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May 4, 2023

Il lupo e altri animali nella fotografia di Elisa Cappellari al Café de la Paix a Trento

Stefania Santoni

La lupa, l’anziana, quella che sa, è dentro di noi. Fiorisce nella psiche più profonda dell’anima delle donne, l’antica e vitale Donna Selvaggia. Lei descrive la sua casa come quel luogo nel tempo dove lo spirito delle donne e lo spirito dei lupi entrano in contatto. 

È il punto nel quale l’Io e il Tu si baciano, il luogo nel quale le donne corrono coi lupi.

Clarissa Pinkola Èstes

Al Café de la Paix di Trento inaugura oggi “Ich liebe Tiere, die ich sehe” un’esposizione, tra parole e immagini, della fotografa Elisa Cappellari, curata da Samira Mosca, che indaga l’atto di osservare, l’effetto di osservarsi e le conseguenze nel essere osservati.  Elisa ricerca il confronto con oggetti/soggetti che vivono fuori e dentro di lei e li espone come specchio o metro di misura, per ognuno, al fine di stimolare vicinanza, empatia e coesistenza. La mostra ha preso vita grazie all’Associazione Culturale Lasecondaluna, centro culturale di riferimento per la cultura del Trentino Alto Adige.2 Elisa come ti sei avvicinata alla fotografia e allo studio del visivo?

Mi sono avvicinata alla fotografia grazie ai 4 anni universitari vissuti all’esterno, in Olanda: anni che sono stati fondamentali per imparare sia le tecniche – e quindi diversi modi di lavorare con la macchina fotografica – sia per trovare e identificare la mia ricerca visiva. Desideravo avere tempo e spazio per approcciarmi alla fotografia e farlo con la giusta lontananza rispetto alla mia terra d’origine cioè il Trentino Alto Adige: sentivo dentro di me il bisogno di generare un fil rouge nuovo e altro, un fil rouge comprosto d’immagini e di scatti. Grazie a piccoli esercizi e compiti accademici mi sono allenata a osservare, a guardare e quindi narrare ogni soggetto, che col tempo è andato a coincidere con il mondo del selvatico degli animali. Ciò che mi sono ritrovata a fare molto spontaneamente è stato quindi subentrare negli spazi in cui c’era la presenza degli animali nellʼurbano, quindi addentrarmi in quei luoghi paesaggistici in cui sono presenti incontri e storie tra uomo e selvatico. Diciamo che la mia era una necessità di confronto con tutti quegli elementi che per me rappresentavano lʼemancipazione dal domestico.1 Quindi questo immaginario narrativo è il tuo regno animale…

Sì. I luoghi che ho fotografato erano zoo, fattorie, musei di scienze naturali e campagne. Erano spazi in cui la presenza animale era una costante. Il mio progetto di laurea, che per via della pandemia mi sono ritrovata a dove sviluppare in Alto Adige, si è così indirizzato in particolare verso il lupo, con l’obiettivo di accorciare le distanze in termini di biodiversità. Da dove sono partita? Mi sono innanzitutto interrogata sui luoghi di potere del selvatico e del domestico, sul significato e sul senso della libertà. E sul modo in cui si può ricercare la vicinanza a un soggetto (aspetto che tento di mettere sempre in atto nella mia pratica fotografica prima del racconto di ogni storia). Il mio obiettivo è (ed era) di cercare di ridurre la distanza tra due elementi/soggetti (che solitamente siamo io e ciò che fotografo): vorrei che le mie foto raccontassero in che modo si possono fare dei passi verso ciò che non si conosce abbastanza o che ci fa paura, col fine di allenare una visione simbiotica tra esseri apparentemente non conciliabili tra loro. In un certo modo potrei dire che le mie foto vogliono essere una sorta di palestra di empatia, di apertura e comprensione verso ciò che non sei tu, verso ciò che sta al di fuori di te. Il progetto sul lupo è stata quindi una ricerca della presenza degli animali nei luoghi, da un punto di vista letterale e al tempo stesso metaforico. 

