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June 23, 2023

Come pioggia: il progetto espositivo di Stefano Cagol a Castel Belasi

Stefania Santoni

L’arte è uno strumento trasversale che può scegliere come posizionarsi a seconda dell’approccio di ogni artista che vi si avvicina. Ha dentro di sé l’opportunità di sposare delle cause, di scegliere se e in che modo farsi portavoce di questioni dalla risonanza universale, come quella ambientale. E proprio di questo ci parla la mostra “Come pioggia” curata da Stefano Cagol e ospitata a Castel Belasi

 Sì, è un castello medievale, un’antica roccaforte che qui ci invita a riflettere sull’impatto che le nostre scelte hanno a livello ambientale. Quando ci ho messo piede per la prima volta, ho subito avuto la sensazione di sentirmi al sicura e protetta da quella antiche mura. E qui, in questo spazio secolare, trasformato in uno luogo privilegiato – perché Castel Belasi è un centro culturale, sotto la direzione artistica di Stefano Cagol – ora ha trovato casa un’esposizione che racconta la nostra contemporaneità. Entrando nel castello, in questo luogo di offesa e difesa, subito si percepisce come esso sia un simbolo dell’Antropocene con le sue alte mura e la sua torre, emblema della nostra posizione antagonista verso quanto ci circonda. Per tale ragione può costituire lo spazio ideale dove affrontare  questioni anche dell’oggi.castel 0 Castel Belasi inoltre è unico per il sottile filo rosso che unisce tutti i suoi numerosi affreschi risalenti al Quattro e Cinquecento giunti fino a noi: ci offre un messaggio davvero attuale, mettendoci in guardia dalle conseguenze delle nostre scelte. Aspetto, questo, che potrebbe divenire un leitmotiv per chi è al potere, ma più in generale, per ognuno di noi. L’arte contemporanea portata al suo interno, in fondo, fa la stessa cosa. Ci permette di comprendere quanto sia fondamentale  riflettere su quello che facciamo oggi se vogliamo garantirci un futuro. 

 Ma è tempo di scoprire la mostra e di lasciare che sia il curatore a spiegarci il progetto espositivo “Come pioggia”.castel Belasi Stefano, prima di addentrarci nella mostra vera e propria, mi racconteresti il tuo rapporto con l’acqua, questo elemento primordiale che spesso invochiamo ma che quando arriva all’improvviso e, soprattutto, senza misura ci spaventa?

L’acqua è un elemento ricorrente nella mia ricerca. Si è palesata per la prima volta nel suo stato solido a partire da “The Ice Monolith” alla Biennale di Venezia del 2013, esattamente 10 anni fa. Un tempo eravamo abituati a chiamare i nostri ghiacci alpini “eterni”: li consideravamo resistenti come la pietra. Nella mia operazione artisitca, ho preso un blocco di ghiaccio per unire Alpi e Maldive sotto lo stesso destino di sparizione, lasciandolo sotto il sole, di fronte agli occhi dei passanti, finché l’acqua che perdeva confluiva in quella della laguna. L’acqua è un elemento essenziale che racchiude tutta la complessità delle questioni climatiche: sa essere ghiacciai che spariscono e mari che s’innalzano, ma anche siccità e inondazione. Questo tema si ritrova anche in “The Time of the Flood”, il tempo del diluvio, ricerca che ho iniziato nel 2019 con il sostegno di Italian Council e che ho sviluppato tra Berlino, Vienna, Roma, Tel Aviv e Venezia. Essa guarda al tempo immemore del prima e del dopo di noi, attende il pericolo imminente. Curioso è il fatto che monitoriamo ciò che accade intorno a noi come mai prima d’ora, ma che il nostro rapporto con la natura non è mai sfuggito così tanto dalle nostre mani

L’ambiente e la sua salvaguardia – e quindi l’idea che l’uomo possa convivere con la natura in un modo differente da come sta accadendo ora – sono temi della tua arte. In che termini questo aspetto si esplicita in “Come pioggia” e in che modo l’arte può affrontare il tema del cambiamento climatico?

