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March 15, 2023

DIALÉCTICA: la mostra dialogica tra gli artisti Cappelletti e Nehmzow

Stefania Santoni

Inaugura il 10 marzo alle 18.00, a Palazzo Roccabruna di Trento la mostra d’arte Dialâctica, una “doppia” esposizione personale di due artisti, il trentino Mauro Cappelletti (1948) e il pittore berlinese Olaf Nehmzow (1949), a trent’anni dal loro primo incontro, avvenuto proprio in Trentino. Dialéctica, curata da Remo Forchini, mette al centro dell’esposizione un originale incontro dialogico tra i due artisti nello spazio intimo delle loro tele, in un tempo che transita tra il qui e ora, partendo, tuttavia, da lontano. I testi dell’esposizione sono a cura di Toni Toniato, artista, poeta, storico e critico d’arte e di Emanuela Rossini, esperta in politiche di mediazioni linguistiche e culturali. E proprio con Emanuela ho avuto il piacere di chiacchierare e di sviscerare con lei come è nato questo percorso, al tempo stesso artistico e spirituale, fatto di relazioni profonde, intime e interpersonali.IMG-20230312-WA0027 Emanuela, mi racconti come nasce il progetto Dialéctica, che mette in connessione i due artisti, uno berlinese e l’altro trentino?

Da un incontro, come spesso accade. Trent’anni fa l’artista berlinese, Olaf Nehmow si trovava in Trentino per una residenza artistica e ha conosciuto l’artista Mauro Cappelletti. Un’amicizia che si è mantenuta viva nel tempo, seguendo le diverse geografie culturali ed estetiche di ognuno dei due artisti. Poi è arrivata una mostra alla Biennale di Venezia, curata da Remo Forchini, che ne ha suggellato il legame artistico e da qui è nata l’idea di un’esposizione congiunta in Trentino, a trent’anni di distanza, per fare il punto sull’evoluzione artistica dei due amici: un luogo simbolico per un incontro artistico simbolico. 

L’amicizia che lega Nehmzow-Cappelletti è personale, ma soprattutto generazionale. Entrambi hanno attraversato in questi trent’anni, un’epoca davvero densa di svolte storiche e cambi di paradigmi, anche radicali: dalla Guerra Fredda alla caduta del muro di Berlino, dalla globalizzazione alla rivoluzione tecnologica, che ha invaso ogni settore del vivere, una guerra multi-dominio con le sue fratture geopolitiche, la crisi energetica connessa alla crisi di un modello economico globale. Il tempo presente spinge verso nuovi approcci e nuove etiche di vita, alla ricerca di un equilibrio, sapendo che dalle tempeste ci si salva se si rimane flessibili ed adattabili. Come reagisce l’arte alla temperatura di questi cambiamenti, che sono anche dei mindset culturali? Questa è la domanda che mi sono posta quando il curatore Remo Fortini, lo scorso settembre, mi ha chiesto di costruire un concept culturale per una mostra con i due artisti.

 Quale è stato il tuo ruolo nel riattivare la “dialettica” tra i due artisti? 

E’ stato inizialmente di “ascoltatrice”curiosa e attenta nel cogliere le sinergie e le visioni dei due artisti. Anche perché non sono una curatrice d’arte, ma una linguista e semiotica. Mi interessa analizzare e smontare i fenomeni culturali per studiarne la loro correlazione con ambiti di riflessione più ampi. E ciò che mi ha attratto è stato leggere nell’arte dii due artisti come Nehmzow e Cappelletti – che per trent’anni hanno lavorato con grande rigore analitico e commitment personale, interrogandosi e misurandosi con i cambiamenti – una prospettiva per l’essere umano. Come ci salviamo da tutte queste crisi? Cosa trattenere del passato? Quale prospettiva privilegiata possono offrirci questi due artisti, con il loro percorso creativo fatto di scelte e ripensamenti, sempre misurandosi con un’arte che richiede una propria ragione d’essere e cerca una coerenza interna, profonda, mentre il mondo capovolge principi e visioni sull’essere umano, tra uomo e donna, tra natura e tecnica, tra culture che si mescolano e la continua ricerca di identità dell’essere umano? Si può dire che la mostra è stata un pò un tentativo di risposta alla molteplicità di questi interrogativi.IMG-20230312-WA0028Quale è, dunque, il concept curatoriale che sta al centro della mostra?

