Disegnare per riscoprire le origini: intervista a Silvia Baccanti, illustratrice ladina

18.07.2024
Disegnare per riscoprire le origini: intervista a Silvia Baccanti, illustratrice ladina

 

Italiana-tedesca, tedesca-italiana, italiana-tedesca… quando si parla di Cultura (con la C maiuscola) in provincia, il ritornello è sempre questo. Come una pallina da tennis che rimbalza da una parte all’altra del campo, della città, della valle, in attesa che la fazione più virtuosa faccia punto prima dell’altra. Come se davvero la cultura non potesse essere superiore alle barriere linguistiche e assolutamente bipartisan. “Che barba, che noia! Che noia, che barba” come direbbe la superlativa Sandra Mondaini al suo Raimondo Vianello. 
In questi casi, meglio guardare dall’altra parte dalle montagna, letteralmente. Incontriamo (virtualmente) Silvia Baccanti, aka @la_baccanti: classe 1995, ladina della Val Badia, Silvia è una illustratrice diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna e all’ISIA di Urbino. Da sempre appassionata in egual misura di montagna e di disegno, ha sperimentato sulla sua pelle che a volte, a star lontano da “casa”, si riesce a vedere meglio e in un’altra ottica, le tradizioni, la cultura, la storia e anche le lacune del proprio territorio. Parliamo di questo, dei suoi bellissimi progetti disegnati e di altro ancora nell’intervista che segue. 

“Often drawing, mostly in the moutains”. Silvia, così ti presenti al mondo sui social media. Ma andiamo con ordine: Chi è veramente Silvia Baccanti? Da dove viene e dove va? 
Sono una disegnatrice e illustratrice, vengo dalla Val Badia, Sudtirolo, e vado dove posso e riesco, inciampo in continuazione, preferibilmente a passeggio per i boschi. 

Come nasce il tuo interesse per il mondo del disegno?
Da che ho ricordo ho sempre disegnato, era il modo in cui passavo la maggior parte del mio tempo da bambina, anche a scuola poi venivo spesso ripresa perché disegnavo e sembravo sempre distratta… Ma a casa nessuno mi ha mai detto di smettere, anzi. Moltissimo lo devo a mia zia Meme, insegnante all’istituto d’arte, che ha alimentato questa mia inclinazione, non solo facendomi entrare in contatto fin da piccolissima con la storia dell’arte, ma proprio fornendomi i primi strumenti per disegnare e pasticciare: ricordo pomeriggi passati a disegnare ad occhi chiusi a ritmo di musica o progettare intere galassie con pianeti, piante e abitanti… E poi ai miei genitori, che non mi hanno mai detto di no all’acquisto di un fumetto.

 
About the authorClaudia GelatiMi chiamo Claudia e sono quella con la frangetta, gli occhiali tondi e le calze a pois. Qualcuno [...] More
Silvia tu sei nata e cresciuta in Val Badia, una delle vallate ladine dell’Alto Adige. I ladini rappresentano per la regione una minoranza, forse spesso un po’ troppo dimenticati nella complessa giungla antropologica locale. Io preferisco identificarvi come piccoli microcosmi che (r)esistono all’interno di un terra, l’Alto Adige, perennemente al confine: geografico, ma anche linguistico e culturale. Che cosa significa per te essere ladina?
La cosa che io ho sempre amato di crescere e vivere in una terra di confine è che ho sempre avuto la sensazione di poter assorbire da diverse culture. Potermi muovere agevolmente in due aree culturali apparentemente distanti, quella tedesca e quella italiana, separate da queste montagne che io preferisco pensare come una cerniera e non come un muro, e in più avere questo “in più” della cultura ladina, é un’immensa fortuna. Io poi sono ladina “per metà”, nel senso che non entrambi i miei genitori sono della Val Badia e ho effettivamente vissuto una condizione di “ne di qua ne di là”, che da bambina era più difficile da navigare. Ma ora penso che l’identità raramente sia qualcosa che rientra in una categoria unica ma é un qualcosa di multiplo e sfaccettato: ladina, italiana, sudtirolese, alpina, europea…io sono tutte queste comunità, culture, memorie. Non sono una grande fan della sovrapposizione del concetto di identità con quello di nazionalità…

