Culture + Arts > Literature
July 24, 2023
Stanze della memoria:
Intervista allo scrittore Sepp Mall
Maria Quinz
Per dimenticare bisogna conoscere
Sepp Mall da “Stanze berlinesi”
Che memoria può avere la notte dei suoi insetti? E che memoria può avere il tempo degli uomini, che lo fanno esistere senza la scrittura?
Sebastiano Vassali
Nel 2022 è uscito in edizione italiana per Keller Editore, “Stanze berlinesi” l’ultimo romanzo dello scrittore altoatesino di lingua tedesca Sepp Mall. L’edizione tedesca era stata data alle stampe dieci anni prima. Dopo aver apprezzato “Ai margini della ferita”, il precedente romanzo dell’autore, originario di Curon, mi sono immersa nella lettura del libro, con la traduzione di Sonia Sulzer. Il titolo, fin da subito mi aveva intrigato: per la giustapposizione di una parola come “stanze”, che ha in sé una dimensione di intimità oltre che una sua musicalità ( e penso qui alla poesia, dove le stanze di un componimento costituiscono un insieme di versi “a sé”, che seguono un proprio schema di rime), e il riferimento a una metropoli come Berlino. Una città di gran fascino, proiettata verso il futuro, ma anche intrisa di memoria: una città dove risuonano ancora gli echi di storie passate, spesso dolorose e dove, personalmente, ho avuto la fortuna di vivere qualche tempo fa.
L’incipit della vicenda ruota intorno al protagonista Johannes, originario dell’Alto Adige (realtà di sfondo riconoscibile nel testo, ma mai apertamente menzionata) colto nei giorni in cui apprende la notizia della morte per malattia dell’anziano padre e del suo ritorno alla terra d’origine, dove ritrova la madre, il fratello e la cognata. Johannes qui prende atto di non sapere molto dell’uomo che l’ha cresciuto, pur avendo vissuto accanto a lui buona parte della sua vita. Da lì prenderà il via il suo viaggio verso Berlino che lo condurrà a un incontro illuminante e alla rivelazione di un’immagine del padre inaspettata, (forse) più autentica con cui nuovamente confrontarsi.
A seguito della lettura ho avuto il piacere di conversare sul libro con Sepp Mall e sviscerare alcune mie curiosità. Anche perché il romanzo – a mio avviso – è a suo modo misterioso. Racconta una storia e i suoi protagonisti, ma elude una serie di spiegazioni che chiarirebbero delle zone d’ombra dell’intreccio. La narrazione fornisce più elementi di realtà, ma lascia aperti molti spazi all’immaginazione: sprofondamenti nel vuoto del non detto, quasi con un sottile gioco “a nascondino” con il lettore, che è quindi libero di trovare le sue risposte. La narrazione – non priva di una vena ironica e di una sua lievità, via via che si avanza nella lettura e nell’intrico della vicenda – sembra quasi snodarsi sul filo dell’illusione: il sogno parrebbe quindi prendere il sopravvento, scompaginando il racconto…
Ma scopriamo più da vicino il romanzo attraverso le parole del suo autore, lo scrittore Sepp Mall.
“Stanze berlinesi” è stato pubblicato in italiano dieci anni dopo l’uscita del romanzo in tedesco (2012). C’è una ragione particolare che l’ha condotta a pubblicare il romanzo in italiano nel 2022? E come ha “rivissuto” la riproposizione del libro in un presente come quello di oggi, radicalmente mutato…
Esatto, sono passati 10 anni dalla pubblicazione del libro in tedesco. Il fatto che ci sia voluto così tanto tempo è più che altro una coincidenza: la traduttrice Sonia Sulzer lo aveva già proposto alla casa editrice Keller 6 o 7 anni fa, ma c’è voluto del tempo prima che tutto fosse finalizzato. Eh sì, l’oggi è molto diverso da quello di allora, anche in termini politici e sociali: in particolare, con la guerra in Ucraina, i fenomeni migratori e le morti nel Mediterraneo e la pandemia; tutto ciò che è esploso in questo anni. Tuttavia, i miei libri non reagiscono mai al presente immediato. Questo fa parte del mio modus operandi nella scrittura: ho sempre bisogno di distanza. Direi quindi che i cambiamenti politico-sociali per la mia scrittura non sono così importanti. Inoltre, con i miei tempi di gestazione di un romanzo di 4-5 anni, questo “reagire” sarebbe possibile solo in misura limitata.
L’Alto Adige è presente nei suoi libri. A volte non ha coordinate precise – come in “Stanze berlinesi” – ma è riconoscibile. Sembrerebbe anzi imporsi come realtà forte, con le sue contraddizioni: un luogo da cui partire ma anche dove ritornare… La riflessione sulla sua terra d’origine è quindi importante per lei? E in che termini?
Non direi propriamente che il Sudtirolo come provincia o fenomeno culturale sia così importante per me da doverne scrivere. La forte presenza di questa regione, come lei giustamente sottolinea, ha molto più a che fare con il fatto che – come scrittore – credo di poter scrivere solo di ciò che conosco. Ecco perché tante volte le mie storie si svolgono in Alto Adige, non sempre, ma spesso. In “Stanze berlinesi” anche la città di Berlino ha un ruolo di primo piano. Ma mi sembra importante sottolineare che né l’Alto Adige né Berlino sono l’argomento centrale del romanzo. Anche se alcuni personaggi, come il fratello del protagonista, il politico Gregor, presentano caratteristiche e tratti sicuramente familiari alla gente del posto e ai politici di questa provincia… Diversamente, nel romanzo “Wundränder”/ “Ai margini della ferita” (a sua volta pubblicato in italiano da Keller Editore) la nostra terra gioca un ruolo da protagonista, perché racconta gli anni delle bombe e la complessa convivenza nella regione. In questo mio primo romanzo la riflessione sul territorio e la sua storia sono stati più importanti che nei libri successivi.
