15.05.2025

Yo & Benno, © Matteo Jamunno

Ti dicono che è meglio non incontrare mai i propri eroi perché poi si rischia di rimanere delusi ma io, uno dei miei eroi, l’ho incontrato una ventina di anni fa e all’epoca manco sospettavo sarebbe diventato uno dei miei eroi. Forse perché non è appariscente come Batman o non va in giro cavalcando un martello celtico volante tipo Thor. Al massimo va in giro con pantaloni da lavoro le cui tasche sono piene di penne, matite, acquerelli e altri strumenti per disegnare, metti che ti venga voglia nel momento meno opportuno, tu devi essere pronto.

Tutto/Nix è aperto quando dentro vedi Benno che maneggia le sue tele e pitture, altrimenti devi chiamare per farti aprire e aspettare che Benno arrivi. Io per sicurezza chiedo sempre a Sandra di annunciarmi. Un po’ perché conosco Benno e so che non guarda mai il telefono, un po’ perché so che se gli chiedo io di vederci non mi da troppa retta, se glielo dice invece l’autorità assoluta Sandra ecco che diventa un vero impegno. 

Benno è seduto, quasi sprofondato, in una delle sue poltrone da studio. È circondato dalle sue opere, alcune tra le quali hanno numerose vite stratificate. Si nota subito questo particolare, oltre alla presenza dominante dei colori primari, che le opere hanno tutte una storia. Alcune tele possono essere definite sedimentarie. Vedi solo lo strato in superficie ma sotto ci può essere di tutto. Chissà quanti quadri precedenti. Chissà quante idee accantonate o migliorate. Pezzi di giornale, tecniche miste, tutto è celato nelle profondità di quelle tele. È come se Benno avesse paura di concludere un’opera, come se fosse perennemente in attesa di un’idea nuova. Forse è un perfezionista, o forse non è mai soddisfatto pienamente. Più verosimilmente però, è un grande riutilizzatore. Questo lo abbiamo in comune. Benno non butta via niente. Conserva, archivia, sia per non dimenticare, sia per aspettare che sia il momento giusto.

Il momento giusto per i suoi taccuini è arrivato adesso, dopo quasi quattordici anni di costante raccolta quotidiana. Saranno esposti durante la settimana di festa del secondo compleanno della Nuova Libreria Cappelli, nella sede però della Vecchia Libreria Cappelli, all’interno di dieci diversi oblò. Non a caso poi la mostra si chiamerà Oblio in dieci oblò #taccuinidibenno ed è proprio questa la prima domanda che gli ho fatto, non appena si è alzato dalla sedia, perché una parola spaventosa come oblio per dare il titolo alla sua prima mostra personale dei taccuini? “Perché oblio equivale a dimenticare, qualcosa che sparisce dai nostri ricordi e io non voglio dimenticare, per questo appunto, disegno ogni giorno, per tenermi allenato a non sprofondare nell’oblio”.

Ogni volta che io e Benno parliamo per me è come ricaricare le batterie. Lo tempesto di domande e questa volta ho almeno una scusa: intervistarlo. Generalmente lo faccio per pura curiosità e lui è costretto ad acconsentire quanto in realtà temo preferirebbe fare dell’altro. Ma Benno è buono e si concede e parliamo di tutto e di nix al tutto e nix.

About the authorMatteo JamunnoNasce a Napoli nel 1983, cresce a Bolzano, fuoriesce a Vienna. Cantautore conosciuto da pochi come YOMER. Musicista dalle [...] More
Qualche anno fa, durante il Covid, facemmo una passeggiata a debita distanza. Era un periodo complesso, di cambiamento per me e necessitavo di parlare con qualcuno dalle numerose sfaccettature. Quando mi danno dell’artista poliedrico io un po’ sollevo le spalle pensando ad artisti poliedrici come Benno, che di direzioni intraprese con successo ne hanno ben più di me. Che sia forse l’aver portato a termine diverse esplorazioni? Di questo parliamo spesso, di cosa ci spinge ad esplorare, a non rimanere relegati solo in un’ambiente della creatività. Benno ha registrato dischi, suonato strumenti, cantato, scritto canzoni, poesie. Ha costruito case, mobili, armadi. Ha dipinto, scolpito, disegnato. Unica cosa che non riesce a fare è togliere la fastidiosa suoneria dal telefono. Durante quella passeggiata gli chiesi come è riuscito a fare di tutto, rimanendo se stesso. Mi disse che all’inizio non fu facile, perché fare un po’ quello che ci pare è l’affronto peggiore che si può fare alla società, che ci vuole tutti definiti con una sola direzione da seguire per non creare scompiglio mentre Benno e lo scompiglio vanno di pari passo. Dall’alleanza architetti gli veniva intimato di essere più architetto e meno artista, meno grafico, meno creatore. Come fai a dire a Benno cosa deve fare? In parte lo ha fatto, per arrivare ad avere la pensione. Ma per il resto Benno ha sempre fatto quello che voleva, diventando il gallerista di se stesso. Il promoter delle sue creazioni. A modo suo, una delle persone più attive che seguo su i social dove spesso posta immagini tratte dai suoi taccuini. Quando gli chiesi cosa dovessi fare con la mia vita, in un momento in cui non sapevo che pesci pigliare, mi rispose nella maniera più semplice possibile: ma fai un po’ quello che ti pare.

