Contemporary Culture in the Alps
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Fotografare le Alpi

La memoria stratificata delle cime di guerra

Fotografare le Alpi #23. Intervista a Luca Rotondo

30.09.2025
Silvia M. C. Senette

"Tapum" @ Luca Rotondo

Una conversione laica ha messo in discussione gli schemi di una vita che sembrava già scritta: quella di Luca Rotondo, milanese di 36 anni laureato in Economia e Gestione aziendale alla Cattolica, che ha stupito i genitori – la madre con pianti disperati, il padre con una razionale richiesta di impegno – quando ha annunciato di voler fare il fotografo. Un cambiamento radicale avvenuto dopo che i suoi studi classici ed economici lo avevano abituato ad ambiti estremamente normati.

Eppure la fotografia non era un’improvvisazione. Cresciuto con il padre fotoamatore, Luca ha sempre avuto macchine fotografiche a portata di mano fin da piccolo, scattando e "macinando" rullini. Ma è stato l'ingresso allo IED di Milano, dove si è diplomato nel 2013 e dal 2016 tiene un corso in inglese di fotografia e documentazione del paesaggio, a innescare il vero mutamento. L’immersione in un'accademia di belle arti ha trasformato la sua mentalità, facendogli comprendere che la sua produzione visiva non era mai stata oggetto di una riflessione profonda.

Il percorso professionale decolla nel 2015 quando, incoraggiato da un'amica, invia a Io Donna dei ritratti scattati all'Expo. La risposta entusiasta di Renata Ferri, editor, e la successiva pubblicazione hanno rappresentato una svolta. Un anno dopo, la proposta di Panorama di scattare su commissione e la vittoria, a sorpresa, del Premio Ponchielli, uno dei principali premi fotografici italiani, in una finale con nomi di grande risalto. Un successo che ha portato Rotondo a collaborare con D di Repubblica. Quindi si sono aggiunti altri giornali, mostre, festival internazionali e pubblicazioni estere su Sunday Times, Guardian e Zeit. Parallelamente, si dedica anche alla fotografia d'architettura, interni e design lavorando per riviste come Living e Abitare e architetti di spicco come Patricia Urquiola e De Lucchi. Il motore di tutto è sempre la curiosità, l'interesse che lo spinge a raccontare una storia.

Intanto si consolida il legame con le Alpi: da un lato le commissioni per D di Repubblica e le collaborazioni con enti come Trentino Marketing; dall'altro i progetti personali. Tra questi spicca "Tapum", un lavoro che indaga la stratificazione della storia, in particolare della Grande Guerra, sul territorio alpino mettendola in contrasto con l'approccio spesso superficiale e inconsapevole del turismo moderno. Un lavoro pubblicato a luglio su Mappe del Touring Club.

"Tapum" @ Luca Rotondo
About the authorSilvia M. C. SenetteSono stata una bambina “multipotenziale” ante litteram. Ora sono una donna “multicomunicativa”: giornalista per curiosità e per una [...] More
Luca, come nasce questo progetto fotografico?
"Tapum" nasce dalla riscoperta della montagna che avevo conosciuto da bambino con mio nonno, grande arrampicatore, attraverso le passeggiate con i cugini. Questa montagna è rimasta sullo sfondo durante l'adolescenza, frequentata ma non compresa, fino a quando non ho avuto un'illuminazione, un momento in cui l'ho fatta davvero mia. Ho iniziato a studiare, anche l'alpinismo, per superare i miei limiti e comprendere i luoghi.  Tra il 2016 e il 2019 ho riscoperto quelli del confine tra Italia e Austria di inizio secolo, dove si è combattuta la Guerra Bianca, con scontri avvenuti oltre i 3.000 metri di quota su ghiacciai, nevai e creste rocciose. Frequentandoli, camminando e uscendo dai sentieri, ho cominciato a riconoscere le tracce della storia: da quattro sassi accatastati che rivelano l'inizio di una trincea a reperti bellici ancora presenti come bottiglie di vino, fili del telefono o pezzi di libri ancora leggibili. Trovando queste tracce è nata la voglia di esplorare e, come spesso accade quando qualcosa mi interessa, di elaborare un progetto fotografico. Il lavoro è una critica all'uso superficiale che viene fatto della montagna negli ultimi anni: un "prendere lasciando molto poco". Ho voluto mettere in contrasto ciò che notavo nell'ambiente con l'ignoranza della maggior parte delle persone. L'obiettivo è far riconoscere una guerra sempre presente, sempre latente, e usarla come insegnamento per il futuro.

