Di illustrazione, montagna e nuove tecnologie: intervista a Chiara Moranduzzo, l’illustratrice bolzanina amante della montagna ma che ancora non sa disegnarla come vorrebbe
© Chiara Moranduzzo
La prima volta l’ho incontrata in biblioteca, mentre la stavo sistemando in bella mostra nello scaffale delle novità ragazzi. Non la persona ovviamente, ma i due libri delle collana Ora Buca di Mondadori da lei illustrati: Perchè studiare chimica (non) è difficile di Marco Malvaldi e Perchè studiare filosofia (non) è noioso di Maura Gangitano. La collana è già carina ed interessante di suo, ma quando poi ho scoperto per puro caso attraverso i social che l’illustratrice era bolzanina ho capito che non potevo non incontrarla, almeno virtualmente.
Chiara Moranduzzo, classe 1995, è un’illustratrice e grafica bolzanina. La passione per il disegno la accompagna sin dall’infanzia e, dopo la maturità artistica, decide di trasferirsi a valle, precisamente a Venezia, per studiare all’Accademia di Belle Arti. Qui mi racconta di aver trovato la sua dimensione, fisica e artistica, sperimentando moltissimo fino a trovare il suo linguaggio e tornare a casa, tra le sue adorate montagne. La gavetta negli studi di grafica e poi la scelta di diventare freelance in concomitanza con la pandemia, per un quotidianità senza “l’incubo dell’andare in ufficio, ma in compenso ho quello delle tasse” come sentenzia scherzosamente lei. Attraverso il suo account Instagram @asboringaslife, racconta il mondo con uno stile è iper colorato e giocoso che fa l’occhiolino alla grafica con forme geometriche, tanti pattern e retini tipografici. Certo è che la vita vista dai suoi occhi, non deve poi essere tanto noiosa se risulta così graficamente vivida.
È una mattina di inizio autunno quando la incontro telefonicamente e posso così associare una voce a quelle illustrazioni. Chiara racconta del suo lavoro, della sua passione per la montagna, ogni tanto si scusa se le sue risposte non sono precise come vorrebbe per via dell’unico caffè che ha bevuto. Io ascolto, faccio domande e mi forse mi chiedo tra me e me se anche questa piacevole chiacchierata finirà in una delle sue colorate illustrazioni.
Bolzano-Venezia sono un bel po’ di chilometri, dalla montagna al mare. Cosa ti ha spinto a eleggere la città lagunare come tua seconda casa?
Mah, è una città che mi ha sempre affascinata perchè alla fine è una piccola realtà, una città molto lenta e tranquilla e te ne rendi conto solo vivendola quotidianamente. Credo che, al contrario, passare da Bolzano a una città molto più grande mi avrebbe destabilizzato. Venezia è piccola, ma comunque offre molto a livello artistico e culturale, è attiva 365 giorni e questo è molto stimolante. In accademia poi ho imparato nuove tecniche e sperimentato molto all’inizio, per poi trovare attraverso il disegno digitale il mio linguaggio.
Una cosa che mi piace sempre chiedere agli altoatesini che si spostano per studio e lavoro fuori dalla regione, è com’è la percezione dall’Alto Adige all’esterno e se ti sei mai trovata dover spiegare la tua realtà agli altri?
Sicuramente, le domande sono state molte e passato il primo impasse “ah, voi siete quelli tedeschi”, ho potuto notare più che altro un vero interesse sulla realtà culturale altoatesina e sul trilinguismo. Con altri colleghi dell’Accademia che provenivano da altre zone di confine –Friuli Venezia Giulia o alto Veneto–, ma anche da altre zone dell’Alto Adige ci siamo confrontanti anche su queste tematiche.
In accademia o all’università durante il percorso di studi si è focalizzati sul presente e si vive un po’ come in una bolla, con le problematiche della vita adulta altrove. C’è stato un momento in cui ti sei sentita persa e ti sei domandata “E adesso? Potrò vivere di quello che ho studiato”?
Assolutamente, sopratutto all’inizio, dopo la laurea con la prima ricerca lavoro, i primi no, le prime proposte che non ci convincono ma siamo tentati di accettare. Poi quando sono rimasta bloccata a casa per via del Covid, ho avuto un attimo di sbandamento e mi sono chiesta se stavo facendo la cosa giusta; però assecondando la mia passione sono riuscita a crearmi la mia routine, il mio mondo e modo di lavorare. Certo è stato un percorso lungo e tuttora work in progress, non si smette mai di imparare e credo che, in un certo senso, questo sia anche stimolante.
