Intervista alla coreografa Veronika Riz, autrice della performance "Notturno" e regista del cortometraggio “Pfauenschrei”, in anteprima ad Appiano, il 16 e 19 settembre
Il coma come esperienza umana liminale, spesso un viaggio di sola andata e più raramente, uno stato di passaggio che conduce ad un progressivo risveglio, al ritorno alla realtà. Una dimensione percettiva intensa, più che una totale assenza di vita, seppur accompagnata da uno stato di incoscienza profonda, dove la mente, di ritorno da tale viaggio, può portare con sé un variegato bagaglio di ricordi, colori, suoni, immagini, impressioni tattili e sensoriali. Un tempo apparentemente vuoto e di stasi, quello del coma, ma capace di restituire esperienze percettive intense a chi l’ha subito, a volte illuminanti, anche per affacciarsi con un nuovo sguardo e una rinnovata consapevolezza sul presente.
Veronika, come nasce l’idea di questa performance incentrata sul tema del coma?
Il progetto è nato due anni fa, quando, in occasione della mia precedente performance, ho conosciuto una giovane donna che aveva vissuto lo stato del coma per quattro mesi, seguiti da altrettanti mesi di guarigione e risveglio e che mi ha lanciato l’idea di realizzare un film su questo tema. Ci ho riflettuto ed ho capito che poteva essere più nelle mie corde creare una performance di danza, piuttosto che un film. Così è partito tutto. Ho avviato una serie di ricerche, parlando quindi con più persone che avevano subito il coma in diverse forme: chi un coma farmacologico e quindi artificiale, chi un coma accidentale. Ho letto libri, ho consultato esperti, come medici e neurochirurghi. In seguito, ho concentrata l’attenzione sul racconto di quattro persone in particolare, e ho approfondito l’evolversi e il diversificarsi della loro esperienza, che mi ha condotto a strutturare la performance in cinque momenti o fasi.
Puoi raccontarci qualcosa in più di queste fasi su cui ha articolato la performance, senza svelarci troppo?
Ognuno dei cinque capitoli è una sorta di mondo a sé, seppur in comunicazione con gli altri. Il primo, con la crew, lo chiamiamo underworld: è una dimensione cupa, dark, dove tutto appare un po' fuori fuoco. I danzatori vi si aggirano come immersi nel fango, intorpiditi, anche se a tratti si aprono degli squarci, dei tunnel, in cui si passa dal buio all’estrema luce. Questi passaggi luminosi e di apertura tornano più volte tra un capitolo e l’altro. Il secondo mondo si ispira all’esperienza di una persona, in particolare, che ha vissuto una dimensione di alterazione percettiva corporea, come se parti del suo corpo diventassero dure come legno e venissero assemblate in modi differenti: una dimensione che ci ha offerto molti spunti interessanti per la danza. Il terzo mondo è quello della persecuzione, vissuto da un’altra delle persone intervistate come uno stato di continua fuga da visioni minacciose ed assurde, percepite come pericoli. Ai danzatori in questa fase, come nelle altre, ho dato anche degli input letterari e visivi, come alcuni quadri, da Bosch a Bacon, che loro hanno trasposto in una danza fluida e non ansiogena nel terzo capitolo. Nel quarto, infine, si entra nel mondo del volo, del fluttuare in mezzo alle nuvole: una dimensione di leggerezza aerea e di fuga oltre lo spazio-tempo...
Dicevi che c’è anche una quinta fase, che arriva a chiudere la performance…
Sì esatto; è la fase che noi, in sala prove, chiamiamo home sweet home, perché è una dimensione da cui, tante persone che l’hanno vissuta, non vorrebbero più tornare indietro. Ma quest’ultimo quadro, un po' surreale e fantastico ve lo lascio scoprire direttamente in scena...
Veronika come hai sviluppato la danza in rapporto alla musica?
La musica è venuta dopo la danza e non a caso. Come per motivi terapeutici si fa ascoltare la musica alle persone in coma per stimolarne il risveglio, allo stesso modo mi è sembrato più interessante sovrapporre a posteriori la musica ai movimenti. Quindi con i danzatori abbiamo lavorato prima alle improvvisazioni sulla base degli spunti tematici, poi vi abbiamo sovrapposto le tracce musicali, che saranno eseguite dal vivo dall’autore Berk Offset, che sarà anche il quinto performer in scena, come cinque sono i capitoli della performance.
Perché hai scelto “Notturno” come titolo?
In un primo momento avevo scelto il titolo Stillstand, che vuol dire mancanza di movimento, ma non mi convinceva. Era in contraddizione con il dinamismo della danza ma anche con le percezioni delle persone che hanno vissuto il coma, articolato in più stati differenti. Mi è sembrato quindi più interessante paragonare il coma a una dimensione che conosciamo e che viviamo la notte, quando, nel sogno, approdiamo al subconscio e al risveglio serbiamo il ricordo delle sensazioni vissute.
Il 16 e 19 verrà presentato in concomitanza con la performance anche un tuo cortometraggio...
Film e video-arte mi interessano da tempo e così, nelle mie ultime performance, ho inserito anche un video che si poneva in contrapposizione alla danza. Questa volta ho scelto di proporre immagini filmiche e danza separatamente anche se con temi comuni. Il film parla di un ragazzo alla ricerca di sé e di una dimensione di vita più autentica, a lui congeniale, in sintonia con la natura.
Non vi svelo altro… se non che ho collaborato con Martin Schabenbeck per lo script, Manuela Kerer per la musica ed anche con degli studenti neo-laureati della Scuola Zelig, perché trovo sempre estremamente stimolante creare per e con i più giovani.
Cosa vorresti comunicare al pubblico?
Di aprirsi a questi nuovi mondi, che sono diversi perché non parlano di potere e di egoismo e ci dicono che l’essere umano ha bisogno di stare in contatto con la natura, di comunicare con essa, anche attraverso l’arte, ricongiungendosi al subconscio che ci sfugge, ma che merita di essere esplorato.