“Pericolosamente vicini”: il nuovo documentario di Andreas Pichler

Il 5 aprile 2023, aggredito dall’orsa Jj4 nei boschi della Val di Sole, perde la vita il 26enne trentino Andrea Papi. A livello locale divampa la polemica tra ambientalisti, politici, residenti, forestali, agricoltori, media, avvocati e magistrati. Nell’ombra, a documentare l’avvicendarsi degli eventi, la cinepresa silenziosa del regista e produttore Andreas Pichler, Premio Grimme, che già da un anno studiava il programma “Life Ursus” di reintroduzione dei plantigradi in Trentino. Un progetto che, in 25 anni, ha visto decuplicare gli esemplari sul territorio. “Era solo una questione di tempo perché degenerasse la situazione? Chi è responsabile?” si è chiesto Pichler, 56 anni, nato e cresciuto a Bolzano.
Venerdi 23 agosto alle 20.30 al Cinema Modena di Trento e sabato 24 agosto alle 20 al Filmclub di Bolzano, debutta sul grande schermo “Pericolosamente vicini“. Dal 26 agosto il documentario, prodotto dalla Miramonte Film di Pichler in coproduzione con Beetz Brothers Film Production, Sky Germany, BR e SWR, verrà proiettato in tutta Italia, distribuito da Wanted. “Ho trascorso molti anni tra Bologna, Berlino e Bruxelles – racconta il regista -. Da oltre venti giro documentari: quasi tutte coproduzioni europee, spesso con Germania, Austria e Francia. Tra le più importanti ci sono “Teorema a Venezia”, un docufilm sul turismo di massa, e “The Milk System” sulla filiera del latte in Europa uscito anche su Netflix. Mi interessano temi sociali, rilevanti per capire il presente e tratteggiare il futuro, che cerco sempre di indagare attraverso le storie”.
Come definiresti “Pericolosamente vicini”?
Un film che approfondisce, attraverso singoli personaggi molto diversi tra loro, la complessità e la difficoltà della coesistenza tra orso e uomo in Trentino.
Da che punto di vista?
È un film corale con una forte trama narrativa che muove i passi dall’incidente costato la vita ad Andrea Papi. Il film prosegue raccontando la cattura dell’orsa Jj4 e ricostruendo come si fosse arrivati a quel punto. La componente noir-crime spinge la storia, ma attraverso le voci – animalisti, contadini, gli stessi genitori di Andrea Papi, ma anche i forestali che si occupano della gestione degli orsi in provincia – la pellicola approfondisce aspetti e complicazioni del progetto “Life Ursus”.
Quanto c’è di reale e quanto di fiction?
È tutto documentario. Solo alcune scene, come la ricerca di Andrea Papi, sono ricostruite. Avevo già seguito la forestale per quasi due anni, guadagnandomi l’accesso a situazioni difficilmente documentabili. Per questo il film contiene molte interviste ma è anche scenico, cattura l’atmosfera delle assemblee locali e le emozioni e le paure dei residenti in Val di Sole.
Che incubazione ha avuto il progetto?
Quasi quattro anni. Vivendo a Bolzano seguivo i conflitti tra orsi e popolazione trentina già prima della tragedia. La decisione di approfondire il tema è arrivata con M49, detto Papillon: un giovane orso che terrorizzava la Valle del Chiese e, rinchiuso e più volte evaso, divenne simbolo di libertà per gli animalisti, sollevando un acceso dibattito a livello nazionale. Mi interessava raccontare percezioni così diverse del territorio e documentare cosa vuol dire vivere con gli orsi.
Che ruolo ha avuto l’aggressione mortale ad Andrea Papi?
Il dramma ha cambiato radicalmente l’impostazione e la narrazione del film. I temi sono rimasti invariati, ma l’atmosfera è diventata più tesa. Ho mantenuto l’approccio documentaristico, seguendo gli sviluppi sul campo in tempo reale: assemblee, manifestazioni, sviluppi rilevanti.
Come è virato il progetto?
La sfida principale è stata seguire gli eventi senza interrompere le riprese, anche da solo. La vera drammaturgia si è costruita in fase di montaggio, in postproduzione, selezionando con cura il materiale per raccontare l’evoluzione della situazione.
Parlavi di un film corale. C’è anche la tua voce a orientare lo spettatore?
Come regista ho preso decisioni su montaggio e musica, ma mi sono volutamente tenuto in disparte per ascoltare e lasciare spazio alle molteplici sensibilità e opinioni in gioco. Tuttavia gli spettatori intuiranno da che parte propendo.
Il film è già stato presentato in Germania. Come ha reagito il pubblico tedesco?
La reazione mi ha rassicurato sul fatto che il film funziona, stimola un dibattito pacifico sia tra chi è a favore sia tra chi è contro il mantenimento degli orsi sul territorio. Ora sono curioso di vedere le reazioni in Italia, dove la situazione è indubbiamente più calda.
Qual era lo scopo iniziale?
Presentare e far ascoltare e comprendere le varie opinioni sul tema, sottolineando la complessità della questione e la necessità di superare gli ideologismi. Nessuno può dirsi completamente a favore o totalmente contro le soluzioni non semplici ma necessarie a una convivenza pacifica tra uomo e orso.
Qual è la tua personale posizione in proposito?
Credo che non debba essere un tabù poter abbattere un orso problematico per noi umani. Se non si trova un equilibrio tra la presenza degli orsi e l’accettazione da parte della popolazione locale, il progetto “Life Ursus” è votato al fallimento con conseguenze come il bracconaggio, con esemplari avvelenati o abbattuti da anonimi in maniera brutale.
Il sottotitolo del film è un interrogativo: a chi appartiene la natura? Hai trovato una risposta?
Non definitiva, ma emerge chiaramente che né l’uomo né l’orso possiedono il bosco in esclusiva. Io credo sia possibile una coesistenza, ma richiede decisioni condivise e compromessi perché le nostre Alpi non sono la wilderness canadese o russa. Una convivenza pacifica va gestita con estremo rigore, coinvolgendo tutte le parti – anche il mondo animalista, che ritiene sacro ogni esemplare – e con la possibilità di abbattere orsi ingestibili; cosa che succede dappertutto, in Finlandia, Svezia, Norvegia.
Alla fine di questi 94 minuti, cosa vorresti che restasse nello spettatore?
Vorrei che il film inducesse a riflettere, a chiedersi: che tipo di natura vogliamo? Come vogliamo convivere con animali del genere? Soprattutto nelle province di Trento e Bolzano, dove ognuno sembra avere già un’idea chiara sul tema. Al resto d’Italia il film vuole mostrare cosa significhi davvero vivere accanto a un bosco abitato da orsi.
Hai già nel cassetto il prossimo progetto?
Sto lavorando a un docufilm sulle orche che da anni attaccano le barche nello stretto di Gibilterra. Da quando ho girato “Pericolosamente vicini”, il conflitto tra società e natura, tra uomo e animale, non smette di affascinarmi.
Foto credits: frame dal documentario “Pericolosamente Vicini” di Andreas Pichler, ritratto Andreas Pichler