Intervista a Sara Filippi Plotegher
ritratto Sara © Elisa Bessega
ritratto Sara © Elisa Bessega
Da piccoli ci chiedono sempre cosa vorremmo fare da grandi. L’astronauta, la prima ballerina, la rockstar, il calciatore o la stella del cinema. La risposta ricade spesso su lavori molto poco normali, ma che corrispondono agli hobby e passioni del momento. Un po’ inconsciamente, forse cresciamo con l’idea che le nostre passioni abbiamo valore e diritto (r)esistere solo se possono diventere un lavoro vero, possibilmente remunerativo e socialmente accettato. Seguendo il lampo delle mie passioni, tanti tanti anni fa io volevo essere prima una stilista, poi una barista di pub con musica, e poi la chitarrista turnista. Crescendo, oltre a constatare che il lavoro è un miraggio e spesso e volentieri bisogna inventarselo, ho capito che le passioni sono invece essenziali e necessarie, sopratutto quando il lavoro-quello-vero si fa intollerabile, semplicemente perchè ci permettono di sopravvivere nel gigantesco fenomenale casino che è la vita adulta, ci ricordano che siamo umani e viviamo di emozioni. Poi a volte succede che, anche se non facciamo grande sfoggio delle nostre passioni, esse trovano comunque un modo per manifestarsi e, in alcuni fortunati casi, riescono a fondersi con il lavoro e lo studio.
È questo il caso di Sara Filippi Plotegher che dall'altra parte della cornetta, mi racconta con entusiasmo di come è riuscita a coniugare inaspettatamente e con successo la sua formazione da biotecnologa e biologa nutrizionista con la passione per il disegno. Scienziata, illustratrice e autrice con due libri pubblicati e molti altri progetti di divulgazione scientifica all’attivo, tra cui anche collaborazioni con importanti realtà museali come il MUSE –Museo delle Sciente di Trento e il Mart – Museo di Arte Moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Lei stessa si definisce ancora in esplorazione ed io, che al solo al pensiero di tutte le cose che ha studiato e studia mi gira la testa, capisco che ne voglio proprio sapere assolutamente di più.
Dalla laurea in biotecnologie e successivamente in microbiologia e nutrizione, fino al workshop estivo alla scuola di illustrazione Ars in Fabula di Macerata: come nasce l’interesse per le materie scientifiche da un lato e la passione per il disegno dall’altro? Ricordi la scintilla, quel momento in cui hai capito che le due cose potevano essere combinate?
In realtà è una cosa che c’è sempre stata. Anche se non ho mai studiato veramente disegno, diciamo che l’ho sempre praticato…più o meno da quando ho iniziato a prendere in mano la matita. Anche quando studiavo, ad esempio, ho sempre utilizzato il disegno come uno strumento per tradurre e capire meglio i concetti che dovevo imparare attraverso schemi e schizzi. Il momento catartico per me è stato quando, una volta finito gli studi, ho aperto la partiva iva come biologa dopo aver fatto l’esame di stato ed essermi iscritta all’albo e il primo lavoro professionale che mi è stato richiesto è stato di tipo… artistico! Lì iciamo che mi sono arresa e ho capito che non potevo più ignorare questa cosa. Mi sono detta: “seguiamo il flusso e vediamo dove mi porta questo connubio tra arte, comunicazione e scienza.”
Come sei arrivata alla graphic novel? Sei tu stessa una lettrice appassionata di questo formato?
Mi definisco un’appassionata di graphic novel, anche se in proporzione leggo molta più letteratura che fumetti. Non sono tra quelli leggono tantissimi titoli, ma tendo a rileggere molte volte quello che ho apprezzato. Nei miei due lavori editoriali, l’arrivo alla graphic novel è stato spontaneo, casuale, uno strumento che mi si è materializzato tra le mani. Sperimentando, ho capito che funzionava bene con i temi a me cari e la risposta dai lettori che accedevano a questi contenuti è stata buona e stimolante.
Sara come definiresti il tuo stile e chi sono i tuoi punti di riferimento?
Questa è sempre una domanda molto difficile! A parte i contenuti in cui mi occupo esplicitamente di comunicazione scientifica e mi sento vicina al linguaggio della graphic novel, in altri progetti ho stili ed influenze molto diverse. Sicuramente, il mio riferimento principale è la natura, sopratutto nei suoi dettagli più piccoli. Disegnare le creature viventi, dalle piante agli animali è una delle cose che mi appassiona di più e forse quella che mi viene anche più facile; solo ultimamente mi sto accostando anche al disegno di paesaggi e alle forme più astratte. Tuttavia, quando mi occupo di comunicazione scientifica, premio di più la semplicità del disegno, ricerco funzionalità e divertimento attraverso un disegno più spontaneo, meno rifinito e che diventa strumento per rendere accessibili temi complessi. Adoro infatti lo stile unico di Liv Strömquist, fumettista svedese che si occupa principalmente di scienze sociali, politiche e di genere. Il suo è “disegno brutto” che però alla fine risulta sempre formidabile e perfetto per racontare temi attuali complessi, dove l’estetica del disegno conta fino ad un certo punto e ciò che serve in realtà è l’accessibilità di temi complessi attraverso le immagini e il coinvolgimento del pubblico, che magari si trova anche a sorridere davanti a un personaggio, diciamo, un po’ storto.
