Contemporary Culture in the Alps
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AAA Avventure di un Aspirante Anziano

Avvistamento in zona di un esemplare di orsa Bruna (Maria Dal Lago Veneri)

27.10.2025
Matteo Jamunno

© Matteo Jamunno

Scrivere (nel mio caso almeno) è un processo molto solitario. Liberatorio. Ci deve essere la temperatura giusta, aver dormito le giuste ore di sonno, essere dell’umore giusto (quindi triste), mettere il telefono su silenzioso, circondarsi di rumori bianchi che aiutino a concentrarsi.
A me piace molto andare in un bar e sentire il muoversi e il vivere delle persone attorno mentre sto scrivendo, perché quando scrivo io sprofondo negli abissi della mia mente e la sotto è buio, fa freddo, ogni tanto appaiono dei lampi di luce provenienti dal fondale delle idee “quasi” geniali e sapere di essere con il corpo in un bar, mi aiuta a non rimanere bloccato in apnea per troppo a lungo. Ma nessuno mi deve parlare. Sfiorare.
Ho avuto dei periodi in cui scrivevo solo la notte ma ho dovuto cambiare abitudine perché poi non riuscivo a prendere sonno e l’ho scritto all’inizio, per scrivere bene devi aver dormito abbastanza altrimenti le parole vengono divorate dalle ansie delle ore di veglia forzata.

Ho sentito che a Bolzano, in una zona ben precisa della città, hanno avvistato un’orsa Bruna, dimensioni contenute, esperta di insonnia e scrittura, un po’ avanti con l’età, per essere un’orsa.

La chiamo al telefono e risponde subito. Non sapevo che le orse fossero dotate di telefoni cellulari ma questo esemplare non solo ne è dotato ma sa anche scrivere messaggi su Whatsapp.

L’orsa Bruna, che di secondo nome fa Maria e di cognome Dal Lago Veneri, è un’orsa motorizzata. Mi apre la porta di casa mentre è in sella a un velocissimo deambulatore metallizzato quattro ruote motrici (essendo però Bruna madre di una prolifica e talentosa stirpe, possiamo definirle ruote matrici) e io resto stupefatto dai modi gentili e accoglienti e dalla casa che più che la tana di un’orsa, sembra un museo della letteratura, del design, dell’architettura e di qualunque altro tipo di arte vi possa venire in mente.

Ho davanti a me un’orsa instancabile che parcheggia il proprio mezzo di trasporto in seconda fila in cucina e si siede a una tavola rotonda che racchiude la storia di decenni di cene con ospiti eccezionali, che purtroppo oggi potrà annoverare solo la mia misera presenza.
Bruna ha scritto libri, ha narrato storie e ne ricorda ancora tantissime anzi penso le ricordi tutte. La prima cosa che le chiedo è come faccia a ricordare con precisione così tanti dettagli e mentre mi spiega il processo capisco che è tutto allenamento dei muscoli della curiosità. Certo, per muoversi ha bisogno del suo mezzo di locomozione, ma la sua lingua, le sue parole, sfrecciano alla velocità dei treni giapponesi. Puntuale, inizia un discorso e dopo averti fatto apprezzare il paesaggio, conclude dandoti una risposta mai banale, sempre ripiena di tutta la sua esperienza.

Le ho chiesto di vederci perché ultimamente mi sento un po’ abbattuto per questo mestiere in cui sono capitato, dello scrittore. Dell’autore per essere precisi. Della solitudine che ne deriva.

-    Bruna, scrivere è un mestiere solitario?
-    Per niente, noi siamo sempre circondati dai nostri personaggi.

Ha iniziato giovanissima a scrivere, a creare. È sempre stata libera di provare e sperimentare, sostenuta dal marito scomparso oramai 32 anni fa ma che appare in ogni sua memoria.

Bruna ci tiene a fare questa distinzione tra memoria e ricordi. I ricordi possono non smettere mai di fare male. Le memorie sono archivi, depositati dentro la propria testa.

Questo punto fa un click dentro di me. Io che vivo di ricordi devo imparare a farli evolvere e lasciandoli diventare memorie. Non male come spunto per la sopravvivenza.

Anche se ammette di fare visita ai ricordi, di tanto in tanto, per provare qualche vecchio dolore, qualche nostalgia, una forma di sofferenza che non sia solo quella fisica.

All’orsa Bruna piace parlare delle mie origini napoletane, della sua amicizia con mia mamma che conserva in un reparto speciale del suo cuore ursideo e mi enumera i nipoti. Io purtroppo perdo il conto dopo un po’, dimentico i nomi e i mestieri, invece lei li ricorda tutti, il suo albero genealogico è presente non solo mentre parla ma anche nel telefono, quando mi mostra le loro foto. Poi decide di farmi fare un viaggio nel tempo.

Mi parla del 1944, di suo padre che lavorava per la Camera di Commercio a Padova, dei bombardamenti durante la notte di Natale, della famiglia che emerge dal bunker e torna verso la propria dimora solo per vederla distrutta, da un muro sradicato cade un pianoforte in fiamme. Bruna si ferma un attimo, rivive quella memoria e mi dice che quello fu il momento in cui le tolsero la musica dalle mani. Ogni volta che si approcciava a uno strumento, le ritornava in mente il pianoforte in fiamme. Dice che è una cosa che apprezza molto di me, che io riesca a mettere i miei racconti anche in musica, che le sarebbe tanto piaciuto riuscirci. Mi sento lusingato ma non riesco a capacitarmi, un attimo prima eravamo insieme nel 1944 e lei era bambina e adesso siamo nuovamente nella sua cucina a sorseggiare acqua frizzante.