Dalla Val Badia ti sei spostata per studio prima a Bologna poi a Urbino. A differenza di molti altoatesini che si spostano guardano al nord, all’estero – sopratutto in Austria e Germania– ha scelto di spostarti verso il centro dello stivale. Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a scegliere di lasciare la Val Badia? Quali difficoltà hai incontrato inizialmente? 
È stato molto semplice in realtà: cercavo un corso accademico di fumetto e illustrazione e la scelta è ricaduta sull’Accademia di Belle Arti di Bologna, perché era l’unica ad offrire quest’indirizzo ai tempi, e sono molto contenta della mia scelta, penso che sia stato un corso molto valido. Inoltre avevo già degli amici che studiavano lì e questo ha aiutato la scelta. Quando i miei interessi si sono spostati dal disegno verso la grafica editoriale ho cominciato a guardare al nord, ed ero stata ammessa per un Erasmus alla Hochschule für Grafik und Buchkunst di Leipzig ma purtroppo a causa della pandemia e tutto ciò che è conseguito non sono riuscita a partire. 

All’Università o nella vita quotidiana ti sei trovata a dover spiegare, in un certo senso, la tua terra, il tuo bi/trilinguismo, il tuo retroterra culturale? E poi, secondo la tua esperienza, pensi che fuori dalla regione ci sia conoscenza, consapevolezza relativamente alle comunità ladine? 
Sí, parecchio. Forse perché sono una persona a cui piace spiegare le cose (ride).  Però mi è capitato spesso di finire a spiegare la storia del Sudtirolo, che pochissimi conoscono. Per molti è solo un posto dove ci sono le piste da sci, i canederli e parlano tedesco e non vogliono parlare italiano, quindi una visione molto semplicistica e riduttiva di un territorio in realtà molto vario e complesso. Anche la conoscenza riguardo ai ladini è molto ridotta, a meno che qualcuno non conosca le aree delle Dolomiti per motivi turistici e comunque di solito la conoscenza della popolazione locale resta molto superficiale.

In tedesco c’è una parola, “Heimweh”, che significa letteralmente “mal di casa”. Ne hai sofferto anche tu? Bologna, Urbino, Val Badia… dove è la tua casa oggi?
Io ho ragionato tanto su questi concetti di Heimat e Heimweh nel mio lavoro ma poi mi sono sempre sentita a casa nei posti in cui ho vissuto. Ho provato nostalgia ad ogni trasloco come se fosse il primo. Mi affeziono in fretta e mi adatto al cambiamento altrettanto bene. Per assurdo, dopo tanti anni lontana, la Val Badia é stato il luogo in cui ho fatto più fatica a riadattarmi. Ma provavo una fortissima Heimweh per le montagne e volevo con tutta me stessa sentirmi di nuovo a casa lì.

Nei tuoi disegni c’è molta montagna e, se non sbaglio, entrambe le tue tesi di laurea riguardano la tua valle e la cultura ladina. Qual’è il tuo rapporto con la montagna e la valle e che cosa significano? In che mondo essa rappresenta una fonte di ispirazione per la tua produzione? 
Non so se parlerei di fonte di ispirazione, penso semplicemente che raccontare ciò che si conosce funzioni meglio che cercare di raccontare mondi o storie che non ti appartengono. Poi, ovviamente, ciò che si conosce varia nel tempo. Per quanto riguarda le mie tesi (“Albolina- Leggenda dalle Dolomiti” e il fumetto “Sëdes”) penso sicuramente che stando lontano da casa ci sia stato per me un rinnovato interesse a riflettere sui luoghi e la cultura da cui venivo. Ad esempio per quanto riguarda la mitologia ladina, conoscevo molte storie ma ne ho veramente approfondito la lettura da lontano. Penso che quando c’é un forte legame emotivo alcune cose, luoghi e dinamiche sia meglio osservarle da lontano. La necessità di far entrare queste tematiche nel mio lavoro probabilmente è nata dalla lontananza, dalla nostalgia forse, e in parte anche dal fatto che mi sono ritrovata così spesso a dover spiegare i luoghi da cui vengo, che sono sorte in me domande e riflessioni nuove. 
La montagna rientra in tutto questo perché é innegabilmente una presenza costante. Penso che la montagna, le cosiddette terre alte siano, sia a livello antropologico che naturalistico, così interessanti e ricche di storia e saperi ma anche fragili e troppo spesso mal amministrate. C’é quest’idea della montagna come un elemento naturale immobile e immutabile ma non è così, negli ultimi anni più che mai lo vediamo con continui crolli, frane… le Dolomiti sono purtroppo un perfetto triste esempio di montagna fragile. Vedere come i “miei” paesaggi stavano cambiando, in parte a causa del mutamento climatico ma in gran parte a causa dell’azione del uomo e del sovraffollamento turistico, ha scatenato in me un desiderio di riscoperta, di ritorno, di resistenza se vuoi, allo scempio che vediamo operare sulle montagne. Poi, io non so fare molto ma posso parlare della montagna nel mio lavoro. 