Era tutto contenuto in quella frase. Se una persona della sua età, con tutta la saggezza accumulata in decenni di esistenza sul pianeta, arriva a dirmi di lanciarmi nelle cose che mi rendono felice, allora o è un incosciente o un genio e io continuo a ripetermi che deve essere la seconda opzione altrimenti sono nei casini dato che da allora, sto facendo quello che mi pare. Spaventosa libertà che costa tantissimo.

Tre valigie piene di appunti, raccolti in taccuini, un lavoro cominciato usando solo penne poi chine, sempre in bianco e nero, poi l’arrivo dei colori. Tecniche miste. Vignette. Critiche. Ritratti fotografici, umoristici. Satira. Denuncia. Paesaggi e volti di persone care. Un lavoro che non ha visto mai giorni di riposo, che solo negli ultimi tempi è diventato un poco più rado. Quando gli ho chiesto come mai, è stata la prima volta in anni che ho visto i suoi occhi brillanti rannuvolarsi. “Perché c’è qualcosa che non va in questi tempi”. Sono anni complicati, il linguaggio è cambiato e l’umanità sta andando in una direzione sempre più buia, guidata da leader urlanti, che vogliono solo litigare, dividere. Sembra quasi che le lezioni del passato vengano dimenticate e questo preoccupa il mio eroe che si sta rendendo conto del futuro che ci aspetta. Sono gli animi sensibili i primi ad accorgersi dei cambiamenti. Benno è come il canarino portato in una miniera profondissima e sta rilevando qualcosa nell’aria. Al sicuro, nel suo atelier, tutto quello che accade fuori passa sotto la sua lente di ingrandimento e diventa creazione. Non c’è un angolo privo di un disegno, un appunto.

Entrambe non buttiamo via niente. Conserviamo e aspettiamo. Nel 2002 due, dopo aver visitato l’Accademia di Design di Bolzano, avevo passato l’estate ad aspettare l’inizio dell’anno accademico per andare finalmente a frequentare quel posto che avevo visitato con enorme gioia. Salvo poi vederlo trasformato in qualcosa d’altro. Un’università. Ancora oggi, ventitré anni dopo, ricordo l’aria che si respirava là dentro. C’era un forte odore di Bauhaus, a Bolzano. Qualcosa che poi è andato perso nella nuova sede, piena di strumenti fantastici ma privi dello spirito che li ispirava, privi di Benno e di quella piccola realtà che aveva creato. Gli dico che non gliela perdono di avermi fatto iscrivere all’università e non all’accademia. Ride e io so che non è colpa sua, ma tra vecchi amici ci si punzecchia anche in questo modo amaro.

Io non ho buttato via quel ricordo di quel momento in cui tutto sembrava pronto a diventare qualcosa di più. forse poi ho buttato via degli anni cercando di trovare una definizione unica andando in quell’università, ma ero giovane e maldestro, ci sta qualche errore di distrazione.

Benno mi mostra gli oblò che conterranno i taccuini, i guanti che bisognerà indossare per sfogliarli. Siccome sono tanti, saranno pure cambiati durante il corso della settimana, bisogna solo trovare una persona affidabile che si occupi di questa transizione.

Interrompo la registrazione della nostra intervista solo quando Benno riceve una telefonata importante. L’iPhone l’annuncia a gran voce: Zantra Monthali! Ebbene sì, il telefono di Benno parla tedesco e pronuncia malissimo i nomi italiani. Vorrei cambiargli io questa impostazione ma è troppo divertente per sbarazzarsene così.

Lo lascio andare a pranzo e poi a riposare. Lo attendono numerose battaglie ancora. Tipo andare in ferie a Ischia e poi tornare e affrontare la vita sociale. Persone che gli faranno domande e gli staranno addosso e non saranno bellissimi e gentilissimi come me.

Saluto Benno, lo ringrazio, deposito questo altro incontro nello scaffale degli incontri con uno dei miei eroi. Acciaccato e raggiante come sempre.

Passo a salutare Marcello già che ci sono, per chiedergli se l’anno prossimo ha in programma di fare tutto un mese di celebrazioni ma mi dice di no, che per il momento è abbastanza lavoro così. Aggiunge, che questa sarà la prima mostra effettiva di Benno, il che mi pare un po’ assurdo ma conoscendolo, uno che è in grado di fare tutto da solo e che utilizza tutti gli spazi a disposizione (online e non) come contesti espositivi, potrebbe anche essere vero.

Tra le altre cose, prima del poetry slam tenutosi all’interno del Südtiroler Landtag, sono riuscito a fare una capatina in ufficio dai Verdi grazie a Zeno Oberkofler e, con somma sorpresa e gioia, ho trovato anche lì un’opera di Benno. Zitto zitto il nostro caro Simma è ovunque.

Però, come gli si addice, senza fare rumore. Senza eccedere. Con stile.

Tranne quando gli suona il telefono, ecco.

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