“Hortus – La natura della cura, la cura della natura” al Palazzo Assessorile di Cles

“Hortus – La natura della cura, la cura della natura” al Palazzo Assessorile di Cles

Se vivere è respirare, è perché il nostro rapporto con il mondo non è quello dell’essere-gettato o dell’essere-dentro-il-mondo, né quello del dominio di un soggetto su di un oggetto che gli sta di fronte: essere-nel-mondo significa fare l’esperienza di un’immersione trascendentale.
Emanuele Coccia

Chi mi conosce lo sa e, probabilmente anche solo leggendo il titolo della mostra che sto per raccontarvi, ha capito quanto sia affine ai miei pensieri, alle riflessioni che sto portando avanti proprio in questo preciso momento della mia vita. Due sono i termini chiave, i concetti sorgente da cui il percorso espositivo si dipana, si origina e si espande, due parole intrecciate tra loro e con me: “cura” e “natura”, l’una trattenuta nell’altra, come se il loro abbraccio non potesse che esistere anche a livello lessicale. “Hortus – La natura della cura, la cura della natura”, ospitata a Palazzo Assessorile, visitabile fino al 29 settembre presso il Palazzo Assessorile di Cles, e curata da Roberta Menapace, è un invito a sostare tra questi concetti, a introdursi in uno spazio altro, in una parentesi permeabile al fuori, in un “hortus” appunto, un luogo di riflessione, di pace e di immersione, per entrare in un contatto profondo con il mondo della natura e farlo attraverso il ponte e la lente multisfaccettata dell’arte, nella sua natura intergenerazionale e plurimediale. 

Ne ho parlato con la curatrice che con quella stessa cura auspicata dal titolo mi ha guidato tra le opere dei 13 artisti e artiste esposte in mostra, alcune provenienti dal Mart,  Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, altre concesse da gallerie private trentine e altre ancora dagli artisti e dalle artiste stesse. Un racconto, quello della mostra, che è nato da un dialogo molto stretto con l’amministrazione comunale, ma anche da un intreccio con le sue esperienze di vita e lavorative e con nuovi interlocutori e interlocutrici, gli artisti e le artiste selezionate, che hanno dato fiducia al progetto e hanno “scritto” insieme a lei la “trama” della mostra. 

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Come succede per ogni esposizione, così come per ogni creazione, che rispecchia e rivela aspetti di chi l’ha messa al mondo, anche in questo caso la mostra rivela l’attenzione di Roberta per il tema della cura, una cura in senso lato, un ascolto di qualità, un’attenzione diffusa tra esseri umani e piante e viceversa per un ecosistema in cui sia “tutto in tutto”, come auspica Emanuele Coccia, una lettura e un riferimento che mi sta tenendo compagnia negli ultimi mesi e che ho citato in apertura. Entrando nella mostra e percorrendo le sue sale sono stata invasa in ogni piccola parte di me dalla riflessione di Coccia sulla metafisica della mescolanza, sul respiro come esperienza trascendentale del nostro essere nel mondo; nelle sale della mostra, tra le sue pareti affrescate, nell’abbraccio visivo e sensoriale delle opere esposte ho respirato. Non si è trattato di un mero e inconscio respirare, ho respirato con la consapevolezza che è il mio respiro che mi fa abitare il mondo, che mi collega a tutte le cose, che mi fa capire che “tutto è in tutto”, che tutto è collegato. L’ho percepito in ogni sala, in ogni confronto “a tu per tu” con le opere esposte, a partire dalla prima che è anche il primo passo concettuale della ricerca e del processo curatoriale di creazione della mostra.

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Lo spunto iniziale infatti di collegamento tra esseri umani e piante, attraverso e attorno al tema della cura, e anche del percorso espositivo, prende le mosse da alcuni antichi erbari conservati nella Biblioteca Comunale di Trento, preziosi volumi illustrati che hanno permesso di tramandare per secoli antichi saperi e conoscenze su piante e fiori. Tra questi ce ne è uno in particolare, i “Commentarii” di Pietro Andrea Mattioli, botanico senese che ha vissuto per lungo tempo a Cles in qualità di archiatra del Principe Vescovo Bernardo Clesio, che ha dato il via a una serie di riflessioni che emergono sotto traccia in tutta la mostra e che vedono in un’auspicata inversione di direzione della cura, dalla cura che un tempo ci davano piante e fiori alla cura che noi dobbiamo ora a loro, il punto di partenza di un’indagine più ampia, che vuole guardare alla contemporaneità.

