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November 3, 2023
La ricerca artistica di Hannes Egger:
Tra sperimentazione e condivisione
Maria Quinz
La creatività non è limitata alle persone che praticano una delle forme tradizionali d’arte, e anche nel caso degli artisti la creatività non è ristretta all’esercizio della loro arte.
Joseph Beuys
Esistono forme d’arte che si inseriscono per loro natura in un più ampio processo di ri-definizione dei confini e delle potenzialità dell’atto artistico. Opere dove il manifestarsi dell’individualità del loro artefice passa volutamente in secondo piano rispetto alla esperienza dei fruitori, che assurgono al ruolo di fulcro centrale. In tali sperimentazioni, l’opera, intesa in termini tradizionali, perde la definizione netta dei propri confini, a volte dilatandosi, a volte ritirandosi, arrivando in ogni caso a con-fondersi con il reale.
A questa traiettoria artistica mi sembra di poter accostare anche l’opera dell’artista altoatesino Hannes Egger (classe 1981), che da una quindicina d’anni a questa parte, ha realizzato installazioni, esperienze performative e progetti artistici in molteplici contesti espositivi importanti, in Italia e in Europa e naturalmente in Alto Adige, così come anche in spazi non votati all’arte, urbani e non, ma sempre a diretto contatto con le persone e il loro potenziale “artistico”. I suoi progetti – mi dice Hannes – non sono da intendersi in senso tradizionale e quindi come opere statiche: ma come piattaforme aperte e mutevoli, soggette all’imprevedibilità di molteplici fattori, a partire dalle caratteristiche percettive e dei vissuti di chi vi partecipa.
Una pratica artistica di sconfinamento tra arte e vita – aggiungerei – di particolare rilievo e impatto sull’esistente, dal momento in cui permette di rimarcare l’importanza, per ogni singolo, di rimanere in contatto con la propria dimensione sensoriale, di arricchire il proprio pensiero e le proprie conoscenze e sviluppare un più ampio tessuto di relazioni, che da tutto ciò potrebbe generarsi. Ma lascio la parola a Hannes – che ho avuto il piacere di intervistare – e che meglio ci può raccontare i suoi progetti e la sua personale visione. Hannes, hai alle spalle studi di filosofia (a Vienna e Roma), quale vissuto ti ha portato a dedicarti poi alla sperimentazione artistica?
Gli studi filosofici mi hanno appassionato molto ma ho trovato il mondo accademico della filosofia poco creativo. Ho scelto la ricerca artistica perché ho sentito forte il bisogno di una mia forma di espressione e riflessione più immediata, che ho trovato inizialmente nel disegno. I disegni dei primi tempi erano una sorta di linguaggio dei segni, che ho vissuto fin da subito come una pratica molto vicina al pensiero e alla parola, nel senso del “logos”. Ancora oggi i miei disegni manifestano quest’essenzialità dell’espressione.
Molti tuoi progetti sono opere “aperte” in cui il fruitore è chiamato a interagire, tanto da diventarne parte fondante e attivatore dell’evento stesso. Qual’è, dal tuo punto di vista di “creatore”, l’aspetto più interessante di tale pratica?
Realizzando i primi progetti, ho capito via via che non mi bastava esplorare il mio universo interiore, ma volevo entrare in contatto con il mondo, che per me è costituito dalla gente. Così ho incominciato a sviluppare progetti partecipativi, che poi sono diventati anche piattaforme aperte. Oggi e da un po’ di anni a questa parte, creo infatti installazioni e performance in cui le persone si sentano parte integrante dell’opera, stimolati quindi ad esprimersi liberamente: ognuno a suo modo, con il proprio corpo e la propria mente, con la possibilità di interagire sia dal punto di vista estetico, che concettuale. Posso dire quindi che la creazione artistica a me più congeniale è un processo di ricerca basato sul confronto, capace di generare pensieri in divenire, soggetti al cambiamento. Io ricerco la fluidità dell’arte; la staticità e il prodotto non mi attirano: non credo in un mondo statico pieno di oggetti. Hai portato i tuoi lavori in molteplici realtà espositive, spazi urbani e non, in Italia e in Europa, sviluppando altrettante tematiche. Mi è parso di cogliere tuttavia alcuni file rouge come il tema della memoria (storica e personale), la percezione del sé in relazione all’opera d’arte; il confronto tra individuo e collettività. Quanto è vero questo per te?