Molto spesso la montagna è utilizzata come metafora positiva della vita, delle sfide e dei limiti che possiamo superare. Nel tuo ultimo progetto, ribalti completamente questa narrazione positivista. “Mors. Il limite della montagna ostile” è, infatti, un progetto artistico filosofico in divenire che affronta il tema del limite nell’alpinismo (e non solo) e mostra una montagna che alla volta sa essere ostile e selvaggia. Ce ne parli?
Sì, questo è un progetto artistico personale che, come tutta l’arte, ha naturalmente un intento comunicativo, ma nasce prima di tutto da una ricerca personale su un tema che ritengo importante e molto urgente quanto delicato: quello dei limiti umani e della morte, in particolare nel mondo dell’alpinismo, che conosco e frequento. In un certo senso, i temi più scomodi hanno sempre catturato la mia attenzione e tutti i miei progetti personali alla fine nascono così: quando una cosa è troppo urgente, non posso più rimandare. Attraverso Mors ho dato voce e forma a riflessioni che mi ponevo spesso nel corso delle mie uscite in montagna, ma che hanno avuto un’accelerazione significativa un anno e mezzo fa quando un mio amico è morto a causa di una valanga improvvisa durante un’uscita di sci alpinismo. Lo sviluppo del progetto in una forma così articolata però è arrivato in seguito, solo quando, dopo aver mostrato ad alcuni amici le tavole, ho capito che queste riflessioni scomode erano comuni ad altri appassionati di alpinismo. Come dicevi, di solito si utilizza la metafora della montagna per parlare della vita, delle proprie esperienze e passioni, ma con questo mio lavoro ho voluto un po’ ribaltare questo paradigma perchè credo che essa, in un certo senso, può mostrarci anche come la vita non è infinita e che ogni momento è unico e che non possiamo permetterci di dare per scontate le persone a noi care.
“Mors. Il limite della montagna ostile”, come detto, affronta un tema di cui non è facile parlare. Quali feedback hai ricevuto a riguardo e quali saranno i prossimi sviluppi?
Spesso passioni come l’alpinismo ci portano a vivere esperienze molto forti, non solo per chi lo pratica in prima persona ma anche a chi sta attorno; inevitabilmente bisogna fare i conti anche con il limite umano ultimo. Presentando Mors mi sono resa conto di quanto sia però necessario confrontarsi su queste tematiche, perchè sono ancora considerate tabù, spesso anche nel mondo dell’alpinismo. I feedback che ho ricevuto sono stati molto diversi: alcune case editrici mi hanno detto che era ancora un argomento interessante ma troppo forte e scomodo, rischioso da trattare. Davvero? Questo naturalmente mi ha dato ulteriore spinta e motivazione per portare avanti il progetto, in un certo senso anche per diventare portavoce di quelle persone che come me si ponevano le stesse riflessioni, e avevano bisogno di sentire di non essere soli. Dalle persone che partecipano agli eventi o vengono a contatto con il progetto la risposta è stata invece molto positiva.“Mors. Il limite della montagna ostile” è stato presentato l’anno scorso nel corso del Trento Film Festival e quest’anno ha trovato nuovamente spazio come mostra allo Spazio Piera. Devo dire che è stato molto bello poter organizzare un incontro di presentazione e di conclusione con persone dalle esperienze simili ma con punti di vista anche diversi; si è creato un dialogo interessante che ha riscosso molto interesse non solo tra chi pratica alpinismo.
Riguardo al prossimo futuro, non credo e non sento che il progetto sia esaurito. Mi piacerebbe approfondire ulteriormente alcuni aspetti e sarebbe bello trasformarlo poi anche in un lavoro editoriale. Non so se è questa la sede adatta, ma azzardo: cerco spazi espositivi, luoghi, risorse e persone interessante a sostenere la crescita di questo progetto perchè credo che abbia ancora molto da dire e vorrei dare a quante più persone possibili la possibilità di parlare di questi temi che sono tuttora tabù, difficili da affrontare anche da parte delle istituzioni che si occupano di alpinismo e montagna. Nel frattempo, però, posso dire che a Novembre porterò Mors al festival Mortali a Trento.
