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February 20, 2024
Nel segno della pelle:
Intervista al designer Simone Rainer
Maria Quinz
Sotto la pelle, bruciano fuochi intensi. Charles de Lint
La pelle è lo strato più esterno del corpo. Superficie sensibile che vive e muta con l’incedere del tempo, ma anche per reazione al mondo esterno, entrandone in relazione. Reagisce alla luce, al calore, al contatto con altri corpi, con sostanze e oggetti. La pelle avvolge e incarna la persona; si caratterizza per una certa grana, più o meno liscia, più o meno uniforme, a seconda dei segni che reca con sé, dispiegandosi in una costellazione di punti e linee: in un paesaggio unico e irripetibile. La pelle protegge il corpo ma ne è anche il principale veicolo sensoriale in funzione del piacere, costituendone una sorta di “limen”: superficie/soglia tra godimento e dolore. Due dimensioni opposte del sentire e del conoscere(si), ma connesse tra loro, più di quanto si creda, e che possono irradiarsi da un’estremo all’altro del corpo fino al cervello, così come in profondità, verso l’inesplorato, tanto in senso proprio quanto in senso figurato. E poi c’è la pelle animale, che ha fornito il primo rudimentale abito al genere umano ai suoi albori e che è diventata via via materia prima sempre meglio lavorata e impiegata dalla moda attraverso i secoli, come da altri settori, per arrivare fino alla contemporaneità in cui non ha mai perso il suo fulgore.
E a proposito di pelle e molto altro ancora, ho avuto il piacere di parlare con Simone Rainer, designer e stilista originario di Vipiteno, consulente per le aziende nel settore della pelletteria, fondatore di un proprio brand di borse e accessori e del marchio SIRAINER, che realizza raffinati accessori e attrezzature in pelle per giochi erotici e sadomaso. Simone come ti sei avvicinato al mondo della moda e della pelletteria?
Da bambino, nei miei giochi ero particolarmente attratto dai colori e dalle forme e ho iniziato presto a maneggiare i tessuti. Mi piaceva realizzare piccole creazioni con l’aiuto di mia nonna, che era un’abile sarta. Ma la fascinazione per la moda è arrivata con la visione degli show di John Galliano degli anni ‘90 che mi hanno letteralmente folgorato. Ho scelto quindi di studiare moda a Milano dove ho frequentato una corso di formazione da stilista e modellista. La passione per la pelle e la categoria merceologica degli accessori – e che all’inizio non tenevo in gran conto, perché per me la moda era l’abito – è arrivata in seguito, con uno stage nell’ufficio prodotto pelletteria di Marc Jakobs a Milano, in quelli che erano gli anni d’oro di Marc. Quell’esperienza mi ha fatto scoprire la pelle e l’accessorio borsa, in particolare, e non sono più tornato indietro: ad oggi sono 17 anni che lavoro con questo materiale.
Cosa ti affascina di più nel materiale – pelle?
Il fatto che sia un materiale vivo, che abbia quindi la possibilità di invecchiare e di invecchiare bene. Esistono tessuti durevoli, ma la pelle rimane unica; è per certi aspetti affine al legno, altro materiale straordinario, che invecchia bene se curato e nutrito, così come la nostra pelle. I capi in pelle anche se datati, se tenuti con cura e idratati regolarmente, rimangono sempre belli negli anni; anche se non tornano esattamente come nuovi, perché alcuni segni del tempo e dell’usura permangono, acquisiscono tuttavia nuovi pregi, in termini di stile, fascino e texture.
Hai quindi lavorato per importanti brand internazionali, principalmente in Italia, concentrandoti sugli accessori in pelle…
In Italia c’è una tradizione d’eccellenza nell’ambito della pelletteria e della lavorazione artigianale del cuoio ed è anche uno dei motivi perché Marc Jacobs, così come tanti altri brand di primo piano sulla scena della moda internazionale hanno scelto di collocare il loro ufficio accessori e pelletteria in Italia. Inizialmente sì, ho lavorato con diversi brand principalmente sulle borse – anche se ho avuto l’occasione di mettermi alla prova anche con altre tipologie di accessori come le calzature. Poi per più di dieci anni ho lavorato in uno studio di consulenza per aziende, legata alla pelle e all’accessorio, attività che proseguo ancora, ma a cui ho sempre affiancato lavori più creativi e personali, come la mia collezione. Come è nata la collezione Simone Rainer?
