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April 13, 2023
Andrea Proietti allo studio SanTaLex di Trento
Francesca Fattinger
Dipingere non è copiare servilmente il dato oggettivo, è cogliere un’armonia fra rapporti molteplici e trasporli in una propria gamma, sviluppandoli secondo una logica nuova e originale.
Paul Cézanne
Era una mattina di qualche giorno fa quando ho avuto la possibilità di visitare la mostra di Andrea Proietti allo studio SanTaLex, in via Galileo Galilei 24 a Trento. Non ho tentennato nemmeno un secondo, ho colto la palla al balzo e sono corsa a vedere, incuriosita dall’artista e dal luogo espositivo, un po’ fuori dal comune. E così è stata una doppia sorpresa: un’immersione in una pittura tanto sincera e spontanea quanto carica di studio del passato e di sapere tecnico in un luogo luminoso e accogliente che ne fa da cornice. Ne ho parlato con la curatrice Stefania Rossi che con puntualità e semplicità mi ha accompagnato a scoprire la mostra un passo alla volta, con la lentezza e la dilatazione necessaria che l’arte impone allo sguardo e al pensiero, per scoprirla fin nelle sue pieghe più intime. Un processo artistico quello di Proietti che ha inizio con la fase di autoproduzione delle tele e dei colori, “una fase meditativa in cui l’artista comincia a nutrire e curare la sua idea”: è da lì che comincia tutto ed è lì a cui forse tutto si può ricondurre. Mi piace intrecciare il suo percorso all’opera di Cézanne, citato dalla curatrice stessa tra i vari artisti a cui rivolge la sua attenzione e il suo studio, e al suo fare filosofia in pittura, un approccio alla pittura in cui la logica della mente supera quella dei colori, la trascende e la reifica. Un post-impressionista sui generis, fuori dagli schemi, che non voleva dipingere i suoi soggetti ma dare concretezza alle sue sensazioni. Così davanti alle opere di Andrea Proietti trovo la stessa voglia di sovvertire gli schemi, di dare spazio all’istinto, al primitivo e di farlo nel modo più naturale che venga all’artista, senza forzature, per mischiare i piani, rompere la prospettiva e in questa rottura parlare della “condizione dell’Uomo contemporaneo, vittima di un’alienazione che lo sta gradualmente allontanando dalla sua natura originaria”. Così i suoi ambienti onirici, sospesi e carichi di attese e assenze tanto palpabili quanto invisibili, riempiono le meravigliose stanze dello studio che li ospitano. E non si capisce più dove sta il confine tra la tela e la realtà, l’occhio valica il confine dell’arte e prosegue nelle linee della quotidianità.
Andrea Proietti, un giovane artista ma che affonda la sua tecnica e il suo modo di approcciarsi all’arte in una dimensione di bottega tipica dei maestri del passato. Ci racconti un po’ del suo legame con la storia dell’arte sia dal punto di vista tecnico che contenutistico?
Andrea Proietti è un artista che si forma da autodidatta, dal 2018 inizia a dedicarsi alla pittura, nello specifico alla pittura ad olio attraverso l’autoproduzione del colore. Grazie all’uso di pigmenti in polvere mescolati con olio di lino come legante, ottiene l’impasto da lui desiderato e una granulosità materica che non sarebbe raggiungibile con l’utilizzo di colori ad olio reperibili sul mercato. Anche la costruzione del telaio e l’applicazione della tela avvengono in totale autonomia e spesso tramite l’uso di materiali di recupero. Le tele, ad esempio, in alcuni casi non sono altro che scarti di tessuto che Andrea imprime e prepara per essere dipinti. Il processo di preparazione assume in questo modo una caratteristica del tutto artigianale. Come dici tu, è molto presente la dimensione di bottega nel suo incontro con l’arte e questa caratteristica può rappresentare una sorta di resistenza, un opporsi alla dematerializzazione della nostra epoca per riappropriarsi di una cultura del fare che stiamo pian piano perdendo. Dietro al suo lavoro, infatti, ci sono una ricerca e uno studio continuo che lo hanno condotto ad apprendere i principi fondamentali del mestiere artistico, per poi intraprendere la sua strada in totale autonomia. Il prezioso bagaglio di conoscenze da lui raccolto emerge chiaramente nelle sue opere. Dimostra una certa confidenza con l’arte del passato, come si può notare sbirciando nella sua libreria: in particolare attraverso lo studio del Libro dell’Arte di Cennino Cennini, uno dei primi trattati di pratica artistica, scritto nei primi anni del Quattrocento. Proietti guarda anche ad artisti riconducibili alla fase del “ritorno all’ordine”, come Felice Casorati, Mario Sironi e Ubaldo Oppi, ma anche al francese Édouard Vuillard per quanto riguarda l’uso del colore e ai contemporanei Jonas Wood e David Hockney per la costruzione delle ambientazioni.
Come si struttura il suo processo artistico, da dove è partito e dove sta arrivando nelle opere più recenti?
