Culture + Arts

May 17, 2023

Finis Terrae
La fotografia alla fine del mondo di Karin Schmuck

Stefania Santoni

Le Colonne d’Ercole nell’antichità indicavano un limite, un confine che era percepito come invalicabile ed estremamente pericoloso. Un luogo “alla fine del mondo” che segnava il passaggio tra mondo conosciuto e sconosciuto, tra noto e ignoto, tra vita è morte. Come narra la famosa leggenda greca, le due colonne sono state erette da Ercole per segnare il suo passaggio, in seguito alle straordinarie imprese da lui affrontate, le cosiddette”fatiche”. Una colonna era posta sulla rocca di Gibilterra in Europa,  sul promontorio di Calpe, l’altra invece, sul versante opposto, in Africa, sul promontorio di Abila in Mauritania. Per tale motivo, ancora oggi, lo stretto di Gibilterra è chiamato con l’appellativo di “Colonne d’Ercole”.

Da questo luogo reale ma anche leggendario, è partito il progetto fotografico, esperienziale  e di ricerca dell’artista altoatesina Karin Schmuck verso nuove mete ai “confini del mondo”. Ricerca che l’ha condotta ad affrontare un nuovo viaggio e una nuova avventura fotografica in Galizia, terra dalla grande bellezza naturale, ricca di storie e miti e considerata in passato,  a sua volta, un luogo “finis terrae”: limite insuperabile prima dell’ignoto. Ed è proprio questo il cuore centrale del progetto fotografico, sostenuto dal Comune di Merano e di Bolzano e portato da Karin Schmuck alla 00A Gallery di Trento dal titolo Finis Terrae (World’s Ends). L’artista con rara e raffinata sensibilità, tramite il suo medium privilegiato, la macchina fotografica, ha così indagato, esplorando in particolare le coste della Galizia, questa terra così pregna di tradizioni e mitologie antiche in stretto dialogo con la contemporaneità e il fluire del presente.

image4 (1) Karin, prima di entrare nel vivo del  tuo progetto artistico, mi puoi raccontare quale è stato il tuo percorso di formazione? Come ti sei avvicinata alla fotografia e come definiresti il tuo lavoro creativo?

Dopo il liceo artistico, mi sono trasferita a Urbino, dove ho studiato pittura all’Accademia delle Belle Arti. Poi sono salita un po’ più a nord, a Vienna, per poi tornare a Bolzano per fare pratica al Vetroricerca Studios, avvicinandomi quindi a una forma espressiva  artigianale, trattandosi di lavorazione del vetro. Dopodiché mi sono iscritta nuovamente in un’accademia, questa volta a Bologna, dove mi sono specializzata in fotografia. E da lì in avanti posso dire che mi sono orientata prevalentemente verso la fotografia. Considerato il mio percorso non univoco, mi considero quindi non tanto una fotografa quanto un’artista che utilizza come medium principale la fotografia.  

A proposito della mostra, invece, come nasce il tuo interesse verso la Galizia e la sua costa?

Tutto ha avuto inizio nel 2018 con un progetto che ha vinto il premio Carlo Gaiani, dedicato alle Colonne dʼErcole, quindi a Gibilterra. Solo dopo ho pensato di proseguire e approfondire questo lavoro, di renderlo un percorso più analitico e strutturato (che ho intitolato World’s Ends), individuando dei luoghi con determinate storie alle spalle che li hanno resi “luoghi limite”, come tappe da percorrere in diversi momenti, una alla volta. A ogni luogo “alla fine del mondo”, ho scelto di dedicare sia un momento di ricerca che un vero e proprio viaggio. La Galizia è stata oggetto della mia indagine artistica perché sia per i Celti che per i Romani si trattava di una terra di confine, che andava a coincidere con la fine del loro mondo: un territorio che anche morfologicamente suggerisce il concetto di finis terrae.

