Intervista al fotografo Davide Perbellini su Potraits "positive bn”, un progetto sperimentale che porta nelle strade la fotografia analogica ed istantanea
© Davide Perbellini
© Davide Perbellini
Luce e tempo. La straordinaria combinazione tra queste due materie prime è ciò che ha reso la fotografia un’invenzione così speciale: una disciplina espressiva capace di fermare su carta attimi unici, ma anche di osservare l’essere umano e il suo operato, la natura e il paesaggio, con occhi sempre nuovi e diversi. Un’arte dell’osservazione che, fin dai suoi esordi, ci ha insegnato a vedere il mondo attraverso lo sguardo di tanti fotografi ed artisti che hanno saputo rendere interessante e unico anche l’ordinario o ciò che sfuggiva ai più.
In un’epoca sempre più digitalizzata, segnata dall’irruzione dell’intelligenza artificiale che manipola ed altera il reale, la fotografia d’autore affronta oggi nuove sfide in contrasto con la sua originaria e mai estinta vocazione di restituzione e racconto del reale. Non stupisce quindi che si affermino oggi anche progetti fotografici controcorrente rispetto all’evoluzione tecnica, ma non per questo meno contemporanei, all’insegna della riscoperta e valorizzazione di pratiche “antiche” come la fotografia analogica e la sperimentazione su carta in camera oscura.
In tale direzione si colloca anche il progetto portraits "positive bn" del fotografo Davide Perbellini, originario di Merano, che porta nelle strade la fotografia analogica ed istantanea d’autore, ma anche altri suoi progetti sperimentali, come still life “positive bn” e ra-4 reversal – che scoprirete a breve attraverso le sue parole. Davide Perbellini, in sinergia con il collega ed amico Andrea Pizzini, ha preso anche il testimone di una serie di ricerche sviluppate da un altro amico, il noto fotografo, anche lui meranese, Christian Martinelli, prematuramente scomparso e la cui eredità umana ed artistica continua a rivivere oggi, anche attraverso il lavoro dei suoi due amici, generando nuove immagini e visioni sul presente.
Quali reazioni hai riscontrato nelle persone ritratte?
Questo procedimento affascina molto tutte le persone coinvolte. Prima e dopo l’ingresso in camera oscura, non ho mai visto qualcuna di loro usare un telefono, quasi si vergognassero di usare un apparecchio digitale in quel momento, tanto che, ad oggi, non esistono immagini di backstage del progetto. Soprattutto per le nuove generazioni, l’esperienza dello sviluppo in camera oscura, in cui si vede la propria immagine affiorare lentamente su carta, è qualcosa di assolutamente nuovo ed elettrizzante. Credo che il progetto sia interessante proprio perché riporta la fotografia alla dimensione concreta del vissuto. La fotografia qui è qualcosa di materico, non sta nel cloud o nel telefono, ma è un pezzo unico, è traccia di un istante: un frammento di storia personale da portarsi a casa, da appendere, conservare e tramandare.
Usi questo procedimento anche con altri soggetti, oltre che per i ritratti?
Sì lo uso anche per degli still life. Con il progetto still life “positive bn” ho realizzato una serie di nature morte con soggetti come vasi di fiori, giocattoli, objet trouvé, che, a mio avviso, assumono tratti di espressività quasi senza tempo. Sono pezzi da collezione, che possono o meno piacere, ma che per me sono molto importanti, perché mi hanno permesso di sperimentare un approccio più personale ed artistico alla fotografia. Anche in questo caso si tratta di immagini uniche, pensate per essere collezionate ed osservate.
Stai lavorando anche ad un altro progetto sperimentale in analogico con Andrea Pizzini, "ra- 4 reversal", di cosa si tratta?
Qui la sperimentazione avviene ricorrendo ad un procedimento tecnico ancora più particolare in cui utilizziamo della carta fotografica colore, concepita per la stampa con ingranditore e con l’uso della luce a tungsteno a precisi gradi Kelvin. La grande difficoltà di questo procedimento è che ci troviamo ad utilizzare questa carta in macchina con luci completamente differenti da quelle per le quali è nata, cosa che richiede tutto un sistema di filtraggio specifico, con filtri magenta, giallo ecc.. per arrivare dove vogliamo. In studio questo procedimento lo praticano più fotografi ed è abbastanza facile da riprodurre, mentre se ci si sposta in ambiente esterno, con tutte le condizioni di luce possibile, diventa molto più complesso. Ci stiamo quindi concentrando anche su questa sperimentazione che ci appassiona molto: è un lavoro lungo ed impegnativo, ma non dubito che prima o poi raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo prefissati.
Davide, cosa c'è di propriamente "tuo" nella scelta di ricorrere alla fotografia analogica?
Tante persone me lo hanno chiesto. Viviamo in un’epoca dove la rincorsa a macchine fotografiche sempre più performanti a livello digitale è all’ordine del giorno, ma la mia idea era proprio quella di distaccarmi dal bombardamento di immagini e video digitali che ci arrivano a flusso continuo, che sono spesso create dall’intelligenza artificiale e dove non distinguiamo più quali siano reali o finte.
Ho scelto quindi di fare un passo indietro, di rallentare e tornare ad una dimensione della fotografia più antica, che si realizza solo se si padroneggia il mezzo, altrimenti non la si affronta nemmeno. Capita di sbagliare degli scatti o sviluppi, per dimenticanza o distrazione e questo nel digitale non succede allo stesso modo, ma vale la pena rischiare. Trovo stimolante anche il fatto che le persone che si fanno fotografare o che commissionano il lavoro, anche se non possono vedere cosa io stia realizzando, mi diano la loro piena fiducia. Ed anche questo, secondo me, è un valore aggiunto che fa circolare un’aria di sinergia tra le persone che fa bene ai progetti.