Mi chiede se voglio bere qualcosa d’altro, un vino, ha un ottimo bianco. Le dico “Bruna, è troppo presto, non sono neanche le undici!”. Mi dice che è lo stesso data la bontà del vino. Mi chiede allora se voglio un caffè, o un ammazzacaffè, un biscotto o una sberla. Ridiamo. Non voglio si alzi dal tavolo, voglio che continui a portarmi in giro con le sue storie.

La casa a Vigo di Fassa è onnipresente, così come la casa in Grecia che il marito Roland non riuscì a vedere conclusa. Continua a ripetere che devo andare a casa sua in Val di Fassa, che magari ci vado con mia madre, che è proprio bellissima e immersa nella pace più profonda e ancora ripete che devo vederla senza rendersi conto che siamo lì, adesso. Più Bruna parla e descrive più si materializzano le sue storie. Siamo a Vigo e stiamo annusando i fiori profumati vicino al portone di casa e sento le venature del legno sotto ai miei polpastrelli e un attimo dopo, cambia la temperatura, fa caldo e il sole picchia e siamo in Grecia, insieme a Roland, stiamo salendo una lunghissima scalinata che ci porta verso la casetta appena ultimata a Paxos.

Bruna ferma il racconto e torniamo in cucina.

La tavola è rotonda e l’acqua nel bicchiere ancora frizzante, solo qualche bollicina in meno.

Non si fosse messa a scrivere avrebbe fatto il medico, così mi dice. Come il nonno. Chissà quante storie avrebbe raccolto tra tutti i suoi pazienti e invece scelse la libertà, di fare quello che più le andava, ogni volta che lo voleva. La solitudine che io ricerco per scrivere lei era in grado di crearsela in una casa piena di figli e vita. Anche lei, come me, dal caos tirava fuori perle che infilava una dopo l’altra componendo libri e poesie.

È divenuta orsa poi, con il tempo. Se si pensa che discende da una gallina, la sua storia ha dell’assurdo. Mi dice che era il capodanno di cambio secolo, no, non quello tra mille e novecento e poi duemila, quello prima. Quello tra ottocento e novecento. A una festa (che non doveva essere in maschera), non si sa perché, sua nonna si recò travestita da gallina, con tutto il piumaggio che esplodeva da una vestaglia clamorosa. La nonna gallina fece immediatamente breccia nel cuore del nonno (quello che poi divenne medico), che la cercò ovunque nei mesi a venire con l’unico desiderio di sposarla. Esatto, proprio così. “Rinomato medico locale sposa gallina appariscente”questo sarebbe potuto essere il titolo in prima pagina di un giornale locale. Ma alla nonna, così come a Bruna, i paesini stavano stretti, mi confessa. Scocca la mezzanotte, lasciamo la festa di cambio di secolo e torniamo in cucina. Io e lei da soli.

Un’orsa esperta che parla a un orsuncolo baffuto che vorrebbe essere trattato come anziano. Le nostre pellicce sono simili. Sentirla parlare della sua famiglia però, mi ha fatto capire che esistono altri modi di essere orsi. Io lo sono diventato per non essere disturbato, perché sono goloso ed egoista e mi piace tenere tutto il miele per me e basta. Lei invece è una mamma orsa, che ha fatto di tutto per i propri piccoli e che ancora oggi ne parla come non avessero mai lasciato la tana. Che sia arrivato il momento di accogliere qualcun altro allora, nella mia di tana?

Prima meglio parlarne con Ernesto, non vorrei mai si arrabbiasse, voi non sapete quanto possessivo sia quel gatto.

Quindi, non bisogna essere da soli per fare lo scrittore. Bisogna essere in grado di trovare il proprio spazio nel mezzo dello scorrere inesorabile della vita. Per la solitudine c’è sempre tempo, mi dice, mentre mi mostra gli altri commensali che sono seduti insieme a noi. C’è suo marito Roland, poi i suoi amici, il Volgger, il Gatterer, la resistenza Tirolese, gente che si è fatta i campi di concentramento. Alexander (sì, proprio lui) arriva un attimo in ritardo. Sono tutti insieme e parlano in lingue diverse che si mescolano come i bicchieri di vino che ci scambiamo. Questo è l’ambiente in cui Bruna si è formata.

Sono sazio. Non ci siamo mai alzati dalla tavola ma siamo stati dappertutto.

Come dice lei, un giorno il Padre Eterno si ricorderà di venirla a prendere, cosa che la fa esclamare “È ingiusto che si sia dimenticato di me, che gli ho fatto che m’ha lasciata quaggiù, così per la strada, a fare cosa, per tutto questo tempo?”.

“A raccogliere e raccontare storie” le dico io.

Forse allora, un giorno, non ci sarà più Bruna in carne e ossa, ma ci sarà Bruna in parole e carta. In racconti e libri. In memorie e ricordi e io conserverò questa conversazione e la archivierò tra i viaggi più avventurosi mai fatti, insieme a una quasi centenaria, senza mai uscire dalla sua cucina. Un pezzo della storia sudtirolese che si può incrociare mentre sfreccia su quattro ruote.

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