Cosa faccio nel concreto con il mio lavoro? Prima mi documento e studio; poi vivo una vera propria esperienza esplorativa del territorio, camminando. In questo caso sono partita da Muros, a sud della Galizia, e ho percorso la costa fino a Cabo Vilàn, passando per Cabo Touriñán. Questo luogo è per me il vero finis terrae , perché è il punto più Occidentale della Spagna Peninsulare. Inoltre qui non vi è traccia della presenza umana: è presente solo un faro. Le mie foto in mostra raccontano e rappresentano la natura incontaminata di questo luogo.Schermata 2023-05-17 alle 13.23.35 In che modo la tua esposizione si fa portavoce delle leggende galiziane? 

Tutta la mostra è legata al mito. Nelle mie foto cerco di intrecciare le leggende con la mia esperienza personale, creando un dialogo con il presente, quindi con la situazione attuale del luogo. Nello specifico, l’obiettivo è quello di raccontare ed esprimere visivamente l’idea di partenza (perché quella terra non era soltanto la fine del mondo): da qui infatti iniziava l’iter verso l’aldilà su navi di pietra. In mostra è presente un video, installato nella parete divisoria, che in qualche modo chiude questo cerchio narrativo: c’è un’immagine, che sembra una fotografia, con uno scoglio in mezzo al mare e lʼacqua che fluttua tutt’intorno. Guardandola, sembra che lo scoglio si muova. Quest’opera rimanda all’idea di barca in partenza verso l’ignoto. La scelta di concentrarmi su quest’idea di partenza deriva dal fatto che la Galizia è una regione poverissima e che tutt’ora vede i suoi abitanti costretti a partire, a lasciarla, in cerca di lavoro. Pensa che negli ultimi 200 anni ha perso più di 2,5 milioni dei suoi abitanti, emigrati soprattutto in America Latina.

Anche il viaggio, quindi è uno dei temi della tua ricerca fotografica…

Sì. Ho cercato di tradurre visivamente il ritmo della camminata. Le immagini degli elementi naturali, che rappresentano manifestazioni di vita del luogo e quindi culti legati alla morte (perché partendo con le navi da quel luogo spesso si andava a morire) ma anche a tradizioni sulla fertilità (penso alle vergini che andavano a farsi il bagno nelle acque ghiacciate delle coste per divenire feconde). Camminare e guardare: sono queste due esperienze, che nella loro lentezza mi hanno permesso di interiorizzare il genius loci in modo sia fisiologico che esperienziale: tutto questo viaggio, compiuto da sola (mi ha accompagnata esclusivamente la macchina fotografica), a piedi, per 150 km, dove non ho praticamente mai incontrato altre persone, ha permesso che il mio corpo, ma anche il mio spirito assorbissero tutta lʼanima di quella terra che ho tentato di esprimere attraverso le foto. image3 Partenza e attesa, paura e incertezza sono gli stati dʼanimo e le emozioni che mi sembra di cogliere nei tuoi scatti…

Arrivando da sud, dove il mare è un po’ più calmo rispetto al nord, caratterizzato invece da correnti ventose e agitate (qui le onde arrivano ad altezze che superano i 20 metri e la marea è davvero potente)  ho vissuto delle esperienze emotivamente molto forti. Mi sono davvero immedesimata nelle persone che partivano e che intraprendevano viaggi in mare: dopo Colombo chi andava verso il Nuovo Mondo viveva certamente una grande paura. Ma anche la malinconia e l’amarezza hanno accompagnato i miei scatti. Seduta sulla costa, osservavo le onde dell’oceano e le sentivo come se mi attraversassero. E ripensavo a una catastrofe avvenuta nei primi anni 2000, quando affondò la nave Prestige, una petroliera che trasportava settantasette mila tonnellate di combustibile, tutte finite nel mare e sulle coste della Galizia. Questo episodio è riportato in una delle opere in mostra e porta il titolo di “nunca mais” che in galego vuole dire “mai più”. Uno slogan, questo, che in quella terra leggevi dappertutto: pensa che sulle coste, ancora adesso, si possono vedere a occhio nudo tracce di queste macchie, segno di una tragedia ambientale che ha profondamente segnato il territorio.  

La mostra presso la 00A Gallery di Trento è a ingresso libero. Sarà visitabile fino al 28 maggio, da mercoledì a venerdì, dalle 15.00 alle 18.30 (oppure su prenotazione telefonando al +39 335 7733760).

Credits: (1,2, 3, 4,  5) Karin Schmuck.

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