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February 1, 2024

Gli sguardi di Tina Modotti in mostra a Bolzano

Francesca Fattinger

La fotografia, proprio perché può essere prodotta solo nel presente e perché si basa su ciò che esiste oggettivamente davanti alla macchina fotografica, rappresenta il medium più soddisfacente per registrare con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti ed è da questo che deriva il suo valore di documento. Se a ciò si aggiungono sensibilità e intelligenza e, soprattutto, un chiaro orientamento sul ruolo che dovrebbe avere nel campo dello sviluppo storico, credo che il risultato sia qualcosa che merita un posto nella produzione sociale, a cui tutti noi dovremmo contribuire.
Tina Modotti

Così si conclude quello che viene considerato il suo manifesto sulla fotografia, pubblicato sul “Mexican Folkways” nel 1929, la fotografia per lei doveva avere un ruolo altamente sociale: è Tina Modotti a scrivere, artista impegnata e progressista, donna emancipata, cosmopolita e rivoluzionaria. Ed è sempre lei, con i suoi molteplici sguardi, intrecciati tra loro, a invitarci con estrema delicatezza ed eleganza e al contempo con forza e fermezza ad affacciarci a un decennio cruciale della storia del Messico (gli anni Venti) e al suo popolo, alla sua bellezza e a tutte le contraddizioni da cui è circondato.
Quanti sguardi possiamo avere, quanti sguardi possiamo indossare, abitare, produrre, quanti sguardi diversi possono posarsi su di noi e sul mondo attorno a noi? Ogni volta che penso allo sguardo, penso che trattenga in sé un potere immenso, trasformativo, rigenerativo, anche pericoloso, se usato con diffidenza o violenza, è uno strumento che può cambiare le cose sia in meglio che in peggio. Gli sguardi di Tina negli anni si trasformano e diventano sempre più potenti e di denuncia. Sono loro i protagonisti della mostra, aperta fino al 17 febbraio e curata da Nicolò Faccenda e da Margherita Cestari, che la vede protagonista al Centro Trevi di Bolzano, in occasione della terza edizione di “Quo Vadis?”, il Festival delle culture e delle lingue, quest’anno dedicata al Messico.  

Lo sguardo di Tina_inaugurazione_Davide Stani (6)

Quattro sguardi, più uno, che ci portano a scoprire la sua storia e parallelamente quella del Messico di quegli anni, passati alla storia come “Rinascimento messicano”. Il primo sguardo che si incontra entrando in mostra è uno sguardo non suo, ma di cui lei è oggetto: la vediamo nella bellezza e nella sensualità esotica che la rese celebre, e che la fece entrare nel mondo del teatro e poi del cinema muto a Hollywood con il ruolo di giovane messicana. È ritratta con gli occhi chiusi, le mani appoggiate alle gote: provate a immaginarvi in questa posa o assumetela effettivamente, cosa succede se la fate davanti a qualcuno che vi guarda o ancora di più che vi fotografa? Siete totalmente nelle sue mani o meglio nei suoi occhi, siete il suo oggetto di sguardo, è lui o lei che decide come guardarvi e come rappresentarvi. Ed ecco che la prima sezione in mostra è intitolata proprio così ed è la fase in cui Tina Modotti non si è ancora appropriata della tecnica del mezzo fotografico ma è “oggetto di sguardo”: compare qui una delle due fotografie non scattate da lei tra la sessantina di opere esposte in mostra. In questo caso è Edward Weston, fotografo americano modernista, che la fotografa, amante allora e confidente per tutta la vita. Molte delle lettere che accompagnano visitatrici e visitatori nel percorso in mostra e che ci riportano la voce di Tina provengono dalla loro fitta corrispondenza. È con lui che nel 1923 arriva in Messico ed è con lui che, oltre a fargli da modella e da assistente e a imparare piano piano la tecnica fotografica dello scatto, della composizione e della camera oscura, apre uno studio fotografico. Siamo al grado zero del suo approccio alla fotografia che la porta in pochissimo tempo ad affacciarsi effettivamente a questo mondo in modo autonomo e indipendente, non accontentandosi di impadronirsi di uno sguardo finalmente indipendente, ma volendolo mettere al servizio dell’utopia socialista di un riscatto collettivo.  

