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September 10, 2024
Bolzanism Days: tre giorni per scrivere il futuro del “non-museo” diffuso
Silvia M. C. Senette
Cooperativa19 e Campomarzio sono le due realtà culturali bolzanine promotrici e organizzatrici, con il Teatro Cristallo, del visionario progetto Bolzanism Museum: un esperimento di mediazione urbana nato nel 2020 e diventato il primo museo d’Italia sul social housing e le architetture popolari. A rendere unico questo “non-museo” diffuso sono state le iconiche “walk teatrali” alla scoperta dei quartieri periferici del capoluogo altoatesino: dai super-condomini di Shanghai al rione dei Piani-Siberia, fino ai Pifferi di Manhattan. Le di passeggiate con cinque coppie di attori-ciceroni hanno coinvolto ogni anno 500 “visitatori” di ogni età nelle sceneggiature itineranti in italiano e tedesco, ma anche albanese e arabo.
Valentina Cramerotti, operatrice culturale di Cooperativa19, e Pietro Ambrosini, architetto e socio fondatore di Campomarzio, anticipano i contenuti dei “Bolzanism Days”: tre giorni di incontri, mostre, laboratori, musica e proiezioni, dal 13 al 15 settembre tra le case popolari di Bolzano Ovest, per riflettere sul futuro del progetto.
Perché fermarsi ora a interrogarsi su Bolzanism?
Pietro: È il quarto anno di attività di quello che noi chiamiamo “museo”, ma da otto anni animiamo i quartieri con proposte che ci hanno permesso di arrivare a Bolzanism: un esperimento ispirato dal notevole fascino di questa zona. Un’invenzione basata sulla casa popolare. Nei quartieri ovest ce ne sono moltissime, incredibili, sembrano Wunderkammer una dietro l’altra, tutte diverse.
Valentina: Tutto è nato domandandoci se chi abita questi luoghi unici li guarda con gli stessi nostri occhi. Ci siamo chiesti cosa vuol dire periferia, come vengono accolte le attività culturali in condominio, che significato hanno questi edifici per inquilini e residenti, se ne conoscono la storia e se condividono con noi la fascinazione e l’esaltazione per questa utopia periferica non necessariamente legata alla storia italiana.
Un percorso di autoanalisi collettiva?
P: Abbiamo voluto condividere il nostro punto di vista sui quartieri urbani con un’idea basata sullo scambio: noi, che non abitiamo lì, raccontavamo loro la storia di quelle case e dello sviluppo urbanistico di Bolzano e, con lo stratagemma della festa di condominio, cercavamo di ottenere da residenti e inquilini storie domestiche, familiari. Da dove erano arrivati? Come erano giunti lì? Che lavoro facevano? Cosa ricordavano di quando erano entrati in quel condominio e in quella piccola comunità?
V: Abbiamo iniziato a costruire un archivio interessante che fondeva storia personale e collettiva. La gente riusciva a ricostruire un senso, un’identità del suo abitare lì. Il tema delle periferie vive e soffre di una retorica abusata, ma abita in periferia l’80% degli italiani. Ricostruire una narrazione collettiva che mettesse insieme i pezzi si è rivelato uno strumento molto potente anche per i bolzanini dei quartieri popolari.
Quali reazioni avete ottenuto nei quartieri?
V: Questo progetto era capace di meravigliarli, di far ripercorrere dinamiche domestiche per loro normali.
P: È stato l’inizio della costruzione di un racconto che negli anni ha preso varie strade fino a diventare un museo intangibile, per poi trasferire questa ricchezza ad altri. Ci sembrava un progetto troppo bello per tenerlo chiuso all’interno di questi momenti conviviali.
Sono nate le quattro edizioni di Bolzanism Museum.
V: Non le consideriamo edizioni, ma un susseguirsi di progettualità e modalità di proporre un racconto attraverso gli anni e i quartieri. Siamo partiti da Bolzano Ovest, affezionandoci a quella periferia, per spostarci ai Piani, alle Case dei Ferrovieri.
P: Dopo otto anni di lavoro e quattro di “museo” non ci sembrava corretto smettere perché la stagione o i finanziamenti erano finiti. È il momento di fare il punto, di chiederci che senso aveva, ha avuto e ha il progetto. Tiriamo una riga, ci interroghiamo su come farlo evolvere; e per farlo abbiamo sospeso l’attività a cui vi abbiamo abituati. Le passeggiate, ogni sabato e domenica, ci sono; ma ci dedichiamo un festival in cui riflettere insieme sul senso di tutto questo.
Come si declinano i tre-giorni dei “Bolzanism Days”?
V: Il programma, da venerdì a domenica, vedrà le walk nei percorsi di Shanghai e Manhattan alternate a due talk sulle domande che ci stiamo facendo. Bolzanism ha senso che ci sia, che muti, che finisca, che ricominci? Quali iniziative hanno avuto più significato per noi, per chi abita in queste zone e per il pubblico che in questi anni ci ha seguito?