Sono convinto che l’arte debba comunicare e parlare delle questioni attuali, delle urgenze. In “Come pioggia” a Castel Belasi porto il progetto “We Are the Flood”, “Noi siamo il diluvio”, piattaforma che ho creato e sto curando dallo scorso anno al MUSE Museo delle scienze di Trento, nata da un confronto con il direttore Michele Lanzinger. In esso arte e scienza dialogano per immaginare futuri desiderabili. Da molto tempo la scienza ci sta offrendo numeri ed evidenze dell’impatto che l’essere umano ha sul Pianeta; ha persino dato una definizione all’era geologica in cui stiamo vivendo e in cui, per la prima volta, un’unica specie, quella umana, sta modificando irrimediabilmente l’andamento delle cose: l’Antropocene. Ma noi non abbiamo ancora capito. Quindi all’arte spetta il compito di tradurre questioni complesse attraverso il proprio linguaggio universale, che sa essere immediato e, al tempo stesso, profondo, empatico, emozionante. In “Come pioggia” vesto i panni del curatore e invito 14 artisti italiani e internazionali, consolidati ed emergenti, con opere che inneschino il pensiero, che spingano a rivedere la nostra posizione sul Pianeta e indirizzino verso un approccio consapevole e simbiotico.castel 2 La mostra si apre con un’opera magnifica di Mary Mattingly, “Lacrima”. Da dove arriva questa scelta? 

Mary Mattingly è stata la prima artist in residence di MUSE. Perché proprio lei? Perché con una sua opera è riuscita a influenzare le scelte politiche di una metropoli come New York. Grazie alla risonanza che ha avuto la sua chiatta con un giardino edibile, New York City ha dato vita al primo parco dove fosse possibile raccogliere i frutti della terra, cosa prima vietata per legge in questa capitale. Mattingly è stata invitata in Trentino, dove ha parlato con gli scienziati e i ricercatori di MUSE ed è entrata in contatto con questo territorio alpino. Ne è nata “Lacrima”, un’opera prodotta da MUSE, una sorta di orologio ad acqua che sofferma la nostra attenzione sulla delicatezza degli equilibri dell’acqua, anche in un luogo che si sente al sicuro da tutto come sono le Alpi. Eppure i ghiacciai sono le nostre riserve e la loro sparizione rende contati i nostri giorni. Quest’opera è stata pensata per gli spazi del MUSE, dove tornerà alla fine della mostra a Castel Belasi e dove riesce a innescare un dialogo con la sezione scientifica sui ghiacciai e l’alta montagna. 

Mi racconti dell’installazione site-specific di Giulia Nelli? E delle sculture di Silvia Listorti?

Entrambe fanno parte di quella che possiamo definire la comunità di “We Are the Flood” di MUSE, selezionate attraverso una delle open call per under 35 che abbiamo lanciato finora per rispondere a una necessità di interagire, di dare vita a un “noi” proprio del progetto. 

Giulia Nelli a Castel Belasi ha realizzato un’installazione estesa e immersiva, una sorta di ragnatela attraverso la quale il pubblico è costretto a passare. Ha usato collant, calze da donna in nylon, evocando quella trappola del petrolio che ci attanaglia. Silvia Listorti, anche lei giovane artista italiana, presenta qui due sculture realizzate con la tecnica della “termoformatura”, calchi di parti del corpo, che innescano contrapposizioni tra fragilità e resistenza, trasparenza e candore, divenendo contenitori di un’acqua generatrice.castel 1 Un’ultima domanda, Stefano. Che cosa incontra lo spettatore che attraversa questo percorso espositivo? 

Nella hall d’ingresso della mostra all’ultimo piano del castello si può sfogliare il libro appena uscito per Postmedia e che racconta il primo anno di “We Are the Flood”, da cui ha origine la mostra. Poi si dipanano sei sale. Quella centrale presenta una proiezione di grandi dimensioni dell’opera video “Tides in the Body” della giovanissima inglese Hannah Rowan, che vediamo aggrappata a un iceberg. La sala successiva ha al centro un disegno monumentale di Micol Grazioli, realizzato in maniera partecipativa lo scorso anno al MUSE per farci comprendere che non siamo elementi chiusi ma che è necessario interagire, essere in relazione. Chiude il percorso il suggestivo concerto per sole piante di Eugenio Ampudia, per poi ricominciare al piano terra nella project room, dove troviamo i lavori di 15 giovani e giovanissimi selezionati tramite open call, che hanno già preso parte a una masterclass di “We Are the Flood”. 

Credits: (1) Castel Belasi, Campodenno; (2) Mary Mattingly, Lacrima, 2023 Collezione MUSE – Museo delle scienze Trento; (3) Giulia Nelli, Tra radici sopite e arida pietra, 2023installazione site specific, by Elly Calze; (4) Silvia Listorti, Ogni volta che il respiro grida in me, 2022, Me stessa [Nèfesh], 2019, courtesy Silvia Listorti, Galleria Studio G7; (5) Hannah Rowan, Tides in the Body, 2023, Courtesy Hannah Rowan, C+N Gallery Canepaneri.

 

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