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October 24, 2024

Ratti auguri di pronta rattigione!

Matteo YOMER Jamunno

Uno non può stare sempre bene, dopo una certa età impari ad accettarlo. Impari a convivere con i momenti bassi e fai una specie di limbo. L’attività da villaggio turistico con musichetta ridicola annessa. Ti pieghi, ci passi sotto, diventi uno di quei telefoni di una volta che si chiudevano su se stessi, e aspetti. Prima o poi passa. Passa tutto alla fine. I momenti belli così come quelli brutti. Passa un mese e non accade nulla di memorabile per cui valga la pena scrivere un articolo, ma ci tieni a non perdere l’unione che si è creata con la piattaforma digitale. Poi scrivere aiuta, tantissimo, quando le cose non vanno secondo i piani.

Dato che qua parlo parecchio di come sto e, ogni tanto, di come stanno pure gli altri, facciamo che questa volta mi concentro sul luogo dove ho passato la maggior parte del tempo ultimamente. Ovvero nella mia testa e nei miei pensieri.
Ho una malattia agli occhi che ogni tanto si accende. Non dovrebbe, in teoria, ma lo fa perché nessuna terapia funziona perfettamente. Allora si risveglia, torna a farmi visita. Il mondo attorno diventa bianco, nebbioso, come stare in un bagno turco all’ennesima potenza, la luce fa male, tutto perde definizione e io trovo difficile uscire, parlare, conoscere, persino emozionarmi per le piccole cose. Io odio quando le piccole cose non mi causano emozioni. Mica per colpa loro, sia chiaro, a causa dei miei occhi che non fungono correttamente e non mi permettono di vedere le cose piccole. I dettagli. A me piacciono i dettagli. Più dell’insieme.

Non sono stato tanto bene. Ho scritto ma quello che usciva era sempre un po’ preso male e lamentoso e non mi andava di condividerlo. Ho disegnato e quello invece mi andava proprio di metterlo ovunque. Vedendo male, isolandomi dal mondo, ho trovato un po’ di pace nei disegni di piccoli topini intenti a fare cose diverse, a occupare la realtà che mi circonda rendendola meno dolorosa. Quando disegno e cospargo quello che mi circonda di ratti, tutto diventa sopportabile. 

A me piace tantissimo girare in bicicletta. Ho imparato a cantare andando in bicicletta, quando indossavo le cuffie del walkman e percorrevo al ciclabile lungo il Talvera cantando a squarciagola ogni album metal possibile che riuscivo a reperire e copiare su cassetta. Quando non mi funzionano gli occhi però non posso andare in bici. Potrei anche, ma è un rischio. Io odio i rischi. Già sto pensando di comprare un elmetto per andare in bici e accettare le conseguenze che comporterà sul mio look. Ho pensato alla mia bici legata fuori casa che mi aspetta e si impolvera. Ho pensato a un piccolo team di ratti che decide di prenderla e usarla per evitare si formi la ruggine. Allora l’ho disegnato e sono stato un po’ meglio.ratti 01

Il corpo umano è una macchina perfetta ma il mio è più che altro una Innocenti che ha visto tempi migliori, due ruote sono sgonfie e una traballa, il motore è esausto, i fanali si accendono a intermittenza, la radio è sintonizzata su un canale che trasmette una sola canzone, tutte le spie funzionano a ondate che pare di vedere delle illuminazioni natalizie, le cinture di sicurezza sono una promessa non mantenuta, non c’è aria condizionata, non c’è proprio aria perché non si abbassano i finestrini, sta parcheggiata nel cortile sotto casa e le piante le sono cresciute sopra, una famiglia di topini abita nel tubo di scappamento e devo stare attento a non scaricare niente di tossico perché i piccini devono crescere sani e forti e rosicchiarmi tutti i cavi elettrici. ratti 02

L’altro giorno al bar c’era il tizio francese di cui ho scelto di non imparare il nome perché è un nome francese e io sono contrario all’imparare i nomi francesi, quindi lo chiamo “amico mio” che trasuda falsità ma poco importa. Soprattutto perché lo dico con un falso accetto francese, tipo “mon amìc!”. Non capisco cosa dice quando parla perché si barcamena come riesce tra il tedesco e l’inglese ma si mangia le parole e le imburra con la lingua romanza più formaggiosa di tutte. Io annuivo ma ero concentrato a disegnare. La nebbia negli occhi era un po’ meno forte così mi ero messo fuori al sole all’aperto e il francese fumava e guardava il telefono e mi raccontava dell’appuntamento che avrebbe avuto la sera stessa con la propria fidanzata. Io continuavo a disegnare ma lui insisteva allora ho immaginato il loro appuntamento, in un bar come quello dove eravamo seduti. Però li ho immaginati sotto forma di topini, intenti a ordinare una nuova bottiglia di vino. Il cameriere topino sale da una scaletta e gliela porge e loro siedono sul tavolino proprio di fronte al mio. Alla fine ci sta per dei topini essere francesi dato lo spiccato interesse verso i prodotti caseari. Per disegnare i dettagli più minuscoli ho dovuto accendere la luce portatile della bici che avevo appresso. In pieno giorno. Quando ho finito e sono tornato in superficie riemergendo dai miei pensieri il francese se ne stava per andare. Ha pagato lui il conto ringraziandomi per la piacevole conversazione (non ho detto praticamente nulla ma rido sempre alle battute degli altri specialmente quando non le capisco). Ho guardato gli altri tavoli e ho visto una ragazza piena di pennarelli che disegnava diavoli rosa. Un signore di una certa età che scriveva a penna nel suo taccuino probabilmente il suo prossimo romanzo. Un ragazzo che provava a decifrare un file excel o forse era un programma di sintetizzatori formato dj techno. Poi io con i miei topini. Io non me lo posso permettere un atelier anche se mi do arie da artista. Mi posso permettere a malapena di stare in un bar sperando che qualcuno mi offra da bere. Ma a Vienna è tutto così. Gli atelier sono per artisti con qualche mecenate, tipo un babbo ricco. Noi morti di fame paghiamo un caffè al giorno per sentirci meno soli, finire circondati da morti di fame come noi, costretti ad ascoltare il francese che diventa un salvagente mentre si sprofonda nella solitudine. Io ho i miei topini al momento a tenermi compagnia.letto 00

Di recente sta andando un pochino meglio. Si sta sfiammando tutto. La nebbia persiste ma ho imparato a conviverci, come un abitante qualunque della pianura padana. Oramai sono quindici anni di conoscenza tra me e questa malattia bislacca. Mi ha dato tanto. Un’infinita capacità di introspezione e la scusa perfetta quando non ho voglia di uscire. Mi piace prendermi del tempo per stare male, è un atto rivoluzionario nella nostra società. Mi piacerebbe molto potermi anche prendere del tempo per guarire eh, ma non si può avere tutto.
Intanto ho scoperto questo mondo del disegno che mi sta regalando infinite soddisfazioni. Persino le voci che ho in testa e che mi tengono sveglio la notte possono diventare un disegno, che mi aiuta a esorcizzarle. Io, Ernesto e le ansie verso il futuro. Qua non ci sono ratti. Non li ho disegnati perché sono sicuro che Ernesto li mangerebbe subito e siccome a loro ci tengo in casa non li faccio entrare.

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