È iniziata un po’ per scherzo nel 2010. A seguito di una serie di residenze sull’isola di Stromboli con altri creativi invitati da Nicoletta Fiorucci, collezionista d’arte, che ci ha proposto di realizzare un libro collettivo come restituzione dei progetti realizzati in residenza. Ognuno, nel suo campo, vi ha contribuito e io ho realizzato una borsa, ispirata a Stromboli. Un luogo che trovo speciale, come tante altre isole, reso ancora più magico dalla presenza del vulcano, dove si sente il fuoco e l’energia che ribolle sotto terra… La borsa è piaciuta molto, così ho messo in pista la mia collezione, costruendo un pensiero attorno a quel primo oggetto triangolare, che avevo creato e che richiama espressamente l’isola di Stromboli, che se la si osserva da una certa distanza, appare alla vista come un triangolo nero sul mare.
La forma del triangolo ritorna anche nel logo del tuo brand…
Esattamente. Il triangolo è per me una forma famigliare anche per altri motivi: triangolari sono le montagne della mia infanzia in Alto Adige, quelle che disegnavo da bambino. E poi c’è la fascinazione per i numeri e il rigore delle forme geometriche, legata alla mia formazione scientifica, come alla mia indole, per certi aspetti razionale e metodica. Il logo presenta più forme geometriche, una dentro l’altra, con il triangolo all’interno. Da questo logo si ricava la costante numerica della sezione aurea e con tale sistema logico ho costruito tutti i volumi e le forme che sono andati poi a comporre le collezioni, ma anche per esempio i nomi delle borse. A partire dal periodo del Covid, che per me, come per molti altri, ha rappresentato un momento di cesura, ho messo la collezione un po’ a riposo, anche se rimane nei miei pensieri, aperta a successivi sviluppi. Nasce quindi il nuovo progetto SIRAINER…
SIRAINER è un progetto mio, nato in collaborazione con la mia amica Elena Paolini, anche lei professionista nel settore della pelle. Diciamo che SIRAINER prende tutte le nostre expertise nel campo della pelletteria e le sposta dagli accessori moda ad oggetti e capi dalle funzionalità più erotiche e sadomaso. L’idea l’abbiamo sviluppata nei periodi di isolamento dettati dalla pandemia, in cui io e Elena, a distanza, ci siamo ritrovati a riflettere sui nostri mondi che si erano fermati. Un’occasione che ci ha fatto un po’ aprire i cassetti della vita… Da parte mia c’era poi un interesse più mirato nel volere trovare certi accessori e attrezzature, di cui c’era un vuoto sul mercato o prodotti in pelle poco soddisfacenti a livello qualitativo. Nella mia esperienza questo immaginario era già presente e non poche persone, a posteriori, mi hanno detto che era già visibile nelle borse delle prime collezioni, dove per esempio usavo già alcuni elementi come il metallo e la lampo con gli anelli, in abbinamento al nero della pelle. Adesso sono tre anni che è partito il progetto. Abbiamo lavorato tra una chiusura e l’altra, collaborando con realtà artigianali italiane: ci tenevamo a realizzare dei prodotti di questa tipologia con la qualità del made in Italy, superiore all’offerta esistente sul mercato, coperta spesso da brand nordeuropei o degli Stati Uniti – territori in cui la lavorazione della pelle si è sviluppata magari anche presto, ma che non si è sofisticata così tanto come da noi. E poi se andiamo a parlare a un pubblico che è feticista della pelle, è giusto farlo nella terra dove la pelle si fa e si lavora bene.
Da dove viene il nome del marchio?
Come è intuibile deriva dalla fusione tra il mio nome e il mio cognome. SIRAINER era il nome Skype che usavo in tempo di Covid per comunicare con gli amici. Io e Elena abbiamo fatto grandi brainstorming, ma alla fine ci siamo accorti che il nome che cercavamo era già lì davanti a noi: ci ha convinto perché ha un flair internazionale e presenta le iniziali “Sir” che ricordano la dimensione di schiavo-padrone. Infatti abbiamo scelto come claim del brand la frase: “Don’t call me Sir”, per rimescolare un po’ le carte sul tavolo. Cosa porta di nuovo SIRAINER in questo settore, oltre alla qualità superiore della pelle?
