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September 7, 2024
L’arte dell’amicizia in un incontro: i talenti di Del Pero e Stagni dialogano all’Eck Museum
Silvia M. C. Senette
Spesso nell’arte convergono sensibilità, tecniche, linguaggi, significati e modi di esprimersi differenti, capaci però di fondersi con straordinaria armonia. Questo incontro simbiotico avverrà martedì 10 settembre, all’Eck Museum of Art di Brunico, tra due artisti bolzanini che, ancor prima, sono due grandi amici: il pittore Alessandro Del Pero, 45 anni, che oggi si divide tra la Val Pusteria e lo studio a Vienna, e il musicista Marco Stagni, 43, che, dopo aver studiato musica cubana a L’Avana e frequentato il conservatorio di Trento, ha riportato il suo baricentro a Bolzano. Nel contesto della personale pittorica di Alessandro “Ab umbra lumen”, le figure ibride e antropomorfe dell’uno e il jazz contemporaneo strumentale dell’altro dialogheranno in modo inaspettato, anche per gli stessi protagonisti, in un evento che prenderà forma sotto gli occhi (e le orecchie) dei visitatori. Due talenti, due forme espressive e due modalità completamente diverse di sintonizzarsi con l’altro si intrecceranno in un evento unico carico di energia,,il 10 settembre all’Eck Museum di Brunico.
Alessandro, ci presenti la tua mostra?
A: Il titolo dell’esposizione, “Ab umbra lumen”, tradotto dal latino significa “dall’ombra nasce la luce”, ha inaugurato a fine giugno e ora ospiterà un talk arricchito dalla performance di Marco: sarà una serata in divenire. Espongo 21 lavori che coprono un arco di quasi 12 anni, inclusi quelli realizzati a Vienna negli ultimi due. Il mio lavoro è da sempre incentrato sulla ricerca pittorica della luce: cerco di dipingerla e darle forma. Talvolta emergono dei soggetti, altre volte no, ma c’è sempre la rincorsa della luce. Anche nei lavori più datati. In questo senso, la mostra è una piccola retrospettiva, ma anche un’occasione per presentare opere nuove.
C’è stata un’evoluzione nel tuo stile?
A: Sì, anche se nella sostanza mi riconosco sempre la stessa impronta. Nel mio lavoro ho attraversato fasi molto profonde che hanno impresso dei cambiamenti. Ho vissuto in varie città, da Firenze a Barcellona e New York, e ognuna ha lasciato il segno nelle mie opere. Tuttavia la costante è sempre stata lo studio del corpo. Il mio obiettivo è trovare un modo originale di rappresentare la figura, una cifra stilistica che sia solo mia. Dal punto di vista tecnico, invece, ho esplorato nuove possibilità, sfidando i miei limiti, uscendo dalla mia zona di comfort e cercando nuove strade per dare senso al mio fare arte.
M: Conoscendo Alessandro da molto tempo, vedo chiaramente questa evoluzione. C’è un filo conduttore che attraversa i suoi lavori, la sua impronta è inconfondibile e una delle cose più importanti in tutte le arti è proprio la capacità di trasmettere una visione personale e riconoscibile, che si evolve nel tempo senza perdere la propria essenza. Nelle opere viennesi noto un cambiamento, più o meno marcato a seconda del quadro, ma sempre riconducibile a lui. E questo mi colpisce: molto spesso, ciò che ci affascina nell’arte è quello che rivediamo di noi stessi. L’opera tocca corde intime, risuonando di esperienze vissute ed è così anche per la musica. Alcune volte mi ritrovo a cercare Alessandro nelle pennellate, negli effetti, nelle scelte stilistiche, come se cercassi l’amico dietro l’artista.
A: Le parole di Marco mi toccano. Il mio obiettivo è proprio questo. Le reazioni all’arte sono sempre individuali e non controllabili da chi realizza un’opera, ma se riesco a suscitare un’emozione ho raggiunto il mio obiettivo. Vasari parlava della “maraviglia” che trova diverse forme espressive ed è una delle finalità dell’arte; io cerco di suscitare nel pubblico una reazione alla bellezza, in tutte le sue forme. Anche le reazioni negative, come la paura o il timore, possono essere forme di bellezza. L’arte non può limitarsi alla provocazione, deve andare oltre, toccare l’osservatore in modo profondo. E il anche processo creativo è simile: non è mai del tutto consapevole o lucido. Spesso mi lascio guidare dall’istinto e dagli errori, perché sono proprio le deviazioni impreviste ad aprire nuove possibilità.