P: Inviteremo persone che hanno molto da dire a tutti, non necessariamente agli operatori culturali, per confrontarsi su affinità, divergenze, limiti e criticità di queste pratiche urbane.
V: Ci saranno numerose attività aperte al pubblico, tra cui un cinema all’aperto. I luoghi del festival saranno i cortili delle case popolari di Bolzano Ovest: il Lotto 1, l’edificio progettato da Zoeggeler in via Bari, Alcatraz, le Inglesine. Ci sarà un dj set con una silent disco e un aperitivo. Venerdì alle 17 inaugureremo, nello spazio “Fuorionda”, la mostra “Abitare è vita” di Ivo Corrà, realizzata in collaborazione con Ipes per i suoi 50 anni. Un’indagine fotografica sull’edilizia sociale provinciale tra architettura, implicazioni urbanistiche, rapporti con il paesaggio extra-urbano e l’universo dei suoi residenti.
C’è un filo rosso che collega gli appuntamenti?
P: Il “Demolition Party” dell’infopoint blu, realizzato quattro anni fa, in un workshop di tre giorni organizzato con la facoltà di design di UniBz. Costruito in una settimana per fare da biglietteria e bookshop, non aveva fondazioni né materiali isolanti o serramenti; non era fatto per durare. Era fragile, effimero, ma serviva per radicarci nel quartiere. Il tempo e le intemperie lo hanno reso inservibile.
V: La demolizione collettiva ci sembrava necessaria per sancire un cambio di paradigma. Sarà un momento aperto a tutti: un laboratorio per smontarlo e, con i pezzi di scarto, realizzare oggetti che i partecipanti potranno portare a casa, sul balcone, in cortile, perché l’infopoint non se ne vada totalmente. Colonizzeremo il quartiere con i suoi resti e rinascerà come panchina o fioriera, restituendo al quartiere un’esperienza vissuta insieme.
Bolzanism ha cambiato il modo di vedere Bolzano Ovest?
P: Ha mostrato che gli edifici non sono solo “scatole” di cemento o legno. Sono diventati organismi, le loro storie sono profondamente legate a quelle di chi li abita. Sono protagonisti, enitità che parlano, non sfondi delle vite delle persone. Ci sono aneddoti unici, come la “caccia alle chiavi” del Lotto 1: era il 1987, l’edificio era completato. Misero tutte le chiavi degli appartamenti in grandi ceste e ciascuno poteva scegliersi quello che gli piaceva: entrava e chiudeva la porta. È incredibile oggi, paragonato alle difficoltose assegnazioni degli alloggi. Oppure la storia dei Pifferi, con quel corpo-scale assurdo, a chiocciola: lo stratagemma consentiva di realizzare più piani e più case.
V: C’è poi l’aereo di via Milano, in un cortile che, forse, conosce solo chi ci abita. Il Lotto 1 è tra i più grandi di Bolzano, contiene quasi un paese: mettere i suoi inquilini in dialogo è difficile in questo momento storico, ma abbiamo trovato una profonda volontà di creare comunità. Abbiamo raccontato ai residenti la storia dell’edificio progettato da Carlo Aymonino e ultimato l’1 ottobre 1987: così gli inquilini hanno ideato la festa di compleanno del condominio. Un’iniziativa che ci ha spiazzati e commossi.
È questo che definite “bolzanismo”?
P: Il “bolzanismo” è una teoria retrospettiva, l’idea che il condominio sia un oggetto per “gestire” la città. Bolzano è fondata – è evidente osservandola dall’alto con le mappe digitali – su mega-blocchi di complessi residenziali. Le case operaie sono un’isola di tantissime abitazioni. A ridosso c’era l’altra mega-isola delle Semirurali. C’è il maxi-blocco di Aimonino, le Inglesine, viale Europa. Si è sviluppato un “arcipelago” di isole abitative con logiche molto diverse, un processo “trial and error” dell’edilizia abitativa del ’900. Abbiamo chiamato questo modo di progettare la città “bolzanismo” e ancora esiste; Casanova, i prati di Gries, i Piani, Aslago… segue tutto la stessa logica. Bolzano cresce attraverso grandi complessi di edilizia pubblica. Una fantasia abitativa.
Che futuro si apre per Bolzanism Museum?
P: L’idea è, ascoltando gli spunti di questi tre giorni, capire se e come farlo evolvere. La periferia è un oggetto dinamico: non ha senso raccontarla in modo statico. Il progetto deve cambiare.
V: Bolzanism nasce come spazio di sperimentazione, facciamo fatica a trovare un senso alla stabilità. Qualcosa ci verrà in mente. Magari si chiamerà in modo diverso, ma sarà un nuovo capitolo di questa bellissima storia.
Foto credits: (1) Lotto 1, Shanghai, ph Nicola Cagol; (2) Bolzanism urban dance, ph Asia De Lorenzi; (3) Lotto 1, Aymonino, ph Nicola Cagol; (4) Bolzanism Lotto 1; (5) ph Anna Cerrato; (6) ph Nicola Cagol; (7) Pifferi, Manhattan, ph Nicola Cagol
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