Il richiamo delle radici, in equilibrio tra antico e contemporaneo. Incontro con Jacopo Candotti
© Carla Brunetti Gioielli
"Quindici anni vissuti a inseguire l'arte tra accademie e gallerie di Milano, Londra e Roma... in qualche modo ora è tutto qui, in ogni singolo gioiello". Nel salotto buono di Bolzano Jacopo Candotti, anima irrequieta e brillante dell'atelier Carla Brunetti, è il custode di una melodia antica eppure contemporanea che intreccia la sua storia personale con quella familiare, tessendo il presente con fili che affondano in un passato glorioso.
Nella vivace Piazza Erbe, al civico 36, l'insegna Carla Brunetti Gioielli continua a brillare di luce nuova: quella che Jacopo, 42 anni e un percorso artistico sorprendente alle spalle, ha saputo infondere all'atelier della madre. Un passaggio di testimone, avvenuto nel 2020, che non ha interrotto un'eredità di oltre quarant'anni di creazioni uniche e preziose, ma l'ha sapientemente riconnessa alla contemporaneità. Jacopo parla con la gravitas di chi ha scavato a fondo nel proprio sentire artistico. "Da artista ho sempre favorito progetti autentici che esplorassero nuovi luoghi del mio tempo", racconta. Parole che aprono la porta a un viaggio che lo ha visto spaziare dalla scultura alla pittura, dall'interior design fino al gioiello.
Il suo percorso inizia con una folgorazione, quella del 2000 alla Sommer Academy di Salisburgo. "Scopro la scultura, la pietra, l'arte: è la mia storia" rivela. Sei settimane intense, tra artisti di ogni provenienza, forgiano la sua vocazione. Da lì l'Accademia di Carrara, dove respira marmo delle Apuane: "Un luogo per lupi solitari e per gente che non è particolarmente aggiornata sul contemporaneo", ironizza oggi. Ma è qui che, con amici, fonda il "Gruppo 20%"; un nome nato per gioco in periodo di saldi ma destinato a lasciare un segno. Si fanno "ghost producer" per artisti più noti, una palestra che li porta a lavorare per Luca Trevisani e Italo Zuffi, creando "un ponte tra il deserto artistico di Carrara e i fermenti di Bologna e Milano".
L'approdo a Brera per frequentare le lezioni di Alberto Garutti - il "padre" del Piccolo Museion di via Sassari, a Bolzano - segna un'altra svolta. Per farlo, Jacopo si laurea in pittura aprendosi a un mondo più teorico, meno tangibile. Milano, città di gallerie e spazi privati, lo porta a capire le dinamiche del mercato dell'arte. "È una città che ci mette anni a farsi conoscere, infatti chi ci passa velocemente non ama Milano" osserva. Un workshop alla Fondazione Ratti di Como con la videoartista americana Joan Jonas è il trampolino di lancio per Londra. Qui la percezione del mercato è diversa: più veloce, più dinamica. Jacopo sente il richiamo di casa e, nel 2007, torna a Bolzano. Dopo una breve parentesi romana, nel 2010 apre il suo studio in zona industriale: "Millefoglie", come la torta che ama ma anche come "l'idea di tantissime piccole situazioni che si potevano accumulare e crescere". Qui si dedica all'arte concettuale, dove "non è importante il mezzo ma il messaggio, l'aspetto poetico, quello meno tangibile, meno concreto".
Per cinque o sei anni, il laboratorio "Millefoglie" è il suo regno, ma l'inquietudine artistica lo spinge oltre: "Mi affascinavano l'interior design, l'organizzazione degli spazi all'interno delle case, gli ambienti e la produzione di oggetti". Con un'amica, a Firenze, fonda NJ Interiors (Nicole e Jacopo), un'azienda che dal 2013 al 2018 si dedica alla produzione italiana di arredi su misura: porte, maniglie, tavoli, lampadari. Un'esperienza che lo allontana dall'arte "pura", ma lo avvicina alla concretezza della produzione e alla bellezza dell'oggetto funzionale.
Parallelamente, in un intreccio del destino, si sviluppa l'affascinante storia della madre, Carla Brunetti. Bolzanina, a 18 anni vola a Milano: lavora per "La Polveriera", importante azienda di oggettistica, e poi per anni con Maria Grazia Baldan, firma di alta gioielleria. Quando il mondo del gioiello si sposta dall'etnico al classico, Carla sente il bisogno di un cambiamento e, in concomitanza con la nascita di Jacopo, nel 1982 torna a Bolzano e apre la sua attività.
Jacopo cresce nell'atelier materno: prima sotto Galleria Municipio e poi in Via Leonardo da Vinci. "Il mio primo ricordo, avrò avuto 5 anni, è ambientato lì" rivela. Durante gli anni universitari si mantiene lavorando per Carla, occupandosi dell'assemblaggio dei pezzi e dell'infilatura - un'arte che richiede anni di pratica. "Non è banalmente "il filo dentro la perlina": sono tecniche complesse, macramè" sottolinea descrivendo un lavoro interamente artigianale, dalle saldature alle fusioni.
Nel 2020 il cerchio si chiude. Jacopo rileva il marchio Carla Brunetti portando avanti la tradizione e l'identità dell'atelier con una visione aggiornata. Nell'ottobre scorso il negozio si sposta nella storica Piazza Erbe. La continuità è fluida, non c'è stato uno strappo. "Sono cresciuto e mi sono formato dentro quel gusto estetico. Per me è naturale fare le cose in quel modo" spiega. L'oro è una sua introduzione, un tocco di contemporaneità in un universo già ricco di turchesi, coralli, argenti.