Lo sguardo di Tina_exhibition view_Davide Stani (1)

Un’attenzione, sicuramene nata dal padre che fin da piccola le trasmette immediatamente una passione per la politica in una città conservatrice come Udine, animata però dagli impulsi socialisti della classe lavoratrice, ma che è nel clima del Messico di quegli anni in effervescente fermento artistico, culturale e politico che prende forma. Il primo periodo che trascorre in Messico infatti, dal 23 al 29, sono anni non solo di fioritura, ma anni in cui gli stessi artisti prefigurano possibili sviluppi di istanze rivoluzionarie in termini di utopia socialista: si pensi all’opera dei muralisti messicani (a cui è dedicata parallelamente, sempre all’interno di “Quo vadis?”, un’altra mostra a Laives: “Muralismo messicano. Un dialogo contemporaneo”, anche questa visitabile fino al 17 febbraio).  

Lo sguardo di Tina_exhibition view_Davide Stani (4)

È proprio in Messico che Tina Modotti diventa fotografa, artista e rivoluzionaria. Ma per arrivare a questo passo è necessario sostare in un secondo importante sguardo: lo “sguardo formale”, uno sguardo influenzato dal rigore formalistico della fotografia di Weston che mirava a una resa essenziale e diretta della realtà. Sono riconducibili a questo periodo e a questo sguardo le prime prove fotografiche di Tina come le nature morte vegetali (il ciclo di fiori) e oggettuali o gli studi di architettura, che nel loro interesse puramente formale, nella precisione della visione e della luce e nella costruzione dell’inquadratura la vedono immersa nello studio del mezzo che di lì a poco userà per ritrarre oggetti e scene di un Messico in via di modernizzazione. Questa è solo la premessa di quello che i curatori definiscono il suo “sguardo sociopolitico”, maturato a seguito di una progressiva politicizzazione che passa attraverso un attivismo che culmina nell’adesione al Partito Comunista Messicano nel 1927 e in una militanza sempre più pronunciata, che la porta a spostare il suo focus dal “bello formale” al “bello sociale”. Arriviamo quindi alle parole scritte in apertura e a una Tina indipendente e autonoma che ha maturato una concezione della fotografia dal “valore documentario” che “possa occupare un posto nella rivoluzione sociale”.  

Lo sguardo di Tina_inaugurazione_Davide Stani (2)

Questo sguardo che si carica di responsabilità politica e sociale si intreccia al quarto sguardo, definito qui “femminista”, perché, sebbene sul piano teorico Tina non sia stata una femminista militante, è indubbio che nelle sue fotografie abbia messo al centro una figura femminile svincolata dagli stereotipi diffusi: una donna che è entità sociale e politica, che è madre, lavoratrice e rivoluzionaria. Lo si può riscontrare nella serie dedicata alle donne di Tehuantepec, dove Tina si dirige nel 1929, per fuggire da una Città del Messico piena di tensioni, e rifugiarsi così in una comunità in cui il solidarismo comunitario al femminile riflette il suo credo di donna, artista e attivista.

Lo sguardo di Tina_inaugurazione_Davide Stani (1)

Questi quattro sguardi si intrecciano in mostra in modo dialettico dando vita in modo dinamico e trasparente a continui rimandi e assonanze, mostrando come l’uno non escluda l’altro ma anzi lo potenzi in un’evoluzione che trattiene in sé gli insegnamenti di ogni fase, di ogni incontro. Gli sguardi di Tina si incontrano infine in un’ultima parete in cui assistiamo al suo quinto sguardo, quello di curatrice di sé stessa, che seleziona con attenzione cosa mostrare e come. Nel 1929 prima di lasciare il Messico decide di esporre le sue fotografie in quella che sarà l’unica sua mostra personale mentre è in vita. La parete di fondo, che funge da fondale e da conduttore degli altri sguardi, riproduce fedelmente, secondo la fotografia scattata a Tina che è esposta lì accanto, una delle pareti della mostra inaugurata il 3 dicembre 1929 presso l’Università nazionale autonoma di Città del Messico. Siqueiros, nel discorso pronunciato all’inaugurazione, ne parlerà come “la prima mostra fotografica rivoluzionaria del Messico”. In questa parete esercizi più formali e sperimentazioni iniziali si mescolano alle opere più impegnate dell’ultimo periodo: una donna che sventola una bandiera spicca lì in mezzo e non può non magnetizzare il nostro sguardo. Basta voltarsi e la parete si specchia in una delle fotografie più intense di Tina: due mani da cui pendono due fili a cui non è più attaccato alcun burattino, l’ennesimo attacco di Tina a un potere calato dall’alto.

Credits: (1-6) Davide Stani

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