Marco, hai anche tu questo approccio nella musica?
M: A grandi linee direi di sì. La composizione può essere simile a quadro: si cerca l’emotività di un “ora” che sarà catturato ed esposto. La composizione è fissa, immutabile. L’improvvisazione, invece, vive nel presente, in ciò che accade, nell’istante. Un secondo dopo quella melodia non c’è più: ce n’è un’altra, nuova. La musica in questo senso è molto simile all’arte visiva, ma ha una dimensione temporale che rende tutto più fluido.
Cosa accadrà il 10 settembre all’Eck Museum?
A: Dipende molto da Marco, la sua musica sarà la protagonista della serata. Il mio lavoro è già lì, esposto, io sarò in ascolto. Ci sarà un talk con Denis Isaia, curatore del Mart di Rovereto, e Veronica Santi, è suo il testo del catalogo, e decideremo sul momento come far interagire il momento del dialogo e quello della musica. Non c’è nulla di prestabilito, tutto può accadere. Sarà una sorpresa anche per noi.
M: Non sarò il protagonista della serata, mi sento un supporto, una presenza che affiancherà Alessandro. Anch’io, però, non so cosa aspettarmi. Ho visitato la mostra più volte, mi sono immerso nelle opere e ho abbozzato delle idee musicali, ma tutto avverrà dal vivo. Sarà una serata di improvvisazioni in cui cercherò di sintonizzarmi con i quadri. Potremmo muoverci tra le opere, oppure scegliere uno spazio e fermarci a fare musica lì. Non ho ancora sperimentato il suono nel museo, quindi sarà tutto da scoprire.
A: Non sono minimamente preoccupato del risultato. Ma conoscendo Marco, anche se non lo dice, un’idea precisa già ce l’ha.
M: Sì, ho un’idea di cosa potrei suonare, ma voglio lasciarmi influenzare dall’atmosfera del momento. Ci saranno sensazioni nuove che cercherò di tradurre in suono, ma non so ancora se affioreranno i Beatles o Wagner.
Alla base di questa collaborazione c’è una grande amicizia. Come si declina nelle vostre vite di artisti?
A: La nostra amicizia è nata spontaneamente, molti anni fa. Si fonda su rispetto e ammirazione reciproca. In generale ho grande stima per i musicisti, li considero gli unici artisti a cui è richiesta una vera abilità tecnica: devono padroneggiare lo strumento, non possono giustificare a parole ciò che non sanno esprimere in suoni. Marco, poi, è straordinario: l’anno scorso l’ho visto suonare a Vienna con Herbert Pixner & The Italo Connection ed ero così emozionato che avrei voluto urlare a tutti: “Quello è un mio amico!”.
M: Questo non me lo aveva mai raccontato. Sapevo che era lì, ma non immaginavo con tanto trasporto. Io sono rimasto colpito dai suoi lavori più recenti, ma credo di averlo a mio modo stupito anch’io: Alessandro era abituato a vedermi con basso o contrabbasso, penso sia rimasto senza parole per la mia svolta con il flauto.
A: …e con il piffero! Un giorno è venuto a trovarmi in atelier e ci siamo ritrovati in un castelletto vicino, a disturbare in modo molesto con il flauto delle medie un coro di tedeschi e austriaci. Una scena assurda, esilarante.
Un momento spartiacque del vostro rapporto?
A: Ci conosciamo da una vita, ma la nostra amicizia si è consolidata davvero quando, nel 2010, sono tornato dalla Spagna. Questa è la seconda volta che collaboriamo professionalmente, ma ci siamo sempre seguiti. Di solito ci incontriamo nel mio studio o alle mie mostre, ma è più facile che io segua Marco in tour: ammiro tantissimo la sua abilità musicale. Per me è come un personaggio di fantasia, lo vedo un po’ come Charlie Chaplin. Forse anche per la sua figura, che io studio per deformazione professionale.
M: Io, invece, penso ad Alessandro come a un esploratore. Entra nelle cose, le scava e le vive a fondo. È coraggioso e ho ammirato la sua scelta non convenzionale di virare dall’architettura alla pittura, per dipingere con una costanza e una dedizione rare.
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