Entrare nell'atelier di Piazza Erbe è come varcare una soglia temporale. Qui ogni pezzo racconta una storia, ogni materiale ha un'anima. Ad affiancare Jacopo in laboratorio c'è Inna, la "preziosissima infilatrice", ex sarta, le cui "mani d'oro" tessono la magia del macramè. I materiali provengono da antiche vie commerciali che oggi sarebbero precluse: Cina, Asia, Centro America, Africa. "Il mio è forse il lavoro più ecofriendly del pianeta, perché tratto pezzi molto vecchi, addirittura antichi", spiega Jacopo. Il filo rosso che unisce il suo passato al presente è il gusto per un etnico "che non esiste più". Le materie prime degli anni '80 e '90 sono estinte, ormai confinate ai musei. Questo spiega anche la scelta di non avere un e-commerce: "Non riusciamo a rispondere alla domanda, non abbiamo abbastanza offerta". Ogni pezzo è unico, realizzato con materiali rari.
Le vetrine sono un invito a un viaggio sensoriale. Jacopo indica "le murrine africane con il ramo di corallo vecchio, il bracciale macramè che richiede 30 ore di lavoro per annodare i fili del corallo e una moneta cinese come chiusura". Poi orecchini con montatura in oro realizzati con "vetri che hanno molti secoli: in origine erano blu, sono divenuti bianchi per l'affioramento della soda". E i turchesi, che "quest'anno hanno una qualità stupenda". Le teiere da collezione di Carla, non in vendita, diventano espositori per anelli, ambre e altri coralli. Non mancano i "giochini" per l'estate, come gli orecchini con pesciolini in ottone smaltato, spiritosi e leggeri, "perfetti per un beach party".
Il negozio, pur portando il nome di Carla, è intrinsecamente Jacopo. "Ho cercato di preservarne l'identità, che poi è anche la mia" afferma. La madre, del resto, è ancora una presenza attiva, aiutando con allestimenti e contatti con i fornitori. "È a casa sua, nel negozio che porta ancora la sua insegna". La vestibilità oggi richiede leggerezza; un aggiornamento necessario. Jacopo, pur introducendo l'oro e un design più attuale, mantiene la coerenza estetica. "Cerco di fare sempre cose nuove e diverse. Anche a distanza di una settimana o dieci giorni i clienti, che da noi entrano spessissimo, vedono cambiamenti, vetrine aggiornate, nuove proposte". Il cliente tipo? "Una donna con un carattere forte, che sa soprattutto cosa non vuole; veloce, intraprendente nelle cose della vita e che abbia sviluppato un suo gusto".
La bellezza, per Jacopo, non è solo soggettiva. "Credo che esista un'oggettività nel bello. E nel bello c'è equilibrio, c'è innovazione intelligente nella progettazione. Dietro una collana che unisce pietre con buchi da un centimetro a perle da un millimetro, ci sono tecniche e strategie per un assemblaggio armonioso e leggero". Il processo creativo parte sempre dal materiale. "È quello che detta legge", ammette. Le tormaline grezze, i coralli sardi pescati in fondali profondi, le corniole antiche incise con preghiere arabe - veri portafortuna afghani - sono solo alcuni degli elementi che danno vita alle sue creazioni. C'è una preferenza marcata per l'irregolarità, il fuso, il non-perfetto, in contrapposizione al lucido e al taglio laser della gioielleria classica. "Si vede che non c'è una macchina dietro, non c'è un progetto CAD o una stampante 3D". Un'affermazione di autenticità e del valore del Made in Italy.
Jacopo è un grande appassionato di anelli, di cui crea sei pezzi unici all'anno: vere opere d'arte. L'atelier offre un'ampia gamma di prezzi, dagli orecchini in resina sintetica a forma di rosellina (15 euro) fino all'anello birmano del '700 in oro 18 carati con onice, corniola o ambra (9.000 euro). Il vetro antico, le murrine veneziane e africane e le perle scaramazze si mescolano a materiali innovativi come la resina dorata o argentata, "che permette di creare gioielli voluminosi ma leggerissimi". Un'azienda italiana realizza gli stampi da pezzi antichi, garantendo la replicabilità senza perdere il fascino storico. "I semi di Tagua sudamericani, simili a castagne, si trasformano in anelli colorati, un'alternativa leggera e sostenibile".
Jacopo ha salvato molti arredi dei precedenti negozi: pezzi storici non in vendita, come il grande elefante indiano in legno massiccio e avorio su cui si arrampicava da bambino. E poi le scatole afghane, i mobili laccati cinesi, le perle yemenite trasformate in portachiavi che si lucidano al tocco. Ogni collezione, che può variare da quindici giorni a tre mesi, include un centinaio di pezzi, con micro-collezioni più ridotte di 7-8 pezzi, sempre coerenti con l'ambiente del negozio.
Mentre Jacopo racconta, in laboratorio Inna è al lavoro su un bracciale in macramè verde: oltre venti ore di lavoro per un unico pezzo. È il simbolo di questo connubio tra passione e maestria artigianale e una visione che, pur guardando al passato, è saldamente ancorata al presente, in cui il gioiello è racconto, storia e arte da indossare.