotografica?
L'avventura del progetto in sé mi ha aperto gli occhi su molte tematiche che già mi stavano a cuore. La mia sensibilità è aumentata, anche grazie agli insegnamenti dei tutor e ai miei compagni. Non c'era competizione tra noi; è stata un'esperienza condivisa e molto stimolante. Questo mi ha resa più spontanea nell'affrontare il mio progetto, senza pressione. Anche la montagna ti stimola a guardare le cose con un occhio diverso, ti porta a riflettere sul senso del limite, soprattutto in condizioni meteo difficili. È stato un momento di grande crescita sotto tutti i punti di vista.
Com’è, oggi, il tuo rapporto con la montagna?
Vivo un desiderio crescente di tornare a esplorare questi ambienti che non mi sono molto familiari. Sono nata tra colline e mare: non avevo mai visto né esplorato montagne così alte, quindi resta molta curiosità. La montagna mi regala tanta pace; anche il silenzio, che può spaventare, è impagabile. Nonostante i pericoli e il fatto che sia un luogo difficile, la sua bellezza e tranquillità sovrastano nettamente tutti i timori e le paure.

Quale consideri il tuo scatto migliore?
Probabilmente la trincea immortalata dall'alto, che mi piace molto dal punto di vista compositivo. Ho cercato di far vedere la montagna scavata, il taglio nel versante, il sentiero che è stato percorso dai soldati in guerra ed è ancora oggi meta di turisti. Questo riporta alla dualità che volevo esprimere. La foto ha in primo piano la trincea che simula una curva, il "sentiero degli alpini" che porta alla cresta del Lagazuoi, e sullo sfondo le altre montagne, senza la presenza di esseri umani. I colori sono tenui: prevalgono il bianco e il beige della dolomia che caratterizzano le trincee.

Senti il desiderio di catturare un’immagine ancora mai scattata?
Sì, ho ancora la curiosità di esplorare la parte est del monte caratterizzata dalla presenza di gallerie e in particolare il ponte sospeso. Mi sarebbe piaciuto dedicargli un'indagine più approfondita. Da quel punto si potrebbero vedere le trincee austriache. Avrei voluto fare una foto dall'alto per coglierne la geometria e riportarla al senso del mio progetto: quasi una foto appiattita, schiacciata, rispetto a quella che ho scattato. Quella sarebbe bella da fare... magari tornerò.