Parliamo delle tue illustrazioni, dove usi il colore in maniera decisa e usi forme geometriche, pattern, retini tipografici per raccontare il mondo che ti circonda. So che è una domanda super inflazionata, ma come definiresti il tuo stile in tre aggettivi?
Direi minimal, almeno nelle forme, texturizzato, colorato. Sembrano un sono un po’ in contrasto l’uno con l’altro, ma credo che descrivano bene il mio stile attuale. Ho iniziato a fare illustrazione con i programmi di grafica e solo in seguito ho scoperto altri programmi che mi hanno permesso di dare più matericità e personalità ai miei lavori. Grafica e illustrazione nei miei lavori viaggiano parallelamente e si talvolta si influenzano a vicenda. La pulizia e il bilanciare pesi e spazi della grafica, mi aiuta a creare composizioni più armoniche o nella creazione dei personaggi. La grafica viene “sporcata” dalle illustrazioni e le illustrazioni vengono rese più essenziali dalla grafica.
Anche attraverso i social media oggi siamo esposti a una grande quantità di stimoli visivi, e come creativi è essenziale trovare una propria voce. In un recente intervento al Festivaletteratura di Mantova, Olimpia Zagnoli ha parlato in maniera provocatoria dell’atto del copiare. Volevo chiederti: oggi esiste qualcosa di davvero nuovo, inedito?
Diciamo che il tema della copia esiste; quando di fa ricerca per trovare ispirazione, si finisce per rielaborare modelli e suggestioni e, non dico che si finisce per copiare ma sicuramente vengono a crearsi delle similitudini, qualcosa di già visto. Ma in realtà, non credo che questo atteggiamento sia solo della contemporaneità: una cosa analoga poteva avvenire già quando si osservavano i quadri e poi venivano proposti modelli simili. Certo, con le tecnologie di oggi, è essenziale capire il limite fino a cui ci si può spingere, capire fino a dove si può “rubare” artisticamente e quando invece diventa eccessivo.
Chi sono i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento a livello di grafica e illustrazione?
Sicuramente Olimpia Zagnoli, che sono anche venuta a sentire al Moontalk al Parkhotel Mondschein lo scorso Aprile. Poi ce ne sono tantissimi altri che mi ispirano e vanno anche in base al momento in cui mi trovo. Mi piacciono molto anche Antonio Colomboni (@scombinanto) e Cecilia Castelli (@beingcecilia).
Com’è la tua giornata tipo da illustratrice freelance?
Ecco, non ho l’incubo dell’andare in ufficio, ma in compenso ho quello delle tasse (ride). La mia giornata tipo prevede sveglia, passeggiata fuori con il mio cane e colazione con caffè. Subito dopo mi siedo alla scrivania e inizio a lavorare su progetti già commissionati, già avviati; poi, se posso, mi ritaglio del tempo per dedicarmi alla creazione di contenuti per la promozione social. Il pomeriggio spesso lo dedico alle call con i clienti o alla ricerca. Cerco sempre di darmi degli orari da ufficio, diciamo, e di sfruttare a pieno la giornata lavorativa. La sera se posso guardo un film, leggo o vado a qualche mostra o evento a Bolzano, tutte cose che possono fungere da ispirazione e ricerca anche per il mio lavoro ma che vivo sopratutto come svago.
Una delle prime cose che facciamo oggi un po’ tutti prima di conoscerci, è cercarci sui social. Prima di contattarti ho cercato il tuo profilo a scopo di ricerca e mi ha colpito subito la tua immagine profilo con cagnolino e brezel, ma ancora di più il tuo nome che hai scelto “as boring as life”. Come ti è venuto in mente e qual è il tuo rapporto con i social?
È brutto parlare ancora di Covid, ma il nome del mio account Instagram è nato per caso durante la quarantena: mi annoiavo, all’inizio non ero molto sicura dei miei lavori e vedevo la pagina un po’ come una valvola di sfogo, dove postare i disegni che facevo quando mi annoiavo. Disegni noiosi come la vita a quel tempo. Poi il nome è rimasto e non ho più pensato di cambiarlo. Il mio rapporto coi social è nato in maniera spontanea, non era pianificato. Durante la pandemia ho potuto dedicarci molto tempo e poi, dopo aver aperto la partita iva, ho continuato a creare contenuti, cercando di fare rete con altri illustratori e creativi per sopperire alla mancanza di confronto e all’isolamento da freelance, e rendere così i social un posto meno ostico. Sono nate anche delle belle amicizie. Purtroppo però non ho conosciuto molti illustratori locali, non so se per la barriera linguistica o per il fatto che molti lavorano in Austria, Germania o altrove. Mi piacerebbe che a Bolzano ci fosse un po’ più rete tra i creativi, una vera community anche dal vivo. Sempre parlando di social, credo che chi è già conosciuto e affermato forse potrebbe anche avere solo un sito web, ma per i giovani creativi avere una pagina social da usare come un portfolio è essenziale, perchè ti permette di raggiungere un pubblico più vasto, tra cui anche potenziali clienti. Quasi tutte le mie commissioni sono arrivate tramite social, anche Mondadori ad esempio.
