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August 20, 2024
L’incredibile rapimento di Fanchi da parte di Jacopo Schiesaro
Matteo YOMER Jamunno
Mi venisse mai voglia un giorno di incontrare il Papa credo sarebbe più facile da organizzare di quanto non sia incontrare Fanchi. Non risponde più al telefono da mesi, intendo alle primitive telefonate. Il Papa invece, quando lo chiamo, risponde sempre e mi inonda di battute simpaticissime (un po’ spinte) con quel suo accento sudamericano lievemente pepato che fa tanto film dei Vanzina.
Fanchi entra in chat pochissimo. Legge i messaggi che gli mando e la maggior parte li ignora. Ogni tanto spunta una possibilità di incontro perché lo sto implorando da non so quanto di beccarci per parlare e chiedergli come sta e magari concretizzare anche uno dei mille progetti che abbiamo in sospeso ma niente. Tutte le volte, anche con soli dieci minuti di anticipo, Fanchi mi tira il fantomatico pacco. In genere però è Jacopo Schiesaro a dirmelo. Jacopo e Fanchi sarebbero la stessa persona, o almeno, lo erano una volta, prima che Fanchi mutasse in un essere a tre teste: una molto giovane dall’aspetto croccante al formaggio che prende il nome di Thomas Traversa, e l’altra più verso la mia età e dal sorriso bonario, dalle sembianze di Dj Husk.
Fanchi era lo pseudonimo di Jacopo quando saliva sul palco o quando si faceva fare foto dove appariva molto fico in una piscina adibita allo skate e non al nuoto.
Così ora Fanchi, divenuto band, risulta irraggiungibile e Jacopo ne fa le veci e chiede scusa al posto suo (loro?) e mi dice che sarà per un’altra volta.
Uno che non tira mai pacco invece è Papa Francesco. Lui proprio è così ossessivo che devo mettere il telefono in modalità aereo. Il Papa non smette mai di chiedere di uscire e di andare a fare baldoria ma io come glielo dico che sono stanco di dover sempre offrire (lui essendo francescano fa voto di povertà) non solo a sua santità ma a tutte le guardie svizzere che si porta appresso e che sono troppo appariscenti e non vogliono mai depositare le alabarde all’ingresso delle discoteche e ci tocca litigare con la security finché il Papa, con la sua voce paciosa, rintocca “Lei non sa chi sono io!” però tutti lo sanno, cioè, non è che si cambia d’abito per uscire, o beccano lui o riconoscono le guardie, è solo che il Papa in discoteca ammoscia un po’ l’ambiente, magari i primi minuti ci si diverte, scatta qualche selfie con i più interessati, ma poi è tutto un “La musica è troppo alta” “Quella cubista è troppo svestita” “Avrebbero bisogno di confessarsi un po’, ora vado dal dj e gli estorco ogni peccato finché non mi mette a GigiDag”. Il Papa è un grande fan di Gigidag e ancora non mi ha detto come mai e mi sa che lo sblocco su Whatsapp per farmelo dire.
Insomma queste serate sono più facili da realizzare di un semplice caffè con Fanchi. Tant’è che mi tocca ripiegare su Jacopo, che è bello uguale, stessi tatuaggi, stessa parlantina, alti uguali e vestiti peggio alla stessa maniera stracciona. Ma non è la stessa cosa. Fanchi scrive canzoni dolci e piccanti che mi fanno battere il cuoricino mentre Jacopo è uno che sa ascoltare, che ti pone domande, che si sbatte per farti sentire a tuo agio. Tutto il contrario di quello che sono io. Volessimo portare avanti questo gioco e rigirarlo sulla mia persona, YOMER è molesto, scemo, maleducato e troppo incline a fare battute a sfondo sessuale mentre Matteo è molesto, scemo, maleducato e ancora più incline a fare battute a sfondo sessuale. Cioè, da me, persona e personaggio oramai coincidono e devo dire che non è un bel vedere.