Scorrendo i post sulla tua pagina Instagram, si vede come il tuo stile si è evoluto negli anni: come lo descriveresti?
Non saprei, faccio sempre fatica a parlare di stile. Mi piace sperimentare e di conseguenza può succedere che il mio modo di disegnare cambi in base alle tecniche che utilizzo. Il fatto è che mi annoio ad usare sempre la stessa tecnica o lo stesso strumento.

Sempre dal tuo profilo Instagram, ho notato una piccola serie di illustrazioni in cui, partendo da una fotografia storica, crei altre immagini, altre suggestioni, quasi come a darle una nuova vita. Raccontaci.  
Quella serie è nata in un momento di stallo mentre lavoravo alla mia tesi di laurea magistrale, partire da delle foto mi aiutava a superare l’ansia da foglio bianco. Alla fine, parte di quelle foto sono finite nel lavoro di tesi e anche dopo ho continuato ad evolvere questa tecnica, mischiandola al collage. MI piace lavorare a strati su qualcosa che esiste già. La prima serie che ho fatto così, più che dare nuova vita penso che mirasse a isolare alcuni elementi dell’immagine e cancellarne altri, così come succede con la memoria: alcune cose le ricordi, altre le dimentichi. Quest’idea che i ricordi non sono ciò che ricordi ma ciò che non dimentichi. Per questo avevo scelto di chiamarle “Desmentianzes” ovvero dimenticanze. Utilizzo per la maggior parte foto di famiglia, solo raramente fotocopio immagini da libri o riviste.

Sëdes è un fumetto che hai scritto e disegnato per la tua tesi di laurea magistrale e parla di casa, appartenenza, identità. Raccontaci.
Sí, è stata la mia tesi di laurea magistrale all’ISIA di Urbino ed é un progetto che io considero ancora aperto, nel senso che vorrei tornare a lavorare su alcune parti e farne un “libro vero”. Volevo riuscire a raccontare alcuni momenti cruciali della storia del Sudtirolo attraverso la lente del rapporto tra i gruppi linguistici, poi la storia ha preso una direzione un po’ diversa, sviluppandosi attorno a delle riflessioni su alcuni concetti molto grandi, come appunto appartenenza, casa, Heimat, Heimweh… ça va sans dire, non ho scritto o disegnato nulla in grado di fornire risposte alle mie domande, ma forse non era quello l’obiettivo, e anzi ho solo generato altre domande (ride). Però ho avuto modo di raccontare alcuni avvenimenti fondamentali, primo tra tutti quello delle Opzioni, che appunto non sono conosciuti al di fuori di qui e l’accoglienza da parte dei professori é stata molto buona e c’é stato molto interesse nel veder raccontata una storia complicata.   

Le tue illustrazioni sono apparse sulla quotidiano Ladino La Usc di Ladins, ma anche su una rivista a diffusione nazionale come Internazionale. In quale contesto lavorativo ti immagini di più e dove ti piacerebbe vedere i tuoi disegni? 
Penso che mi piacerebbe continuare a lavorare sia a livello locale e in ladino, che avere commissioni nazionali o addirittura internazionali. E poi mi piacerebbe molto lavorare di nuovo a degli albi illustrati!