Come dicevamo prima, Andrea si muove con lo sguardo rivolto verso il futuro, ma, allo stesso tempo, non si può fare a meno di percepire un confronto costante con il passato. La sua ricerca si rifà ad una scomposizione analitica della realtà di matrice picassiana: le figure sono appiattite, i soggetti principali sono ridotti a forme geometriche e composti da una separazione di forme e colori, si tratta di una sintesi riconducibile a Georges Braque nella sua ultima fase di sperimentazione cubista. Proietti respinge la prospettiva, rifacendosi così al periodo post-impressionista e a colui che, tra i primi, aveva volutamente infranto tali imposizioni accademiche, Paul Cézanne. Nelle prime opere di Andrea è frequente la presenza dell’elemento pianta, rappresentata priva di foglie e sempre correlata a un oggetto, ad esempio la sedia o la mela. I due soggetti, pur essendo affiancati, non dialogano tra loro e questo contrasto rappresenta la metafora del concetto di attesa e mancanza. L’elemento sedia sembra essere in attesa di qualcuno, come se richiamasse a sé la persona che sta guardando l’opera, è sempre in una posizione frontale che permette di creare una connessione con lo spettatore. Andrea ci racconta la condizione di solitudine dell’Uomo contemporaneo, vittima di un’alienazione che lo sta gradualmente allontanando dalla sua natura originaria, tutto questo è racchiuso all’interno della pianta, la quale non è altro che un’allegoria della figura umana, portata allo stremo dalla società attuale. Nelle sue opere più recenti, invece, assistiamo a un momento di transizione verso una pittura arcaica e primitiva con riferimenti all’arte africana. I quadri di quest’ultima fase diventano più somiglianti a veri e propri arazzi dipinti: il primo rimando è ai batik africani in cui è preponderante l’uso dei pigmenti terrosi. Qui, ancora una volta, la figura umana non è mai presente. La pianta e la sedia sono sostituite da vasi antichi dalla forma prevalentemente allungata e da animali dalle forme preistoriche. È la sensazione primordiale a contraddistinguere le opere di questa ultima fase. Il processo artistico ha inizio con la fase dell’autoproduzione e autocostruzione, è una fase meditativa in cui l’artista comincia a nutrire e curare la sua idea. Nei lavori di Proietti, il legame con il reale si fa fugace, la dimensione temporale è dissolta in una sensazione di immobilità transitoria mediante la creazione di ambienti sospesi e onirici. Il modus operandi di Andrea è puro istinto, non predispone schemi logici. Talvolta non imposta nemmeno una bozza preparatoria.
Nelle sue tele emerge, come scrivi nel tuo testo critico: “un’analisi introspettiva per dare voce alla sua natura originaria”, una sensazione primordiale che attira l’artista tra assenze e presenze. Ci puoi spiegare più nel dettaglio questo aspetto?
Forse a questa domanda può rispondere solo Andrea, ma ci proverò. Con le sue opere, Andrea ci mette di fronte a una pittura mentale che cerca di rappresentare non solo ciò che ci è dato vedere, ma anche tutto ciò che manca. In tal senso la figura umana non è mai presente nei suoi lavori, e questo credo sia significativo. Il suo intento è di rendere visibile all’osservatore un aspetto non immediatamente percepibile: l’emotività. E in questo, mi sento di dire che il suo lavoro è estremamente efficace. La sensazione primordiale così forte e presente nelle sue ultime opere è per l’artista il metodo migliore per raccontare quello che sente. La sua arte non è forzatura ma impulsività e immediatezza primaria.Attraverso quest’ analisi introspettiva l’artista smette di chiedersi “chi sono” per dare inizio a una riflessione sul modo in cui egli stesso si rapporta con la realtà. Con grande maestria Proietti riesce a cogliere un’essenza pittorica che, a suo dire, interpreta ciò che egli stesso non sa pronunciare e nemmeno pensare.
Ci racconti infine della collaborazione con lo studio SanTaLex?
Si, allora un giorno mi è arrivata questa proposta da parte di Olav, amico di Leonardo, il mio compagno, che aveva appena aperto uno studio di avvocati. Il suo desiderio era quello di organizzare dei vernissage negli spazi dello studio. Fin da subito la sua richiesta mi è sembrata interessante e curiosa. Trovo molto bello il fatto che uno studio legale si apra a delle esposizioni artistiche e che sostenga l’idea di portare l’arte fuori dai percorsi tradizionali e fuori dagli spazi abituali. Attraverso queste esposizioni si vuole dare spazio agli artisti e quindi consentire un dialogo tra l’arte contemporanea e chi frequenta lo studio. Mi sembra interessante anche il fatto che delle esposizioni avvengano in uno spazio di questo tipo poiché può essere visto come un luogo sicuro per l’arte, per tutti quegli aspetti che fanno parte del Diritto dell’Arte.
Foto di Giulio Boccardi
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