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August 2, 2024
“Il sogno di Luigi Serafini” in mostra al Mart di Rovereto
Francesca Fattinger
Come Fortunato Depero lui si costruisce il laboratorio, solo che il laboratorio di Serafini è anche la sua casa che diventa anche il suo universo, una sorta di opera totale che racconta tutto Serafini in un unico spazio.
Denis Isaia
Un’immagine entra ed esce dalla mia mente ripensando a Luigi Serafini e alla mostra a lui dedicata al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto (in esposizione fino al 20 ottobre 2024), ed è quella di un cervo: un cervo elegante e maestoso, con due corna che sono rami maestosi e nodosi che sembrano reggere tutto il cielo sopra di lui, un cervo che si muove con tale leggerezza che pare avere le ali ai piedi e negli occhi una luce così intensa e densa da catturarti e non lasciarti più andare, un suo sguardo sa rapirti e trascinarti in mondi luminosi quanto lui, in mondi radiosi in cui la fantasia si scioglie nella realtà. Ripenso alla mostra e al mio incontro ravvicinato con il mondo serafiniano e non so più se stavo sognando o ero davvero partita al galoppo con lui, con l’artista incarnato nel cervo alato, argenteo e luminosissimo, in quell’animale tanto amato dall’artista, perché racchiude in sé il mondo delle piante e quello degli animali e nel suo abbraccio li fa coesistere senza soluzione di continuità, sospesi e in volo, a intessere il mondo con la leggerezza del sogno.
“Il sogno di Luigi Serafini” da un’idea di Vittorio Sgarbi, a cura di Andrea Cortellessa, Denis Isaia e Pietro Nocita e visitabile fino al 20 ottobre 2024, è, come ricorda Sgarbi, una mostra non antologica, pur raccontando in un percorso surreale, colorato e saltellante tutto l’excursus creativo di Luigi Serafini, ma “ontologica”, perché ti permette di entrare a contatto con l’essenza più profonda dell’artista, di toccare il cuore caldo pulsante e palpitante che anima ogni sua opera, confusa e infusa di vita. Ho avuto la fortuna di visitare la mostra in compagnia di un mio amico di nemmeno un anno, davvero una fortuna, perché mi ha fatto entrare ancora più in relazione con l’opera d’arte totale di Serafini e quando il mio mini amico entusiasta indicava il cavallo-bozzolo e poi l’estintore di sala, e poi la donna-carota o i quadri coloratissimi attorno a lei e poi la cerniera della porta, ho capito che aveva ragione lui e che l’artista ne sarebbe stato felice. Tutto è meraviglia, tutto è parte di un mondo fantastico in continua evoluzione, anche quella che sembra la cornice del nostro noioso e normale vivere quotidiano, ma che se guardata bene nasconde in potenza tanti semi di esplosiva e surreale bellezza.
Luigi Serafini, nato a Roma nel 1949, è un artista, architetto, autore e designer italiano e, aggiungo io, è una creatura magica e demiurgica, un po’ cervo un po’ uomo, che ha dato vita a un miracolo (in realtà a molti, ma cominciamo parlando del primo), incarnato nelle pagine del suo “Codex Seraphinianus”, una vera e propria impresa universale pubblicata in due tomi da Franco Maria Ricci nel 1981 e presentata in una mostra a Palazzo Grassi l’anno successivo. Un’iper-libro “miniato” composto da oltre 300 pagine scritte in una lingua inesistente, che potremo chiamare, secondo suggerimento del curatore Denis Isaia, l’enigmatico “serafiniano o serafinese a seconda del gusto”, una lingua liberata nel suo gesto più curvilineo, fatta di riccioli e di danze del segno, e asemica, ossia senza nessuno specifico contenuto semantico, e per questo ancora più libera e leggera. A guardarla mi sembra tracciare la traiettoria di una farfalla che va e viene e va e viene gironzolando davanti e intorno ai nostri occhi. Una scrittura che è a corredo di illustrazioni che a mo’ di enciclopedia universale vanno a descrivere situazioni, piante e animali e molto altro di un mondo nato dalla mente dell’artista e che uscito da lì ora sembra vivere in autonomia, come il suo coccodrillo che nato dall’unione amorosa di due umani fusi insieme e trasformatosi in lui, prende e se ne va dal letto sfatto per vivere in autonomia.
Nell’esposizione, il cui allestimento è stato ideato da Serafini stesso e sembra un prolungamento del suo universo, così come accade nella sua casa, opera d’arte totale che ancora una volta fonde arte e vita in una mostra-wunderkammer, come racconta Isaia nella citazione in apertura, si possono ammirare 60 tavole originali confluite nella prima edizione del “Codex” a cui si aggiungono una quarantina di tavole meno conosciute e per questo ancora più preziose, realizzate successivamente e appartenenti all’artista stesso. È incredibile la meraviglia che suscita ogni tavola in tutte le persone che vi si trovano davanti, di ogni età, di ogni genere, di ogni tipo: tutti con gli occhi spalancati, per non perdersi nemmeno un piccolo dettaglio e a inseguirlo famelici con lo sguardo, e con la bocca aperta un po’ spalancata per la meraviglia e un po’ sorridente pronta al riso gustoso e spensierato.
La mostra illustra poi tutta la produzione serafiniana, che come forse avete già capito è davvero vasta ed eterogenea, iniziando con il suo “Codex” e con la sua produzione pittorica, colorata, pop, utopica e dissacrante, e continuando con le sculture ispirate ai temi di bioetica e ai classici letterari e poetici e poi ancora installazioni, come la meravigliosa “Donna carota”, o i “Disogni”, disegni di sogno dai titoli che sono loro stessi sogni sotto forma di lettere.
Ma la mostra non finisce qui perché alla fine del percorso si possono ammirare i disegni di architettura e prodotti di design che anticipano la sezione dedicata alla casa-studio dell’artista, in cui visitatrici e visitatori possono vedere alcune foto ed entrare virtualmente nella sua casa romana grazie a una video-mappatura in 3D realizzata dall’Università Iuav di Venezia. Da quasi quarant’anni spazio di vita e di lavoro, definita da lui stesso “piccola cosmogonia esportabile”, si configura come un unicum nel panorama italiano e internazionale. Nonostante questo nel corso del 2021 i proprietari consegnano lo sfratto all’artista con l’intenzione di convertire a un uso più profittevole l’intero palazzo: per scongiurare la distruzione della casa-atelier, data l’importanza storico-artistica e culturale del sito, si è aperta una contesa ancora in attesa di giudizio. È per questo che nel 2024 l’Università luav di Venezia ha avviato un progetto di ricerca sulla casa-atelier di Serafini, attraverso il rilievo scientifico dell’intero appartamento e degli oggetti (d’arredo e artistici) che lo compongono e decorano, un clone digitale per documentarlo fedelmente. Alla casa è anche dedicata, fino al 25 agosto, una mostra al MACRO – Museo di arte contemporanea di Roma, a cura di Luca Lo Pinto.
E se in apertura citavo l’immagine del cervo, un’altra non se ne va proprio dai miei occhi, ed è quella del rettangolo giallo con due immaginari pomoli-pulsanti neri che si trova in tutta la mostra, mi sembrano intarsi di porte immaginarie, da attraversare per entrare nel mondo magico serafiniano, o cassetti orizzontali per esseri oblunghi e anti-gravitazionali che entrano ed escono quatti quatti quando meno ce lo si aspetta e disordinano un po’ il nostro grigio mondo annodando arcobaleni, trasformando pistilli in palloncini e foglie in micro-macro accoglienti scenari di mondi in divenire.
Credits: (1-8) Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto
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