COLLEZIONE FIES: dall’oggetto all’azione e viceversa

20.06.2025

 

Collezione Fies è la prima collezione privata in Italia di opere mutuate dalla scena performativa. La collezione ad oggi è composta da sole 26 opere, patrimonio tanto piccolo quanto prezioso, opere donate da artiste e artisti nel corso degli anni al centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee. Il progetto, vincitore di ArtVerona 2015, del concorso dedicato agli spazi indipendenti, allo stesso tempo sia collezione che strumento di ricerca che si basa sull’esclusività rispetto al medium, ossia solo performance e solo live. 

Con questa pratica ci si vuole focalizzare non tanto sulla trasformazione dell’opera in un feticcio di quello che è accaduto durante l’azione performativa, piuttosto sullo svelamento dell’azione stessa, intesa come congegno riattivatore. Ogni opera è legata a una performance passata, di cui l’archivio online di Centrale Fies tiene traccia attraverso video, foto e spesso documenti e interviste, al quale chiunque vi può accedere. 

Nel 2022 Centrale Fies mette in mostra alcune delle opere, collegate all’archivio on-line e alle performance originarie, in un percorso curato da Denis Isaia, per valorizzare la collezione attraverso una serie di progetti espositivi che, di volta in volta, toccheranno temi e immaginari differenti. 

 
 

L’idea di Collezione Fies, invece, nasce nel 2014, da un dialogo tra la co-founder di Centrale Fies Barbara Boninsegna e l’artista visiva pluripremiata Francesca Grilli assieme alla curatrice Alessandra Saviotti. Tra le opere di Collezione Fies “Vynil with performance ashes” di Francesca Grilli. Un disco in vinile sul quale sono state registrate tracce audio durante la performance a Centrale Fies nel 2001, un concerto per archi di alcuni brani di musica italiana eliminati o modificati dalla censura e riproposti nella loro originalità ed integrità musicale. All’interno del vinile le ceneri degli spartiti infuocati durante il concerto, a risancire l’azione riflessiva della performance sul concetto di censura. Con l’opera installativa  #Ed3n & The Perfect Life di Mara Oscar Cassiani, la dinamica oggetto perfomance è ancora differente: l’opera è un corpo di oggetti che posizionati in qualsiasi spazio evocano una diversa performatività, creando uno spazio nello spazio: una SPA per la meditazione e la cura del corpo.

La scultura di Riccardo Giacconi, titolata The Variational Status, è invece parte di un’azione performativa che lasciava all’oggetto gran- de centralità: una marionetta automatica, costruita dalla storica Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli, a celebrare il teatro in una delle sue forme più iconiche e storiche. Dell’artista Simon Asencio Flute [The Vain Dreamer (1765)], opera scultorea facente parte di una serie di strumenti a fiato in maiolica che rendono omaggio a canti anonimi compilati da John S. Farmer, lessicografo, spiritualista e scrittore britannico, noto per il suo dizionario di slang in sette volumi. L’opera è un flauto composto da due mani intrecciate, strumento pensato come ausilio per coloro che hanno perso la capacità di cantare e fare poesia, in una considerazione più ampia di come slang e canti vernacolari, siano stati in realtà la base per la poetica e la poesia più alta.

