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September 27, 2024
La Grange: Jasmine Deporta svela il mondo agreste di Erwan Bouroullec, tra rudezza e design
Silvia M. C. Senette
Il cinema è un non-luogo in cui l’immaginazione incontra la realtà. “La Grange” invita a esplorare questo confine in un viaggio esperienziale che accompagna lo spettatore in territori inesplorati. Il primo progetto congiunto della fotografa altoatesina Jasmine Deporta e Silvio Rebholz accende i riflettori sul designer francese Erwan Bouroullec, che si divide tra Parigi e la nuova residenza-studio di Borgogna, in piena campagna. Una storia, la sua, che si fa invito a riflettere sulla connessione tra arte, architettura e natura. Attraverso l’uso di spazi evocativi e narrazioni visive, il cortometraggio esplora la relazione umana con l’ambiente.
La storia si sviluppa attorno a una fattoria in disuso. Un setting non casuale, punto d’intersezione tra tradizione e modernità. ”È un luogo con un’anima – rivela l’artista visiva multidisciplinare, nata e cresciuta in Val di Funes -. Un luogo che parla anche attraverso il silenzio”. “La Grange è memoria, bellezza e speranza – conferma il designer di fama internazionale -. È un invito a riscoprire la nostra connessione con la terra”. Questa visione si traduce in un’opera che sfida le convenzioni narrative e che sarà presentata in anteprima nazionale lunedì 30 settembre alle 19 a UniBz; un’esperienza collettiva seguita dalla conversazione e dalle riflessioni di Deporta e Bouroullec.
Come descrivereste l’atmosfera che permea “La Grange”?
Erwan: Quel luogo ha impresso un’energia fondamentale nella mia vita e nel mio lavoro recente. Ho sentito il bisogno di un supporto per capire meglio cosa significasse per me quel posto, cosa ci facessi lì, e Jasmine è stata la chiave per questo. Il progetto è iniziato chiedendole di dare un’occhiata intorno; gradualmente si è trasformato in un’esplorazione più profonda di me.
Jasmine: Per Erwan, La Grange è più di un semplice spazio; è un luogo con cui è in dialogo intimo. Dalla nostra idea di girare documentarlo è nata una sorta di conversazione attraverso le immagini, rendendolo un “visual essay”, un saggio visivo. Il cortometraggio dura 27 minuti e cattura Erwan nel suo quotidiano, che vive, progetta e lavora con altre persone.
Com’è stata la vostra prima visione del cortometraggio?
Jasmine: Un’esperienza nuova, avvenuta a Copenaghen nella tre-giorni dedicata al design. Il contesto era speciale e vedere il nostro lavoro sul grande schermo e condividere questo momento con altri è stato emozionante, intenso.
Erwan: La prima visione ha evidenziato l’interesse del pubblico verso temi quali l’agricoltura e la natura, evocando emozioni contrastanti per un tema molto sentito: gioia, perché tutti provano trasporto per l’ambiente, ma anche una certa tristezza per il nostro rapporto attuale con la terra. È un film che parla a tutti.
In che modo il vostro lavoro intreccia il tema della sostenibilità e del contesto rurale?
Erwan: Questo film si allontana dai temi urbani – musica, moda, design – per affrontare questioni fondamentali. La sostenibilità richiede un ripensamento della realtà e l’agricoltura è cruciale per la nostra civiltà: lo è dal punto di vista culturale ma, molto più concretamente, perché produce il cibo dell’uomo.
Jasmine: Si può affrontare a diversi livelli il tema della sostenibilità, che a mio avviso riguarda la creazione di un senso di comunità e di connessioni, ma anche di un valore della durata nel tempo. Abbiamo cercato di illustrare come questi elementi siano presenti nella pratica del design e nelle relazioni umane create durante il nostro lavoro.
Erwan, in che modo il tuo approccio al design si è evoluto con questo progetto?
Erwan: Penso che questa esperienza abbia compiuto in me una sorta di trasformazione che è stata guidata da Jasmine e Silvio. Nel processo delle interviste mi si sono chiariti concetti che avevo in me, ma che non avevano mai preso forma. Questo mi ha reso più consapevole del mio lavoro.
La Borgogna come ha influito sul tuo sentire da designer?
Erwan: Il mio lavoro è sempre stato molto fisico, ma la campagna ha una rudezza unica, tutta sua, che probabilmente le deriva dall’agricoltura e che stimola la creatività. Qui le persone non hanno il tempo di creare qualcosa di elegante, devono agire, ma allo stesso tempo stanno costruendo cultura. Ho voluto coltivare questa rudezza nel mio lavoro cercando di essere chiaro e diretto, in un nuovo equilibrio tra semplicità e complessità.
Dopo quasi 30 anni di attività, quale ritieni sia il tuo progetto più iconico?
Erwan: Tengo molto alla diversità di ciò che ho creato con mio fratello Ronan e ai contrasti. Sono felice quando qualcuno apprezza una sedia o un progetto specifico, ma ogni pezzo, semplice o complesso, contribuisce a un insieme più significativo della singola opera.
Oggi qual è la tua visione per il futuro del design?
Erwan: Penso che il design debba abbracciare una certa sobrietà, che io chiamo austerità positiva. Dobbiamo liberarci di un certo lusso e di segni ironici per proporre uno stile molto più sobrio, che si adatti alla realtà che viviamo. Questo è un momento in cui è importante utilizzare con attenzione le risorse che abbiamo e riflettere bene prima di creare qualcosa. La campagna ci costringe a essere concisi, portando a creazioni semplici, ben fatte e significative.
Jasmine, da fotografa, come hai tradotto l’essenza del design di Erwan in immagini?
Jasmine: Nel mio lavoro molto ha a che fare con l’intuizione e la connessione. In “La Grange” ho cercato di catturare non solo Erwan, ma anche l’intero spazio, questo grande ambiente composto da una fattoria e le persone che la popolano, creando un dialogo visivo profondo e ricco di significato. La differenza, questa volta, è che si trattava di video, non di immagini statiche; ma il luogo si è rivelato perfetto per l’immagine in movimento.
Quale il maggiore ostacolo creativo che hai affrontato nel realizzare “La Grange”?
Jasmine: Penso che la parte tecnica del montaggio sia stata la più complessa, anche se l’avevo già fatto prima su scala molto più ridotta. Lavorare in duo è stata una novità: puoi contare sul supporto di un’altra persona, ma si impongono il compromesso e lo scambio, a volte più facili, altre più difficili. Ma la sfida più grande è stata la fase di montaggio, che ha richiesto quasi un anno; un processo piuttosto lungo, ma questo ci ha permesso di interiorizzare il progetto, di avere uno scambio profondo con Erwan, di tornare a Borgogna diverse volte e di sviluppare il film esattamente come volevamo.
Come influenza la tua formazione artistica il modo in cui racconti attraverso il film?
Jasmine: Penso che “La Grange” sia stato un buon banco di prova. Ho una laurea in design e un master in fotografia: il cortometraggio riunisce le conoscenze e l’esperienza che ho coltivato negli ultimi 15 anni, lavorando indipendentemente come artista. È stato un processo molto gratificante, diverso da tutto ciò che ho fatto prima, ma è uno dei progetti più completi, ampi e intensi che abbia mai realizzato.
Foto credits: immagini dal film La Grange, di Jasmine Deporta e Silvio Rebholz
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