Finalmente riesco a farmi invitare da Jacopo per un caffè. La casa è sottosopra, ci sono segni di conflitto, alcuni piatti rotti sul pavimento, una porta chiusa con la chiave nella toppa esterna dalla quale proviene un forte odore di cibo avariato. Faccio finta di niente e mi siedo. Jacopo è tranquillo in volto ma le sue mani tremano. Noto una copia di Infinite Jest sul tavolino, il segnalibro ha solcato la metà delle pagine, un grande risultato mi permetto di dirgli. Ci mettiamo a parlare di David Foster Wallace e di quanto io mi sia sentito una nullità quando mi sono approcciato alla lettura del medesimo libro. Jacopo invece dice che, ogni tanto, quando è preso bene, ne legge dei bei pezzi ma poi lo molla lì finché non gli torna la voglia. Entrare nella testa di Wallace è un viaggio destabilizzante che premia i più coraggiosi e io sono un cacasotto quindi torno ai miei fumetti della Pimpa che è meglio.
Il caffè è amaro ma non posso chiedere lo zucchero, noto che la zuccheriera è finita sulla parete di fronte e giace in mille pezzi sul divano che risulta spolverato a velo manco fosse un pandoro natalizio. Tutto in questa stanza parla del grande assente: di Fanchi, così finalmente trovo il coraggio e glielo chiedo: “Che fine gli hai fatto fare al tuo alter ego musicale? A me piaceva, mi manca sentirlo cantare”. Jacopo mi spiega qualcosa che forse, a causa del mio bisogno costante di attenzioni, mi pare impossibile da concepire. Ovvero che si può prendere una pausa dal palcoscenico. Ha messo Fanchi da parte quando ha visto che non ci si riconosceva più, quando era diventato più grande di quello che era capace di sostenere. Una decisione brutale e dolorosa considerando il lavoro immenso che c’è stato nel trasformare un solista in una band. Ora capisco quella porta chiusa da fuori e l’odore di stantio. Là dentro ci sono tutte le canzoni inesplose, i testi succulenti e le metriche variopinte. Ogni tanto scalcia, un tonfo, mi volto e Jacopo cerca di coprire il suono fingendo un attacco di asma.
Negli ultimi mesi Jacopo ha dato vita a un nuovo podcast che si chiama BCDM (Bolzano Città Della Musica) che vi consiglio di ascoltare non solo perché tratta il tema scottante della probabile quanto impossibile candidatura di Bolzano a città della musica (più lo dico più suona assurdo). BCDM è ricco di ospiti e contenuti e polemiche e musicisti che vengono presentati e io che sto lontano finalmente scopro band giovani che dovrò venire a sentire suonare dal vivo. Si parla del perché, a Bolzano, abbiamo tutto eppure non c’è nulla. Del come sia possibile che ci manchi una scena underground vera. Ok, una esiste, direi quella dei Voxhole, ma è talmente underground che non mi invitano ai loro eventi (faccina triste). Uno spaccato di quello che accade nella nostra città con protagonisti sempre diversi ma tutti molto esasperati dal nulla delle possibilità che ha a disposizione chi vuole suonare o cantare.
Ecco forse cosa è accaduto. Come Batman è Bruce Wayne, Fanchi è Jacopo e ora non è tempo di Batman che prende e fa a mazzate con tutti, ora è tempo di Bruce Wayne che si mette a parlare e cerca di migliorare la società in cui vive dall’alto del suo privilegio.
Mi guardo attorno in casa di Jacopo e se c’è un luogo che rappresenta l’antitesi per eccellenza dell’abitazione di un miliardario ecco, ci sono finito e ci sto bevendo un caffè oramai freddo.
Il suo podcast è un dono a Bolzano e ci presenta in maniera semplice tutto quello che siamo troppo pigri per andare a scoprire. Ascoltatelo.
Ma questo podcast è solo una parte delle mille cose che Jacopo riesce a fare quando sta bene. Questa è anche una botta di verità che proviene dall’esile tatuato. Scrivere un blog che parla di droghe e sentimenti, salire su un palco e cantare, ascoltare gli avventori dello spazio giovani, registrare un podcast stando attenti a non far sentire il bus che passa sotto casa, creare questionari dove si parla di abusi e sdoganare temi forti e difficili da digerire come essere vittime di pedofilia, sono tutti lavori che richiedono un’energia immensa.
Tutto nasce nella testa di Jacopo che, quando sta bene, è radiante di bellezza. E credo sia così proprio per bilanciare gli altri periodi, quelli dove tutto si offusca e la depressione prende il sopravvento e non ci sono psicofarmaci che aiutano e riesci solo a fare il minimo necessario per essere funzionale e portare a casa uno stipendio mentre ogni progetto creativo crolla, o fa la muffa, o finisce chiuso in una stanza.