Quando non disegni, come ti piace impiegare il tuo tempo e quali sono le tue passioni e hobby? Sospetto che c’entri sempre la montagna… 
Quando non disegno mi piace fare tante cose: come hai già intuito passare molto tempo in montagna e stare all’aperto nella natura in generale, anche solo per sdraiarmi in un prato a chiacchierare con un’amica. Ma il mio più grande hobby è cucinare! Insieme ad una serie di cose che faccio meno spesso di quanto vorrei: leggere, guardare i film, andare alle mostre…

 Su Instagram, oltre che @la_baccanti, sei anche @spreewaldgurken, un profilo che potremmo definire come un racconto fotografico analogico della tua quotidianità.
Quel profilo è nato per noia, per mettere insieme tutte queste foto che scattavo senza uno scopo ma per il gusto di farlo, e senza veramente un intento di racconto. Inizialmente addirittura voleva essere una specie di esperimento, per vedere quanto poteva “crescere” un profilo su cui postavo una foto a caso ogni giorno senza scrivere nulla. È durata pochissimo, già faccio fatica a curare il mio profilo “di lavoro”, figuriamoci un secondo profilo e poi ha continuato ad essere semplicemente un contenitore della cui esistenza mi ricordo ogni tanto e soprattutto uso quel profilo per cercare di seguire fotografi o artisti in generale che mi piacciono, dato che l’altro mio feed ogni tanto si riempie anche di st*****te (maledetto algoritmo che non so usare). 
Sono una fotografa totalmente amatoriale ed autodidatta, ma mi é sempre piaciuto scattare foto.  Mi piace proprio l’atto in se: scegliere l’inquadratura, cercare la composizione, aspettare la luce giusta…poi delle foto non so mai che farmene. Ho due macchinette analogiche point and shoot (quindi automatiche, non manuali) che rendono il tutto molto facile e intuitivo. Dell’analogico mi piace molto la resa della luce su determinate pellicole e il frame stretto del 35mm che mi ricorda l’occhio umano. Capita poi che usi le mie foto per dei disegni.

Da qualche tempo, alcuni dei tuoi disegni sono diventati anche dei segni indelebili sul corpo di qualcuno. Raccontaci della tua passione per i tatuaggi e come nascano i tuoi “Riot Flowers”. 
Mi sembrava una cosa divertente da imparare a fare! Una skill in piú per cosí dire. Non ho mai usato una macchinetta ma tatuato solo handpoke (cioé ago e inchiostro) e mi piace perché è un operazione molto ripetitiva che richiede però grande concentrazione e quindi diventa quasi meditativo quando lo fai a mano così. I primi tatuaggi che ho fatto li ho fatti su me stessa perché eravamo nel pieno del primo lockdown 2020 e mi annoiavo, e si sa che la noia è un grande motore creativo. Ho ordinato inchiostro e aghi perché non avrei avuto i soldi per una macchinetta e ho cominciato così.

In quali progetti sei impegnata attualmente e dove possiamo vedere le tue illustrazioni nel prossimo futuro?
Nel prossimo futuro mi rimetterò a studiare. Quest’autunno comincerò un corso di formazione come atelierista. Sarà penso il mio progetto principale per l’anno prossimo e poi continuerò a disegnare, ho un po’ di progetti da far uscire dal cassetto! 

Prima di lasciarti tornare ai tuoi disegni e alla tua montagna, dicci un po’… 

 – Un libro che hai letto e ti fa pensare/sentire a CASA
Domanda difficilissima ma potrei dire “Saltatempo” di Stefano Benni ma anche “Io canto e la montagna balla” di Irene Solà, che è un libro così bello che vorrei averlo scritto io.  

– Due strumenti, attrezzi, aggeggi che non possono mancare nel tuoi zaino 
Banalissima: macchina fotografica e protezione solare

– Tre account instagram must-follow:   
@depthsofwikipedia, @filosofiaocoatta e @conformi_

 

Crediti
Illustrazioni: Silvia Baccanti; fotografia: Luca Visciani 

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