Il concept si basa proprio – come dice il titolo – sulla centralità della “dialettica”, sul confronto, declinato a più livelli: quello artistico, interno alla mostra, tra un prima e dopo nel percorso creativo e professionale degli artisti; quello speculare tra le estetiche di due colleghe e amici che, nello stesso periodo storico si sono evoluti in rapporto ai tempi, pur senza cambiare o tradire loro stessi; infine, quello più importante: il confronto tra i visitatori e le opere. E quest’ultimo, se attivato, tramite una partecipazione curiosa e attiva alla mostra, potrà riservare ai visitatori uno stimolante coinvolgimento intellettuale ed emotivo. 

Quanto è importante, per te, la cura della parola, anche in rapporto all’arte figurativa?

Questa è esattamente una domanda che mi sono posta: quale apporto può dare la parola all’arte figurativa? Posso arrivare a spiegarne gli intenti e individuare categorie estetiche proprie del linguaggio dell’arte? No, perché non sono una critica d’arte. Oppure posso forse ricorrere alla narrazione dei processi? Il “dietro le quinte” dell’opera degli artisti è un ambito che mi interessa da tempo ed infatti con entrambi gli artisti ho esplorato le note, le interviste, dialogando – per esempio – con Cappelletti sulla sua pratica artistica; in generale, entrando in punta di piedi dentro il loro racconto sul processo creativo, per quanto questo rimanga sempre una “black box”, in parte imperscrutabile anche a loro stessi… Infine, con la parola si possono creare correlazioni tra i vari sistemi che formano la cultura. E su questo piano mi sono mossa, disegnando nel piccolo ma prezioso catalogo della mostra una correlazione tra i segni dell’arte e la cultura del tempo.

E così:  nell’arte di Olaf Nehmzow, troviamo i suoi attraversamenti culturali che trasformano i materiali che usa, oggetti carichi di memorie e tracce di incontri, sottoponendoli in studio alla pressione (e passione) di una ricerca di identità. La sua arte ci riporta la fotografia di un presente denso di sfide. Saremo in grado, con i trend demografici attuali in declino precipitoso, di mescolarci tra culture? Sapremo trovare un modus vivendi per gestire, tra legalità e necessità, i flussi migratori inarrestabili, se continueranno i conflitti nel mondo? L’arte di Nehmzow si pone quesiti forti come questi: in particolare è centrale la domanda su chi siamo noi oggi, europei in relazione al mondo. L’artista vive la necessità di mescolarsi con altre culture per combattere “una lotta” con se stesso attraverso il processo creativo, fino a creare sulle sue tele veri e propri “corpi” meticciati e attraversati dalle esperienze culturali, necessarie per rinascere o semplicemente esistere, in questo mondo interconnesso.Mauro Cappelletti_04   

Nell’opera di Mauro Cappelletti assistiamo ad un percorso che parte da un grande rigore analitico sulla percezione del colore, proprio della sua prima fase di astrattismo concettuale, per arrivare nelle tele più recenti ad un ordine infranto, con il colore sempre in transizione, modificato dalla capacità di assorbimento del materiale della stessa tela. L’arte dialoga con la natura; a sua volta l’oggetto stesso della visione – il colore, la luce, il frame della tela – non è più certo. Dai bordi e dal centro della tela entrano luci provenienti da dimensioni esterne alla tela, oscillano i confini rigidi dello spazio pittorico e si alza il sipario su un “oltre”, sfuggente e vibrante. La pittura di Cappelletti sembra giungere all’approdo a cui sono giunte le neuro-scienze oggi, ovvero all’assunto che non esiste una realtà ma tutto è frutto della nostra percezione.

Credits: (1) Olaf Nehmzow, Einzige Begegnung (Unico incontro), 2008, Collage e olio su tela (2,3) Le sale della mostra Dialéctica a Palazzo Roccabruna, foto di Remo Forchini (4)  Mauro Cappelletti, Quando il colore respira, 2022, Acrilico su tela.

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