Il corpus dei miei lavori è indubbiamente variegato, ma – come dici tu – ci sono tematiche che ritornano, non in senso formale, ma dal punto di vista delle motivazioni che le hanno generate. Dal momento che mi interessano le persone, la memoria è sicuramente un tema forte di riflessione: anch’essa è effimera, variabile, soggetta alle relazioni con le cose, con i luoghi e naturalmente con il tempo. Allo stesso modo, lavorando spesso negli spazi deputati all’arte, è indubbio che la la percezione fisica e mentale dell’individuo in rapporto alle opere sia un tema che sono portato a sviscerare in tali contesti. Le opere di per sé non le trovo interessanti se non in relazione alla gente che le anima, facendone esperienza; altrimenti sono solo pezzi di materia. Sul “piedistallo” – che per me è una sorta di campo da gioco – metto quindi la natura mutevole delle persone. E poiché il Sè non esiste in modo isolato, il focus andrà spesso ad allargarsi anche alla dimensione collettiva. Penso quindi che l’arte sia un contesto privilegiato dove tutti possano imaginare e provare nuove e differenti realtà, per poi capire meglio come sviluppare il proprio futuro (personale e collettivo).
In Alto Adige hai realizzato diversi lavori, altre volte invece (come, per esempio, nel progetto BIVACCO), hai portato la tua terra altrove. Quale legame hai con la il tuo territorio d’origine?
Conosco molto bene questo territorio dove sono cresciuto, che a lungo mi ha affascinato e che, per lungo tempo, non ho capito. Per cogliere i miei legami culturali con il mondo mitteleuropeo e quello italiano e capire meglio l’architettura delicata e diversificata del mondo altoatesino ho dovuto vivere a Vienna e a Roma, così come frequentare le valli, soggiornando per lunghi periodi in Val Senales; ho dovuto conoscere il mondo ladino e scoprire realtà come i quartieri Europa e Don Bosco a Bolzano. Ho sperimentato – nella vita e nel lavoro – che non esiste un’unica realtà, un’unica storia, memoria o narrazione, ma che tali dimensioni sono sempre molteplici e tra loro intersecate e sovrapposte e che le prospettive cambiano nel tempo. Scoprendo l’Alto Adige, con le sue stratificazioni culturali e storico-sociali, sviscerandola dalla geologia alla sociologia, ho imparato a “leggere” anche altre realtà, che da un certo momento in poi ho iniziato a interpretare e a paragonare tra loro. Data la complessità dell’Alto Adige posso dire di aver avuto una brava insegnante!
Hannes adesso a cosa stai lavorando? Hai dei progetti in corso o in cantiere di cui ti piacerebbe raccontarci?
Ho appena inaugurato un progetto con il titolo „Art & Courage“ all’ Künstlerhaus di Vienna: è un lavoro su commissione, in cui mi hanno chiesto di riflettere sulla rilevanza dell’arte. Si tratta di una ricerca particolarmente complessa che mi ha condotto a risultati inaspettati. Poi, su invito di Lottozero di Prato, ho sviluppato il progetto “Second Skin”, che di recente abbiamo presentato a BAW – Bolzano Art Weeks, e che adesso stiamo portando in giro a Firenze e Prato e che concluderemo, raccogliendo le esperienze in un catalogo. Ovviamente ho già in cantiere anche dei progetti per l’anno prossimo. Per una piazza milanese dovrei creare un’installazione audio con lo scopo di innescare una riflessione sullo spazio pubblico e la sua trasformazione nel tempo; per la Biennale Arte di Venezia, invece, sto preparando un progetto che farà “cantare dei buoi”: l’idea di questo lavoro è di portare un senso di condivisione e speranza in un momento difficile della storia come quello che stiamo vivendo oggi.
Credits: (1) Art & Courage, 2023, Künstlerhaus Wien, eSeL; (2) GOGO, 2023, Belvedere21, eSeL Joanna Pianka (3) Avalanche Trigger, 2022, Petra Rainer; (4) Bivacco, 2019, Flyle; (5, 6) Second Skin, 2023, Fanni Fazekas.
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