Tra i temi di “Stanze berlinesi mi sembra di cogliere come centrali l’importanza della memoria e del filo del ricordo, così come l’insondabilità dell’altro nelle relazioni umane, a partire da quelle familiari. Il protagonista del libro, infatti, intraprende un viaggio di riscoperta del passato del padre, del suo amore segreto e delle radici della sua storia. Esiste quindi – secondo lei, venendo anche al finale del romanzo – una seconda possibilità? – La possibilità di venire a patti con il passato e con una qualche forma di verità, accedendo quindi a relazioni più autentiche?
Le sue domande ruotano proprio intorno alle considerazioni che ho fatto durante il processo di scrittura. Sono partito intatti dal senso di smarrimento e vuoto che si prova quando ci si rende conto che, con la morte di una persona cara, cala anche il sipario su tutte le esperienze, conoscenze e capacità che hanno segnato la sua vita (e che non possono più essere trasmesse) e ho cercato quindi di creare nel romanzo una sorta di „Gegenwelt”, cioè un mondo, dove le cose andassero in un altro modo. Un mondo in cui diventi possibile un secondo tentativo di riavvicinarsi alla persona amata – appunto il padre scomparso nel romanzo. L’ironia del libro, tuttavia, nasce dal fatto che l’amato defunto non vuole rivelare più di quanto abbia già raccontato da vivo. Il protagonista deve perciò percorrere altre strade per scoprire di più su suo padre e sul suo passato, ma alla fine ne varrà la pena. Sì, ci sono sicuramente diversi modi per fare pace con il passato. Ma questo mi pare possibile solo se lo si affronta in modo intenso e, allo stesso tempo, si è aperti a molteplici possibilità.
Nella scrittura del romanzo ho colto – personalmente – uno stile pacato, asciutto, con tratti di comicità, così come un’altrettanto lieve dimensione di “reverie”: una sorta di sconfinamento nell’irrealtà e quindi nell’affermarsi, seppur velatamente, della realtà di finzione del romanzo. Cosa ne pensa di questa mia riflessione e quanto è vero per lei?
Fin dall’inizio, questo romanzo ha percorso lo stretto sentiero tra realtà e illusione, tra “hard facts” della vita e ciò che l’immaginazione permette o ci sussurra all’orecchio. L’argomento del libro è ovviamente serio, dopo tutto si tratta della morte e dei suoi effetti, ma questa oscillazione tra realtà e illusione mi ha dato l’opportunità di vedere anche le cose tristi attraverso una “strizzata d’occhi” con il lettore. E, incidentalmente, di riflettere sulla scrittura stessa. Dopo tutto, narrare, scrivere „fiction” non significa altro che produrre una realtà che scorre nella testa dell’autore. Nella scrittura di finzione ci si può allontanare da ciò che ci accade ogni giorno: si può far sembrare reale l’impossibile. Anche i sogni e le fantasie che si hanno, in tale modo, ottengono degli attributi di realtà. Ma tutto questo è un pò complicato e qualche volta mi prende il capogiro… che riesco a combattere soltanto mettendomi seduto alla scrivania e lasciando fluire le parole.
Ha – o ha avuto in passato – degli scrittori che l’hanno ispirata nel suo stile di scrittura? E quali autori di ieri o di oggi ama particolarmente?
Quando si inizia a scrivere, come ho fatto io a 18 o 19 anni, ogni libro che si legge è fonte di ispirazione. Molto si trasmette, finché a un certo punto si riesce a sviluppare uno stile personale e a portare avanti i propri temi. Nella mia vita ho letto tutto ciò su cui potevo mettere le mani. Dai poeti italiani come Montale e Quasimodo ai romanzieri americani come Philip Roth o Paul Auster, fino agli autori contemporanei tedeschi, austriaci e francesi. Tutto questo mi ha ispirato e certamente influenzato, senza che io possa individuare i singoli scrittori che lo hanno fatto in misura particolare. Sepp, per concludere, mi piacerebbe chiederle se oggi sta lavorando a qualche nuovo progetto…
Ho appena terminato un romanzo che sarà pubblicato in autunno dalla nota casa editrice austriaca Leykam con il titolo “Ein Hund kam in die Küche”. Contemporaneamente ho ripreso a scrivere delle poesie e con i traduttori Sonia Sulzer e Stefano Zangrando stiamo preparando l’edizione italiana di una raccolta poetica già pubblicate in tedesco. In realtà, in quest’ultimo progetto io gioco un ruolo marginale, mentre l’impegno più consistente è nelle mani dei due traduttori. Il loro lavoro di traduzione è di fondamentale importanza: quella dei traduttori è – a mio avviso -una professione che non viene mai abbastanza apprezzata e valorizzata. Qualche volta mi è capitato di immaginare un mondo senza traduttori letterari e la visione era spaventosa: non avrei potuto leggere “Anna Karenina” di Tolstoj, ne “l’Ulisse” di Joyce e neanche “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcìa Màrquez… Mamma mia!
E io non posso che essere d’accordo con lui.
Credits: (1) Sepp Mall; (2) le copertine dei romanzi dell’autore in lingua tedesca “Berliner Zimmer”, Haymon Editore; “Ein Hund kam in die Küche”, Leykam Editore.
Comments