Sicuramente è un settore che ha bisogno di rileggersi e reinterpretarsi, senza inventare nulla, perché le attrezzature e gli immaginari rimangono gli stessi. Ritengo però che ci sia una forte necessità di elevarsi a un livello successivo non solo qualitativamente, per parlare a un pubblico diverso, magari più giovane e più curioso. SIRAINER introduce un immaginario diverso, a nostro avviso: molto pop e giocoso, differente da quello più usuale e noto, che è tendenzialmente buio, gotico. Noi siamo più divertenti, più vivaci, più colorati e inclusivi, assolutamente non cupi o da “sotto scala”. Con un mood che rispecchia un po’ quegli umori che sono venuti fuori post pandemia, quando ci siamo tutti riscoperti con un corpo e nuove voglie da soddisfare.
Simone, quali sono i vostri principali clienti?
Vendiamo principalmente online, in Italia e all’estero: negli Stati Uniti, in Belgio e Olanda. Paesi dove il made in Italy è molto apprezzato in tutti gli ambiti. Abbiamo punti vendita fisici in negozi e club a Los Angeles, Bruxelles, Roma, Milano. Andiamo quindi a parlare direttamente a persone che praticano, quindi il nostro prodotto per quanto bello e sofisticato da un punto di vista estetico, in realtà è molto performativo e tante delle scelte che facciamo di pelletteria sono mirate alla funzionalità di attrezzatura e capi. Abbiamo reso quindi alcuni prodotti più confortevoli, con delle rifiniture che possono fare meno male su giochi a lungo a termine, con rimbocchi, imbottiture e cuciture di un certo tipo. O semplicemente siamo andati a cambiare altezze e lunghezze dei collari o di altri oggetti. Realizziamo l’intimo con nappe invece che vitelli, che risultano più morbide e sexy, con un effetto guanto o doppia pelle. Su altri prodotti come le corde, abbiamo introdotto i rivestimenti in pelle come novità – rispetto agli ortodossi dello shibari che usano altre fibre. Piacciono molto a un pubblico femminile perché fanno meno male e segnano diversamente il corpo. C’è chi le usa anche per insegnare, perché offrono una visibilità diversa nella pratica del nodo e della creazione di forme, per cui, ecco, posso dire che abbiamo acceso nuove fruizioni. E poi abbiamo una serie di altri prodotti, più consolidati nel loro genere, come le cravatte, per esempio, ma migliorati a livello estetico-qualitativo, che si rifanno al pubblico dei leather men.
Chi sono esattamente i leather men?
Sono persone che vivono il mondo della pelle come feticisti, indossandola quotidianamente e seguendo spesso anche direttive rigide nella gestione della loro vita. Penso agli immaginari rivelati dal fotografo Robert Mapplethorpe e che, dagli anni ‘60 -’70 in avanti, negli Stati Uniti e poi nel Nord Europa, in particolare, hanno interessato un pubblico principalmente omosessuale, che si è ritrovato in associazioni e club, nati per condivisione e autodifesa verso una società discriminante nei confronti degli omosessuali. Oggi il leather man a livello sociale trova spazio più o meno come cinquant’anni fa, mentre invece è più la persona “queer” che sta emergendo per lanciare un messaggio di inclusività: motivo per cui noi vestiamo sì i ledermen, ma abbiamo anche una componente più divertente, per andare ad aggiornare un po’ questa figura e sparigliare i canoni in gioco. Pensando al futuro, cosa vedi per SIRAINER?
Io ed Elena stiamo lavorando per consolidare il progetto, con il desiderio di continuare a crescere e sperimentare nuovi fronti. Ci piace l’idea di avere collaborazioni sia a livello di prodotto che nell’ambito di eventi e performace. Abbiamo già sviluppato delle collaborazioni, per esempio, con un vetraio di Venezia e un artista austriaco con cui abbiamo realizzato una performance molto potente a Milano, due anni fa. Ci stiamo accorgendo che riusciamo ad essere anche dei validi accompagnatori per persone che si affacciano a questo mondo da neofiti, in virtù del nostro approccio più pop, vivace e accogliente. Stiamo sviluppando poi una serie di contenuti dedicati all’informazione, tramite un parterre di professionisti ed esperti di settore. Una componente che ci sembra importante sviluppare nell’attuale momento storico, prendendo il nostro prodotto un po’ come scusa per stimolare il dialogo, le fantasie e soprattutto parlare di accettazione in generale.
Credits: (1,3,4) Rohn Majier; (2) Francesco Petroni; (5) Guido Baroncelli; (6) Gianluca Panareo.
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