Come si declina il tuo progetto alpino?
Si compone di scatti digitali; i colori sono morbidi, caldi, con toni pastello e basso contrasto, anche nelle foto di ghiacciai e neve. Il lavoro si articola in diverse sezioni. Si trovano foto d'ambiente generale dei luoghi di combattimento, dove le tracce dei conflitti sono chiare, fotografati sia senza persone, per mantenere un'aura eterea, di sospensione temporale, sia con persone, come chi fa la via ferrata o la famigliola che cerca le marmotte. Quest'ultimo approccio è una critica di contrasto quasi grottesca, che mostra l'uso allegro di luoghi che un tempo erano campi di battaglia: il binocolo, usato per trovare le marmotte, un secolo fa era impiegato per identificare le pattuglie nemiche. Il lavoro è declinato in dittici. In queste composizioni, si accosta una foto di reperti bellici scattata in studio su fondo nero – oggetti estetizzati e ben visibili, corredati da didascalie molto tecniche sulla loro natura – a una foto scattata in ambiente. Le immagini ambientali, che a prima vista sembrano solo texture di sassi, pietre o ghiaccio, contengono in realtà l'oggetto bellico, volutamente nascosto. Questo accostamento offre allo spettatore gli strumenti cognitivi per cercarlo. Lo sforzo nel trovare il reperto, che ho provato io arrampicandomi, vuole ricreare la "fatica della conoscenza". Infine sono state usate delle foto come sfondo per altre, dando un andamento grafico stratificato per richiamare la stratificazione della memoria e delle tracce storiche coperte da neve e ruggine.

"Tapum" @ Luca Rotondo

Quali le due immagini più “estreme”, i due poli agli antipodi che lo racchiudono?
Una è una foto di reperti sulle pietre, l'altra lo scatto di un Weimaraner grigio super atletico che scende dalle rocce, in un luogo in cui sono morte molte persone, con il padrone appena visibile che tiene il guinzaglio rosa. Nel mezzo c'è tutta la storia che è passata, la gente caduta in guerra, le memorie di chi ha provato a raccontare. C'è una razza umana che si è dimenticata molti insegnamenti, scordando il significato della conquista fisica della montagna arrivando in seggiovia. Il contrasto è tra gli uomini che cento anni fa soffrivano in montagna per sopravvivere e la montagna di oggi, dove larriva a 3.000 metri gente in infradito per farsi il selfie, con il cane d'allevamento che fa i suoi bisogni sulle rocce dove un ragazzo si era accasciato a morire.

"Tapum" @ Luca Rotondo

Cosa rende riconoscibile il tuo stile fotografico?
Credo che tutti i miei lavori condividano uno sguardo distante, un'osservazione che si posiziona tra l'analitico e lo spiare da dentro. Il rigore estetico e formale deriva sicuramente dalla fotografia d'architettura e si ritrova in tutti i miei lavori, inclusi i ritratti.

Come nasce il desiderio di indagare le Alpi?
Le Alpi mi attraggono perché sono belle, offrono una sensazione di quiete, di pace, potenza e vastità. Sono un contenitore di storie strane che riesce ancora a essere genuino, con persone interessanti. Lavorare in questo ambiente è piacevole, stuzzicante e fa stare bene. Essendo la montagna parte della mia vita, è naturale che da essa nascano curiosità e progetti.

"Tapum" @ Luca Rotondo

Riconosci un’evoluzione nei tuoi scatti alpini?
L'evoluzione non è tanto nel linguaggio, quanto nell'utilizzo del lessico giusto per la storia giusta. Il progetto "Tapum" ha l'estetica di giornate luminose e foto chiare, adatte al tipo di immagine che volevo creare. Il progetto successivo, "Kirka", sull'Orso in Trentino, ha un modo di fotografare la montagna diametralmente opposto: le immagini sono estremamente cupe, buie, con tanto nero opaco per trasmettere una sensazione silvestre, muschiata, che sapesse di terra e di tronco. Avevo bisogno di una montagna umida, cupa, segreta; per questo, durante la fase principale del lavoro nell'estate 2021, nelle giornate di sole non sono uscito a scattare, se non in casi eccezionali. L'estetica cupa era necessaria per il racconto dell'orso.

"Tapum" @ Luca Rotondo

Con quale approccio hai scelto di immortalare l’arco alpino?
C'è sempre un po' di denuncia e critica nel mio approccio, perché mi piace "stuzzicare" e "rompere le scatole". Nel caso di "Tapum" è evidente una critica all'uso sconsiderato della montagna come parco giochi fino a ignorare la natura stessa del monte e la tragedia della guerra. È un borbottio che dice: "Questa gente viene qua, si beve la birra, mangia il panino e ignora che qui sono morti un sacco di ragazzi". Nel caso di "Kirka", la denuncia è rivolta a coloro che pretendono di uccidere gli orsi perché devono vivere la montagna senza aver paura, ignorando che la natura prevede la loro presenza. Il lavoro indaga le soluzioni già esistenti per la convivenza, andando contro l'idea di catturare o uccidere gli orsi, pur riconoscendo che i problemi di convivenza esistono.