Impattante e di tutt’altro segno la fotografia di Santiago Sierra L’abbeveratoio, che si rifà a una performance che metteva in scena diversi elementi a partire dal video girato in parte al Tempio Karni Mata in Deshnoke in Rajasthan, dove i topi sono considerati sacri, e in parte a Centrale Fies (2015), in cui su un pavimento a scacchi bianchi e neri una svastica fungeva da abbeveratoio per la moltitudine di topi che, sotto lo sguardo di alcuni spettatori, attingevano al latte messo a loro disposizione. Una svastica piena di latte per gli animali sacri, latte associato a innocenza e purezza, la svastica come simbolo antichissimo e di buon auspicio, di cui il Nazifascismo si è appropriato legandolo a una della pagine più oscure dell’Europa del’900, mutandone profondamente il senso, invertendone totalmente il segno. Di simile impatto L’Angolo del saluto di Giovanni Morbin: un prisma a base triangolare il cui vertice più alto è costituito da una lama di acciaio inox, diventa una riflessione sul gesto -non solo performativo- ma su un gesto in particolare, quello del saluto fasci- sta, di cui la lama riproduce la perfetta angolazione del braccio teso al saluto, definita dall’artista “quasi uno stampo per un’azione da compiere”. L’opera rimanda ai meccanismi di rappresentazione che contribuivano ad una estetizzazione della vita politica del ventennio, rendendo materica e scultorea la forza offensiva di un gesto e ragionando su come questo gesto fosse adesione al progetto politico del fascismo. Alcune delle opere di Collezione Fies sono invece tracce di ciò che è avvenuto, ma sono capaci di riempire lo spazio con una vita e narrazione propria. Ma in Collezione Fies è presente anche presente ANAGOOR, con una scansione in 3d di una statua classica, raffigurante Apollo, in un’operazione di “raccolta di una realtà lunga 2500 anni, come il frontone del tempio di Zeus a Olimpia”, per darne una nuova identità digitale. Le opere di Curt Steckel e Filippo Minelli, che nascono per essere traccia, sono state creata all’interno di unseen perfomance, ossia performance agite in assenza di pubblico: la prima una scultura costruita poco prima del momento dell’entrata del pubblico in sala, che si ritrova a viverne le tracce, gli odori e l’energia di quello che è successo un attimo prima, e vendendone gli esiti e non il suo svolgersi; la seconda una fotografia che ferma l’atto performativo nella sua traccia finale.  «L’idea di Collezione Fies ha origine nel 2014, grazie a un dialogo con l’artista Francesca Grilli che faceva parte del progetto Fies Factory, il primo incubatore italiano per artisti performativi under 30, nato nei primi anni 2000 sempre qui, a Centrale Fies. Inizialmente Collezione nasce da una domanda che ha sempre messo in crisi chi lavora nell’ambito del performativo, ossia sul come documentare la performance, come tenerne traccia. Immaginare degli elementi documentativi al di là della fotografia e del video, delle interviste, dei libri, sembrava al tempo una sfida decisamente interessante. Ma con non poche criticità:
se la performance è un’esperienza che avviene in un tempo e in uno spazio destinato a non ripetersi allo stesso modo, com’è possibile renderne la sua natura effimera, documentandola? Come perservarne la sua caratteristica più magica e rituale senza snaturarla? La nostra ricerca ha abbandonato il concetto di documentazione per appropriarsi di un nuovo senso della narrazione, e di nuove domande: come si riattiva un’azione performativa dalle impronte lasciate? Come si posiziona un oggetto tra l’azione passata che lo ha generato e il suo futuro?». Spiega Barbara Boninsegna, co-founder e Direttrice Artistica di Centrale Fies. Continua il curatore Denis Isaia: «Sono opere nate in contesti e da artiste e artisti molto differenti, hanno un loro significato legato alla performance che le ha generate. Il pubblico si troverà dinanzi a una selezione di undici opere, sulle venti che a oggi compongono una piccola, ma rara collezione. Ognuna è significativa come oggetto in virtù dell’azione o della performance da cui deriva, per questo all’interno della mostra si troveranno opere che il pubblico di Centrale Fies ha già vissuto come performance. Per gli affezionati sarà un modo per rivivere alcune delle grandi performance del passato, per gli altri invece ci sarà la possibilità di avvicinare delle rarità. Penso ad esempio a “The Variational Status” di Riccardo Giacconi, una scultura-marionetta primitiva ma automatizzata, o di “Vynil with Performance Ashes”, un vinile inciso dall’artista Francesca Grilli con l’audio di una performance live presentata e prodotta nel 2001 da Centrale Fies, sulle musiche censurate in Italia nei secoli. Tra le opere della collezione che hanno un più stretto contatto con la performance che le ha generate vanno citate quelle di Curt Steckel e Filippo Minelli. Si tratta di lavori frutto di una scelta degli artisti che ha previsto una performance in assenza di pubblico, il quale però è stato invitato a vedere il risultato dell’azione nel momento stesso in cui termina. Ciò che quindi resta sono le tracce e gli odori di qualcosa appena avvenuto. Ad esempio il legno appena tagliato, o i resti dei colori. C’è ancora della vita, ma non c’è il corpo. Lo stesso accade con l’oggetto in generale nella mostra: c’è la performance, ma non c’è più l’azione. Questa è la chiave di lettura». Ogni pezzo scelto per Collezione Fies è frutto di un dialogo aperto con artiste e artisti, e finalizzato a comprenderne per l’appunto le complicità possibili tra un’azione, i suoi resti e la sua documentazione. L’idea sin dall’inizio è stata quella di riuscire a superare la dimensione puramente documentativa che è propria della performance storica che prevedeva semplicemente la descrizione in forma fotografica o cronachistica di un’azione. Con gli artisti abbiamo voluto sperimentare un rapporto più attivo tra l’azione e l’oggetto.

La collezione di Centrale Fies è ad oggi composta da 26 opere di Alessandro Sciarroni, Anagoor, Andreco, Anna Perach, Curandi-Katz, Curt Steckel, David Bernstein, Diego Tonus, Filippo Minelli, Francesca Grilli, Ingrid Hora, Luigi Presicce, Mali Weil, Mara Oscar Cassiani, Mi- chael Fliri, Riccardo Giacconi, Roberto Fassone, Rosa Sijben,Santiago Sierra, Simon Asencio, Styrmir Örn Guðmundsson.  

 

da TELL MUM THE SPELL WORKED #0, Centrale Fies 2023

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