I moti della montagna (e dell’anima)
Intervista al regista Andrea Costa, autore del film-documentario "Moving Mountains" in anteprima all’Edizione 2025 del Bolzano Film Festival Bozen.

© Daniele Fiorentino
Moving Mountains. Mi ha affascinato fin da subito la pregnanza di questo titolo, scelto dal regista, il videomaker e produttore Andrea Costa per il suo ultimo lavoro. Sto parlando del film-documentario prodotto da Takt Film e girato in Val Sarentino che verrà presentato in anteprima a breve, all’ultima edizione del Bolzano Film Festival Bozen nella sezione Local Heroes, lunedì 7 aprile alle 16.30 al Filmclub, a cui seguirà una successiva proiezione, venerdì 11 aprile, alle ore 19.00 presso la Waaghaus, sempre di Bolzano.
Sono due parole, quelle del titolo, che mi sembra racchiudano molti significati e rimandi al loro interno: due termini che hanno a che fare con l’essenza trasformativa e vitale della montagna, luogo e dimensione esistenziale dal carattere forte, che, imponendo le sue regole non scritte e mutevoli, non può che influire enormemente sulla vita delle persone che la abitano e ci lavorano. Un influsso molteplice dettato dalla natura aspra e volte avversa e imprevedibile della dimensione montana, ma al tempo stesso fertile, capace di istituire legami forti tra le persone all'interno delle comunità e prodiga di svolte inattese da parte del destino, come lo testimonia l’incontro tra Moussa e Rita e i due protagonisti al centro della vicenda narrata dal film.
Moussa è un giovane migrante africano in cerca di sé e del proprio posto nel mondo, che approda all’interno di una comunità montana altoatesina, e Rita è una contadina madre di sette figli adulti. Le loro vite si intrecciano, sullo sfondo dei suggestivi paesaggi della Val Sarentino, tra il lavoro quotidiano in un maso alpino e l’incedere del tempo e della natura che li circonda.

Andrea Costa con l'intensità delle sue riflessioni ci racconta qui in una bella intervista la genesi di questo documentario, che è un ulteriore tassello nella produzione di Takt Film, casa di produzione con sede a Bolzano, che da un decennio realizza progetti audiovisivi che danno voce a storie della regione con l'intento di esplorane la sua realtà in trasformazione. Aggiungerei solo una mia ulteriore (e conclusiva) nota riflessiva sul titolo del film, che ho trovato significativo anche nel momento in cui, contenendo la parola moving, richiama la potenza espressiva del linguaggio cinematografico (forse anche omaggiandolo). Vi ho colto un rimando a quella che è l’essenza del cinema, della cosiddetta immagine-movimento (per dirla con Gilles Deleuze) che veicolando narrazioni, storie e vissuti intimi, sa generare emozioni e moti dell’anima come pochi altri medium. E questo in più direzioni: in chi sta dietro e davanti alla macchina da presa, così come in chi fruisce della visione finale, da casa come nel buio (magico) di una sala cinematografica.
Ricordo anche che dopo le due proiezioni del film, il regista e il team saranno disponibili per un incontro con il pubblico e la stampa.

Andrea, come nasce l'idea di questo film-documentario?
Producendo video anche per la comunità contadina e montana, mi sono imbattuto in dinamiche che non mi aspettavo: relazioni aperte, in continuo cambiamento, e un senso di trasformazione profonda, spesso lontano dagli stereotipi sulla vita in montagna. Mi ha colpito come certe scelte, anche difficili, possano costruire legami forti e un’idea di comunità fatta di fiducia e cura. È in questo contesto che, tramite amici, ho sentito parlare per la prima volta di Moussa e Rita. Qualche tempo dopo li ho incontrati di persona, e da lì è nato in me il desiderio di raccontare la loro storia. Moving Mountains prende forma proprio da lì: un film sull’appartenenza che nasce dall’incontro, dal lavoro quotidiano e dal desiderio, condiviso, di costruire una nuova quotidianità, fatta di ascolto, presenza e piccoli gesti di fiducia.
Il titolo nasce da qualcosa che Moussa dice nel film. Mi ha colpito il modo in cui parlava della necessità di affrontare ostacoli enormi — situazioni che richiedono coraggio, fiducia e la capacità di non rassegnarsi al destino. Da lì ho capito che Moving Mountains racchiudeva bene il senso profondo del film. Ha un doppio significato: da una parte richiama il paesaggio alpino, che sembra immobile e stabile, eppure cambia nel tempo. Dall’altra, suggerisce un movimento interiore, profondo e silenzioso, che attraversa Moussa nel suo percorso di crescita e ricerca di appartenenza.
Quali sono stati gli aspetti più complessi e affascinanti della sua lavorazione?
Una delle sfide più grandi è stata confrontarsi con i cambiamenti reali: pensavamo che Moussa vivesse ancora nel maso, invece si era trasferito, e nel frattempo è arrivata la pandemia, che ha rallentato tutto e cambiato anche il corso del film. Ci ha costretto a ripensare tempi e approccio. Anche la storia, nel frattempo, è cambiata — e noi con lei. Trovare il ritmo giusto è stato altrettanto impegnativo: volevamo lasciare spazio ai silenzi, ai gesti, al tempo che scorre, senza forzare. Le riprese sono state semplici grazie al rapporto di fiducia con Moussa e Rita, ma il montaggio è stato complesso — scegliere cosa tenere e cosa no, senza perdere la profondità delle loro storie, è stato un lavoro delicato.
Il film è prodotto da Takt Film, la casa di produzione che hai fondato a Bolzano con Verena Ranzi. Di cosa vi occupate?
Takt Film è nata con l’obiettivo di dare voce a storie della regione attraverso un linguaggio cinematografico incisivo e coinvolgente. Insieme a Verena Ranzi, produciamo documentari, video ritratti, interviste e campagne per brand e istituzioni, cercando sempre di mantenere una forte attenzione narrativa e visiva.Amiamo lavorare con storie vere, persone vere e contesti in trasformazione. Ci guidano la curiosità, il rispetto e la convinzione che la creatività nasca dal confronto tra prospettive.Moving Mountains è l’ultima espressione di questa visione: un documentario che fonde paesaggio, identità, crescita e relazioni umane.



Tu sei originario di Milano ma hai scelto di vivere e lavorare in Alto Adige. Qual è il tuo rapporto con questa terra?
Quando sono arrivato, non sapevo bene cosa aspettarmi. È un territorio che all’inizio può sembrare chiuso, ma che con il tempo rivela una profondità sorprendente.È pieno di stratificazioni, di storie che affiorano nei dettagli. Mi ha colpito il silenzio notturno: era così forte da sembrarmi quasi fisico. Oggi quel silenzio fa parte del mio quotidiano, come le montagne che definiscono i confini ma allo stesso tempo aprono nuove prospettive.Il rapporto con questa terra è buono. Col tempo è diventata anche un po’ casa. A volte mi manca la linea dell’orizzonte, quella visione lunga e aperta. Ma qui basta camminare, salire, cambiare punto di vista — e la ritrovi.