Jacopo non ha mai nascosto i suoi demoni e ora capisco come riesce a leggere David Foster Wallace. Sa cos’è il dolore. Sa portare pazienza e aspettare che l’oscurità passi. In questo momento abbiamo la fortuna di finire illuminati dalla sua sensibilità e desiderio di raccogliere tutto quello che c’è di bello nel nostro buco di paese. Preferisco di gran lunga un antieroe che guarda il cielo e vede il faro illuminare le nuvole con il suo stemma, consapevole che quello sia un richiamo all’azione e che, ammettendo i propri limiti, declina l’invito e torna nella sua caverna.
Io nella mia caverna ci ho passato non so quanti anni e io non soffro di depressione, sono solo un simpatizzante. Una volta, tanti anni fa, ero a una festa dove incontrai un ex compagno di classe delle elementari che passò parecchi minuti a studiare tutti i miei demenziali tatuaggi esposti. Si soffermò in particolare su quello dedicato a Jessica Fletcher e poi su quello che cita Enrico Pallazzo (un personaggio interpretato da Leslie Nielsen ne “La pallottola spuntata”). Scoppiò a ridere e ricordo che, complici le birre, si perse in elogi riguardo il mio senso dell’umorismo e mi disse “Fin da piccolo hai sempre fatto battute, sempre a far ridere, ma come fai?”. La mia risposta fu brutale e sbagliata. “Si chiama depressione!” dissi, pensando di essere esilarante.
Ancora ci penso e mi pento di quella battuta. Mi pento perché ci ho perso un amico quando avevo poco più di vent’anni e perché vedo cosa causa tra le persone che non la affrontano in maniera sensata e preferiscono sotterrarla in chili di polvere bianca e piogge torrenziali di alcolici. Poi guardo Jacopo. Sul suo volto ci sono tutti i segni di chi se l’è vista brutta e ora è qua a porgerti la mano. Non è un sopravvissuto perché sa che tutto può tornare, è una persona che ha imparato a godersi il cielo quando è sereno. A uscire dalle proprie ansie quel tanto che basta per fare una marea di cose che aiutano Bolzano e le tolgono quella patina di città da cartolina e mostrano i retroscena di un luogo tanto bello quanto fragile, tanto pulito quanto asettico, lucido e micidiale come la punta di una siringa.
Abbraccio Jacopo e le mie mani toccano le sue costole, le mie dita le suonano come uno xilofono. Lo ringrazio per aver trovato del tempo per me. Mi dice che gli dispiace e che si impegnerà in futuro ad esserci maggiormente. Gli dico che non serve, tanto leggo il suo blog, ascolto il suo podcast e presto lo rivedrò sul palco, non appena aprirà la porta e rilascerà Fanchi.
Eccovi qua un po’ di link:
la musica di Fanchi https://open.spotify.com/intl-it/artist/5T0h9w61Zz2ghANibQCcUG?si=umhckhmHT7WfGhn71lqRow&nd=1&dlsi=a49ee70d69bb4d40
Vi consiglio di partire da Blu, prodotto da Thomas Traversa dei Supermarket, copertina realizzata da Icaro Tuttle, reperibile anche in musicassetta che è proprio una chicca da collezionisti.
Il podcast BCDM https://open.spotify.com/show/4a3IBa9MOpSSaYEy77O2tu?si=f4e936f560b34d89&nd=1&dlsi=3923ae5d0ba74620 ora è in pausa estiva ma poi riprende, recuperate qua le puntate.
I suoi articoli per Salto https://salto.bz/it/users/jacopo-schiesaro per esplorare le tematiche sociali che affronta.
Poi stavo pure cercando il blog “Tra droghe e sentimenti” ma non so che fine gli ha fatto fare. Vorrei scrivergli per chiederglielo ma se apro il telefono il Papa vede che sono online e mi chiede di uscire e mi passa a prendere con la papamobile in una mezz’ora e io, sinceramente, non voglio andare ancora a Riccione al Cocoricò a redimere le cubiste e offrire un’indulgenza plenaria al dj in cambio di “L’amour toujours”.
Francesco mollami un po’ che ho una certa età.
Foto credit: Matteo Jamunno
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