Rimanendo in campo di digitale e attualità vorrei farti una domanda provocatoria. Da creativa qual è la tua posizione sull’intelligenza artificiale generativa? Non credi che questo tenda ad internalizzare alcuni processi e mini l’esistenza di determinate professionalità?
Secondo me l’intelligenza artificiale può essere utile per chi ha budget molto bassi ma, nel caso delle immagini, credo si vedrà sempre che non sono state generata da una persona. Certo, sicuramente dipende da chi utilizza lo strumento e dagli input inseriti, ma spesso questi lavori mancano di coerenza. Personalmente non la uso, ma credo che potrebbe essere uno strumento per migliorare uno schizzo o trovare modelli di ispirazione velocemente, per poi generare qualcosa di mio. Un mezzo e non un fine, insomma. Detto ciò, l’avvento dell’AI non mi spaventa in sé e credo che col tempo dovremmo tutti abituarci a questa nuova tecnologia, che però dovrà essere anche regolamentata nel suo utilizzo. Credo anche che questi processi siano ciclici: una volta non c’era il computer e, anche nella grafica, si faceva tutto a mano, ma poi ci si è abituati anche a questo.
Sei nata in una città circondata dalle montagna e hai scelto Venezia, una città di mare, per i tuoi studi. Qual è il tuo rapporto con la montagna?
La montagna per me è un elemento fondamentale e se non mi sono ancora spostata Bolzano, perchè sento di aver bisogno di vivere in un posto circondato dalle montagne. Fin da piccola l’ho sempre frequentata per fare sport, come sci e arrampicata, e poi mi piace molto andare a funghi o fare passeggiate con il cane ed gite in famiglia. Sono ancora molto legata al Veneto e quando ci torno faccio sempre fatica a capire dove mi trovo perchè non ho più le montagne come punto di riferimento; in pianura mi sento persa. Da quando sono freelance, poi, quando voglio staccare dal PC prendo la funivia del Renon e in pochi minuti arrivo in cima e posso rigenerarmi. Una cosa che fa molto ridere, però, è che nonostante il mio amore per la montagna non riesco ancora a raccontarla come vorrei nelle mie illustrazioni, ma mi sto allenando.
Sotto la bandiera del #morethanapplesandcows sin dai suoi albori, franzmagazine è sempre stato interessato a scoprire e raccontare la scena creativa e culturale alto atesina (e ora tutta l’area alpina) oltre i classici stereotipi. Da bolzanina che si occupa di creare mondi e immagini, credi che resista ancora l’immagine di una montagna copia&incolla, stereotipata?
Fuori regione ci sono ancora molti stereotipi e a livello regionale è vero che si sta spingendo molto sul turismo, ma forse ancora verso un’unica direzione, ancora troppo apples and cows. Secondo me, bisognerebbe puntare a promuovere e comunicare le tante altre attività ed eventi alternativi che ci sono a Bolzano e in provincia, oltre le classiche destinazioni da cartolina come il Lago di Braies, le tre cime o la val di Funes.
In chiusura, mi piace sempre chiedere ai creativi che intervisto qualche consiglio. Allora Chiara dicci un po’…
Due o più libri su grafica o illustrazione che ritieni fondamentali
Io lavoro molto con il colore e quindi consiglio Guida agli stili tipografici di Timothy Samara (Il Castello 2006), che mi aiuta molto quando non so che colori utilizzare perchè presenta palette colori e tipografie abbinate alle emozioni. Sempre sul colore immancabile è A Dictionary of Color Combinations (Seigensha, 2019 - ristampa) con bellissime e inusuali combinazioni di colori originariamente create da Sanzo Wada, esponente dell’avanguardia artistica giapponese negli anni ’30. E infine sarò di parte, ma assolutamente Caleidoscopica di Olimpia Zagnoli (Lazy Dog, 2021)
Due strumenti, attrezzi, aggeggi che non possono mancare nella tua borsa o zaino
Porto sempre con me uno sketchbook e una matita, e poi il mio fedele iPad
Tre account social/instagram must follow
@parisianfloors, @theitaliancase e poi @_andreabedin_ che è un fotografo altoatesino molto bravo.