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Se nel video di Dacia Manto vediamo documentati i ritmi della natura boschiva in ogni sua minima e spesso impercettibile evoluzione, subito dopo le ombre proiettate dalle opere in ferro di Luciano Zanoni ci fanno rallentare per osservare i dettagli di un’arte lenta e paziente, fatta di cura e delicatezza, in cui l’organicità della natura è esaltata da quella del ferro battutto. E di nuovo un salto, perché dalla matericità di queste opere, atterriamo nella virtualità dei “quadri mediali” di Davide Maria Coltro, in cui l’artista non restituisce una semplice fotografia, ma un flusso di immagini in cui ogni paesaggio è rielaborato sulla base del colore medio, che diventa il filtro applicato allo scheletro dell’immagine, dando l’impressione di una natura cangiante e in continua evoluzione. Una natura che riscopriamo nella stessa forma cangiante in un altro medium, più tradizionale e classico, ma che crea la stessa sensazione di evoluzione in atto, mai ferma, come un abbraccio caldo in cui l’energia ci permea e ci attraversa: si tratta della pittura di Paolo Vallorz che ci trasporta nei boschi della Val di Sole, ce ne fa sentire i profumi, vedere le luci e colori, percepire le sensazioni, che ci fa ricollegare a piante e alberi come “a dei nostri cari amici”.

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Con Stefania Mazzola invece ci si addentra nella storia del vetro in Trentino attraverso e intorno al ruolo della felce, che viene omaggiata dall’artista con un lavoro in vetro di Murano, posto in dialogo con una serie di erbari vitrei di alcune piante spontanee. “Tobacco” invece è l’opera di Gabriele Grones, parte di una sua ricerca che si concentra sull’analisi iconografica di quattro piante sacre ai nativi americani del Nordest: salvia, erba dolce, cedro e tabacco. Ci si ferma davanti alle immagini riprodotte meticolosamente in scala dall’artista con la pittura ad olio e si resta a bocca aperta, è impossibile non sostare lunghi minuti davanti a loro e a rifugiarsi in ogni loro minimo dettaglio cullati dal simbolismo che queste piante trattengono.

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Dall’attenzione al minimo e al minuscolo si entra poi in una sala interattiva, in cui la nostra presenza crea e disfa lo scenario, mosso dai nostri spostamenti, dal nostro esserci, dal nostro abitare lo spazio: con l’installazione “Grove” infatti Laura Renna porta all’interno di Palazzo Assessorile una foresta in sospensione che sembra crescere senza sosta. Non poteva mancare in questa mostra Adolf Vallazza con le sue opere lignee portatrici di memoria, di storia e di storie e nemmeno Federico Seppi che nella sala a lui dedicata ricrea un tipico ambiente montano d’alta quota, in cui le vere protagoniste sono le pieghe e le crepe che percorrono i diversi materiali lavorati dall’artista con meticolosità e cura, facendoci ricordare la morfologia dei paesaggi trasformati dalla neve e dal ghiaccio nel loro modo effimero e precario. 

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Nelle ultime sale del percorso espositivo il mio respiro ancora una volta si allarga e si espande accarezzato dalla delicatezza degli studi grafico-pittorici di Francesca Zoboli, dedicati alla pianta dell’iris e ai suoi elementi costitutivi (fiori, foglie e radici), e dalla poesia dei lavori di Willy Verginer che come sempre accompagna chi li osserva in un mondo onirico, magico e surreale, in cui lancia però messaggi urgenti che indagano il rapporto intimo tra uomo e natura e il pericolo che incorriamo nel dimenticarcene.  

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Questa mostra non si conclude in se stessa, ma vuole, come sottolineato precedentemente nel richiamo esplicito nel titolo e nella missione della curatrice, essere permeabile al fuori, una membrana viva e in continua espansione, che divide solo per prendersi cura, per permettere una sosta e una riflessione spesso impossibile nel fluire incessante della vita, ma che poi si rivolge all’esterno per diffondere i semi sorti all’interno e farli fiorire all’esterno. Per questo collaterale all’esposizione in questi mesi c’è stato e ci sarà un programma di attività. Tra queste vi segnalo giovedì 1 agosto alle ore 18.00 la presentazione del catalogo  presso Palazzo Assessorilesabato 31 agosto alle ore 21.00, al Doss di Pez o in caso di maltempo a Palazzo Assessorile, “Il canto del testimone/The witness song”, un reading musicale a cura di Caterina Nebl e Massimiliano Santoni, che vuole celebrare la bellezza di queste creature, un insieme di testi e interventi sonori che indagano il rapporto tra uomo e natura, crisi e cura, suono e silenzio.

Credits: (1-8) Francesca Dusini Dell’Eva

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