E in che modo si è sviluppata la ricerca sul lupo?

Ho cercato di incontrare e interagire con persone che avevano in qualche modo ricavato un’esperienza dall’incontro con il lupo, quindi sia chi aveva avuto delle vicissitudini in parte negative con questa specie, ma anche chi ne faceva ricerca da un punto di vista tecnico o più semplicemente chi viveva in luoghi limitrofi agli ambienti del lupo. Partendo da un mio sentire volevo interrogarmi su questo nostro bisogno che abbiamo di definire e incasellare ogni cosa in categorie: volevo cambiare rotta scegliendo una strada volta ad abolire le distanze. Quanto la necessità di etichettare e giudicare è presente in noi? Per questo il mio lavoro di tesi si può definire un processo dedicato allʼindagine, all’interrogarsi rispetto all’idea e all’immagine che le persone hanno dello stigma del lupo, rifiutando un punto di vista tecnico e sposandone uno simbolico.

Oggi invece inaugura la tua mostra fotografica, “Ich liebe Tiere, die ich sehe”. Mi spiegheresti il titolo e come avete articolato l’allestimento con la curatrice?

Questa frase significa Amo gli animali che vedo. L’ho scelta perché la mostra si suddivide in due parti. Una sezione attinge al mio lavoro di tesi, alle interviste fatte per raccogliere i dati e le informazioni necessarie da cui far partire la mia ricerca. Da tre domande guida (Che cosa ne pensi della presenza del lupo? Hai mai avuto dei problemi con questa specie? Se ti dico lupo, cosa ti viene in mente?) sono nati dialoghi molto profondi e forti che io registravo e riscrivevo, trasformandoli in strutture narrative, in un percorso tra preda e predatore, tra vittima e carnefice, tra buono e cattivo. Mi viene ad esempio in mente una delle frasi che ha condiviso con me un pastore di origini africane: «Noi in Africa abbiamo altri problemi, altri animali; abbiamo paura dei leoni, ad esempio. Ma in realtà gli animali che io temo di più sono quelli che non vedo». Questo pensiero mi ha colpita nel profondo perché il fine del mio lavoro è proprio il confronto e quindi il dialogo con l’alterità: e quindi riflettere su cosa io realmente riesco a vedere è un aspetto su cui ho sempre cercato di far leva, conferendogli rilevanza e importanza.

Nello spazio esterno invece troviamo l’altra sezione, cioè quella delle fotografie che sono ritratti di umani, animali, oggetti. Sono immagini che abbiamo scelto di installare in maniera molto semplice e fungono un po’ da poster, da totem, come se fossero dei manifesti per chi ne fruisce. Sono ritratti che si stanno guardando tra loro, come esseri in relazione. Queste opere sono state messe sulle pareti o semplicemente appoggiate alle finestre, invitando il visitatore a cercarle e individuarle. Tornando all’altra sezione, invece, che si trova all’interno (cioè al primo piano del Café de la Paix) abbiamo realizzato un intervento più specifico, come accennato poc’anzi, e quindi un focus dedicato al lupo. Ho composto dei testi che creano immagini mentali e una narrazione con alcune immagini fotografiche. Si tratta di un momento di analisi e studio, dove è possibile ricavare del materiale su cui riflettere, mentre nello spazio esterno, al di sotto, vi è maggiore libertà.Tutta la mostra riflette sul guardare, il guardarsi, lʼessere guardati, sia a partire dalle immagini che dai testi.Cappellari Elisa

Credits : Elisa Cappellari (1) Ariane in studio, Zoo di Bratislava (2) Palazzo dei pappagalli, Zoo di Bratislava; (3) Museo di Storia Naturale di Vienna, Zoo di Rotterdam, Ratto domestico; (4) ritratto di Elisa Cappellari.

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