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March 31, 2023

Passano le nuvole e si copre la luna di miele.
Silvia Argiolas alla Galleria Deanesi di Trento

Francesca Fattinger

Volti, corpi, parole, oggetti, animali, stralci di vita che si avvinghia, si confonde, emerge e scompare, colori accesi e urlanti, che ti mettono faccia a faccia con interrogativi ed enigmi in continua trasformazione. Contraddizioni che hanno la stessa carne di chi le guarda, di chi, messo spalle al muro davanti alla loro evidenza, vi si immerge, e che proprio grazie a questo, si riconosce. Ecco cosa sono state per me le opere di Silvia Argiolas, ora ospitate alla Paolo Maria Deanesi Gallery di Trento per la sua prima mostra personale. Una pittura divertita e raffinata la sua, che mette insieme in modo originale una memoria coloristica fauve con la deformazione grottesca dell’espressionismo. Una pittura libera e liberante, nel suo processo così come nei suoi esiti, che mescola livelli e mondi, per farci infine entrare in contatto con presenze totemiche, arcaiche, quasi sacre. Può la pittura tentare di sabotare il mondo, svegliarci da una paralisi, darci una scossa? Penso che i dipinti di Argiolas ne siano la prova.

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Ne ho parlato con il curatore della mostra Federico Mazzonelli che mi hai guidato tra le tante sfaccettature dell’artista.

Una dimensione espressiva quella di Silvia Argiolas in cui il corpo è sottoposto a una continua gestazione che lo modifica, lo stravolge, lo copia e lo ricrea: un lavoro in quella che definisci una “direzione non pacificante”. Il corpo inserito in un processo artistico in cui è la contraddizione ad avere un ruolo centrale e in cui l’elemento biografico c’è ma è sublimato. Quale rapporto esiste tra il tema corpo e quello delle contraddizioni e del “non pacificante” nelle opere dell’artista?

Il lavoro di Silvia Argiolas è un lavoro diretto, viscerale, senza concessioni; è un lavoro sincero, nel senso che nasce da una necessità poetica ed espressiva autentica, profonda, e in tal senso porta con sé non solo le sue passioni e le sue convinzioni, ma anche le sue ferite, le sue contraddizioni. Tale atteggiamento, inevitabilmente, fa saltare le gerarchie, o meglio, le ridefinisce: il bello e il brutto, il sublime e l’abbietto, l’alto e il basso, convivono, si nutrono l’uno dell’altro. Il corpo è un banco di verifica importante, è il luogo che segna, per ognuno di noi, la fine e l’inizio del rapporto con la realtà. Possiamo muoverlo, espanderlo, svuotarlo, farlo risuonare o farlo tacere, possiamo farne oggetto di venerazione o di ingiuria, accrescere la sua sensibilità o anestetizzarlo. Argiolas nei suoi dipinti sembra attraversare le molte dimensioni che il corpo può assumere; in tal senso ho scritto di una visione “non pacificata, non pacificante”.       

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Guardando le opere esposte nella mostra “Passano le nuvole, si copre la luna di miele” ci si sente davanti a corpi, oggetti e spazi in cui agiscono una serie di livelli simbolici intrecciati, “quadri votivi” da cui straborda la natura, la fisicità, la vita, la sensualità.  Nel tuo testo parli in questo senso di una dimensione del sacro, ce ne vuoi parlare? 

La dimensione del sacro è uno degli aspetti ricorrenti nella sua pittura. Può manifestarsi nella semplice riproposizione di iconografie più o meno note, prelevate dalla storia dell’arte, dalla narrazione biblica, dal repertorio archeologico, dalla tradizione sciamanica e cosi via. Oppure può diventare componente essenziale del dipinto, dal punto di vista simbolico e comunicativo, e mi riferisco in particolare alla ripresa di soggetti legati alla figura della Grande Madre. In questo culto, forse il più antico della storia dell’uomo, si esalta la figura femminile come forza creatrice, si celebra il mistero della nascita, della rigenerazione, della ciclicità del tempo e della natura. Nei lavori della Argiolas il corpo femminile è sottoposto a continue metamorfosi, ma spesso assume forme totemiche dai tratti stilizzati e sintetici, o dagli attributi femminili accentuati, quasi si trattasse di idoli portatori di forze magiche ed ancestrali.      

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La letteratura e la poesia trova spesso spazio tra le opere dell’artista, penetra gli strati della pittura ed emerge accompagnando i titoli delle opere o confondendosi tra le pennellate, quasi fossero stralci di un diario quotidiano e intimo. Ci spieghi il ruolo della parola nella pratica dell’artista? E un’ultima curiosità: qual è il senso del titolo, ha a che fare sempre con questa relazione intima parola-pittura?

Silvia Argiolas frequenta con passione la letteratura, il cinema, la poesia e tutto finisce per condensarsi nel suo lavoro, al pari delle suggestioni che nascono durante i suoi viaggi, tra i luoghi e le persone che di volta in volta incontra. Credo che con la poesia abbia un rapporto molto intimo e credo sia per lei qualcosa di indispensabile, nutrimento quotidiano. Tra i suoi poeti preferiti Dario Bellezza e Valentino Zeichen. Anch’io leggo molta poesia e condivido con Silvia l’amore per Zeichen, lui che definiva il treno una chiusura lampo che fila sui binari.  Il titolo della mostra è semplicemente la citazione di una poesia di quest’ultimo, poeta ironico e appassionato, classico e modernissimo; queste nuvole che passano (veloci e leggere), un’immagine che ricorda un quadro impressionista, e poi la luna che si copre di miele, come in una pubblicità dei biscotti per bambini… piaceva ad entrambi e cosi l’abbiamo scelto.   

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Foto courtesy of Paolo Maria Deanesi Gallery

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