"Tapum" @ Luca Rotondo

Cosa hai scoperto in questa tua indagine fotografica?
Durante "Tapum" ho riconfermato che la montagna è solitaria e ho scoperto quiete e silenzio. Ho avuto la sensazione di essere parte dell'ambiente: un'esperienza umana personale, di me con me stesso, la solitudine e la montagna. "Kirka" è stata un'esperienza molto più tosta. Ho vissuto in solitudine per un mese e mezzo in una montagna molto antropizzata, parlando solo con pastori, allevatori, guardiacaccia. Dormendo in macchina in questo ambiente cupo, umido e freddo, mi sono sentito anch'io un "homo selvaticus". Ero talmente immerso nella storia che pensavo con la lingua dei trentini e parlavo da solo usando un dialetto inventato. Tornando alla civiltà, ho fatto fatica a riabituarmi alla socialità e trovavo le chiacchiere futili e superflue.

Com’è, oggi, il tuo rapporto con la montagna?
Ottimo, anche se i momenti per dedicarmi alla montagna sono sempre "stringati" vivendo e lavorando a Milano. Ogni estate, però, prima di partire per le vacanze il mio rito è farmi delle notti di bivacco solitario a 3.400 metri di quota. Salgo con l'occorrente per stare bene - buon cibo, vino, libri e candele - guardare la montagna e passare tanto tempo in silenzio. È un rapporto fatto di rispetto, amore, timore e reverenza. Mi capita spesso di raccogliere la plastica abbandonata dalle persone perché vedo la montagna come una "grande madre anziana" che bisogna salvaguardare e trovo il rifiuto "materia fuori posto".

Quale consideri il tuo scatto migliore?
"Migliore" presuppone una superiorità estetica; preferisco parlare di scatto "emotivamente migliore". Un'immagine a cui sono particolarmente legato è la foto di una forcella sul Sentiero dei Fiori, l'ex sentiero di arroccamento della prima linea italiana, in zona Presena, un luogo oggi molto frequentato. Lo scatto mostra una cresta montuosa con uno stretto spacco attraverso il quale si vedono le cime di un ghiacciaio; la forcella è attraversata da due o tre alpinisti in miniatura con l'attrezzatura da ferrata, tutti vestiti di colori sgargianti. La foto, scattata nel 2018, è stata ottenuta con grande difficoltà arrampicandomi in una posizione scomodissima e pericolosa per avere la prospettiva desiderata. Questa immagine trovo racchiuda il messaggio critico del progetto. Un altro scatto significativo è la foto di Conca Presena con una grande pietra in mezzo che crea uno schiacciamento dei piani. "Tapum" mi è entrato sottopelle perché è legato alle montagne del cuore, quelle di famiglia: c'era la condivisione con mio nonno, a cui raccontavo ciò che vedevo riportandogli una montagna che lui non poteva più vivere e vedendo la sua gioia nel vedere quel seme sbocciato nel nipote. Inoltre sentivo ancora il disagio, la paura e la tensione delle sofferenze depositate su quelle pietre della Grande Guerra, proiettandomi indietro per immaginare l'esperienza di mio bisnonno Gino.

"Tapum" @ Luca Rotondo

Senti il desiderio di catturare un’immagine ancora mai scattata?
Sì, un'immagine che è andata perduta. Faceva parte di una storia sul Passo dei Tauri, al confine tra Italia e Austria, che raccontava l'esodo degli ebrei liberati dai campi di concentramento verso la Palestina. Volevo una foto scattata all'ora blu, che mostrasse il cielo scuro, il profilo della montagna nero, e in primo piano l'erba alta e sfocata illuminata di rosso, a simboleggiare il percorso. Dopo nove ore di cammino e un'ora e mezza in una posizione scomoda, nel buio, per ottenere l'inquadratura, illuminando con una luce e manovrando la macchina fotografica con l'altra mano, il momento perfetto è arrivato con le falene che volavano rosse contro il cielo blu. Ma una volta tornato a casa ho scoperto che la scheda di memoria contenente le 1.200 foto scattate era caduta da una zip aperta: è rimasta sui prati del passo. L'ho vissuta con fatalismo, pensando che il Passo dei Tauri aveva reclamato il suo "pegno".

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