Raccontaci qualcosa del tuo processo creativo e, se si può dire, a cosa stai lavorando in questo periodo.
Sono una freelance e quindi il mio ufficio è dove sono io: in biblioteca o al lago ma tendenzialmente a casa mia (ride). Quando devo sviluppare un nuovo progetto mi dedico prima di tutto allo studio dell’argomento in questione: leggo, faccio interviste, ascolto podcast e video, due strumenti che utilizzo molto. Finita questa lunga fase, inizio a mettere su iPad le mie riflessioni, attraverso schemi e primi bozzetti. Di solito scrivo e disegno contemporaneamente, non faccio mai una storyboard.
In questo momento sto lavorando con l’Università di Padova e il CNR per realizzare un fumetto sul cambiamento climatico ed in particolare sui ghiacciai, che verrà pubblicato da Comics&Science, la casa editrice del CNR che propone fumetti di divulgazioni scientifica. A differenza di Alberi di strada, mi trovo per la prima volta a lavorare ad un fumetto di fiction, dove si parla naturalmente di argomenti scientifici ma attraverso un espediente narrativo. Per questo progetto sto lavorando insieme ad uno sceneggiatore e insieme abbiamo definito la trama della storia, poi io mi sono concentrata più sulle nozioni scientifiche e, naturalmente, sul disegno. Non so ancora bene quando uscirà, ma sicuramente a fine Ottobre saremo al Lucca Comics.
Quando lavori in prima persona sia ai contenuti che al disegno, ti senti mai sopraffatta dal dover comunicare concetti complessi in modo sintetico e chiaro?
Mah in realtà sì e no, e credo faccia parte del processo creativo di tanti. Quando devo affrontare temi molto complessi, mi capita spesso di avere periodi più o meno lunghi di “panico da pagina bianca”, in cui riuscire a trasformare concetti articolati in un disegno comprensibile è veramente faticoso. In certo senso, però, questo mi obbliga a studiare molto bene e approfondire quello che deve trasmettere. A volte ci scherzo anche su: vorrei non dover fare gli aggiornamenti ECM, perchè studio già abbastanza materie scientifiche per il mio lavoro di illustratrice (ride). Spesso mi capita di essere molto coinvolta a livello emotivo dalle cose che studio per lavoro. Per il MUSE, ad esempio, ho seguito un progetto sull’antropocene, l’epoca in cui viviamo, che mi ha portato ad affrontare argomenti come l’ecoansia e le altre conseguenze antropologiche del cambiamenti climatico, di cui avevo già sentito parlare, ma che lavorandoci mi hanno toccato in maniera differente.
Quando non sei impegnata nello studio, nella scrittura e nel disegno, cosa ti piace fare e a quali passioni ti dedichi? Prima accennavi all’alpinismo e quindi direi che montana e natura siano parte del tuo tempo libero…
Hai capito benissimo (ride). Sicuramente una delle mie attività principali e preferite è l’alpinismo nelle sue varie declinazioni: dalla camminata nel bosco sotto casa, al lago, all’arrampicata fino all’alta montagna. Ovviamente, anche queste discipline stanno cambiando a causa del cambiando climatico che ti porta a fare necessariamente scelte diverse. Oltre a questo, mi piace stare in movimento anche praticando danza. E poi dedico molto tempo alle relazioni umane: se da una che mi piace stare da sola e a volte ne ho anche bisogno per ricaricarmi, amo stare in compagnia delle persone con cui credo legami molto forti e, che diventano per me molto importanti.
In chiusura, mi piace chiedere ai creativi che intervisto su franzmagazine qualche consiglio. Allora Sara dicci un po’…
Uno o più libri che ritieni fondamentali per avvicinarsi ai temi scientifici dell'attualità o che ti hanno illuminato/entusiasmanti
Direi assolutamente tutti i fumetti di Liv Strömquist da leggere e rileggere e poi Viaggio a Ixtraln di Carlos Castaneda. Oltre ai libri, mi sento di consigliare anche due podcast di comunicazione scientifica che ascolto e apprezzo: Il gorilla ce l’ha piccolo di storielibere.fm e Ci vuole una scienza del Post.
Due strumenti, attrezzi, aggeggi che non possono mancare nella tua borsa o zaino
Beh in primis, ci vuole uno zaino o una borsa per essere sempre pronte a tutto…insomma per partire e tornare dopo qualche giorno ed eventualmente per metterci dentro le cose che trovi sulla strada. E poi un telo in cotone per asciugarsi, vestirsi, sdraiarsi, ripararsi e altre mille possibilità come ci insegna Douglas Adams in Guida galattica per gli autostoppisti!
Un paio di account social/instagram must follow
Sicuramente L’Altra Montagna @laltramontagna e Protect Our Winters @protectourwinters che danno belle spiegazioni.