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March 7, 2023
Scatti di un’Italia perduta alla Galleria Civica di Trento
Francesca Fattinger
Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
Cesare Pavese
Mauro Francesco Minervino, nel catalogo della mostra “Paesi perduti. Appunti per un viaggio nell’Italia dimenticata” alla Galleria Civica di Trento, cita la frase scritta qui sopra, con cui Cesare Pavese iniziava “La luna e i falò”, e queste parole mi sembrano perfette per introdurre questo percorso espositivo: un tentativo per fotografie e per parole di farci fare i conti con una serie di luoghi comuni che riguardano la vita dei paesi, evitando la controproducente retorica dei borghi. Un’esposizione infatti che non mostra i paesi come cartoline magiche e nostalgiche, ma che sa calarsi nelle crepe, nelle contraddizioni, nelle mancanze, e farci entrare in esse con occhio critico e poetico.
La Galleria Civica di Trento si inserisce con questa mostra video/fotografica curata da Gabriele Lorenzoni e con il suo catalogo ricco di saggi e testimonianze nel dibattito sulle complesse dinamiche che, intrecciando fattori antropologici, sociali ed economici, portano all’abbandono di ampie zone del Paese, offrendo il linguaggio dell’arte contemporanea come lente di indagine. Ecco che i buchi neri sulla mappa dell’Italia, i luoghi fantasma dell’abbandono che vengono risucchiati dal tempo, si fermano e si congelano, entrano sotto questa veste nell’occhio di fotografe e fotografi che hanno intessuto con loro un fitto dialogo che offrono a noi osservatrici e osservatori per farlo proseguire.
Il termine “paese” non può indicare solo un accumulo di case, un mero dormitorio in cui dormire solamente per poi scappare altrove, dovrebbe rappresentare l’insieme di individui che vi risiede, essere ricondotto al “fare comunità”, al rapporto che tale comunità ha con il luogo in cui risiede, con il paese che abita e che abita lei in un rapporto reciproco, vivo e per questo in continua trasformazione. Ma la realtà dei fatti è ben diversa e cioè che il territorio italiano, anche se percorso da differenze economiche, sociali e culturali, è accomunato da questo tema tanto urgente quanto raramente affrontato dall’agenda politica: è un territorio che, nelle sue aree lontane dalle grandi città e dalle principali vie di comunicazione, è soggetto a un grave spopolamento, con alcuni casi di abbandono vero e proprio. E non si tratta solo di parlare di numeri di paesi abbandonati, ma anche di soffermarsi su un aspetto più qualitativo: sono luoghi in cui sono le relazioni umane a deteriorarsi sempre di più, dando vita a dinamiche estremamente dannose di isolamento, solitudine e infine di scomparsa di intere comunità.
Una mostra quella ospitata alla Galleria Civica in cui fotografie e parole si intrecciano, in cui alle pareti i vuoti e i pieni tra le lettere si intrecciano con i pieni e i vuoti delle immagini; sono racconti e punti di vista che uno di fianco all’altro vogliono dare spazio alla discussione. Franco Arminio è una delle voci che prende parte a questo dibattito silente tra le pareti delle sale e visitatrici e visitatori che vi si aggirano davanti e attorno; una voce importante la sua, sia per la sua visione poetica sia per la sua “paesologia”.
La paesologia è una via di mezzo fra l’etnologia e la poesia. Non è una scienza umana, è una scienza arresa, utile a restare inermi, immaturi. Ma è anche un dolore che combatte, aggirandosi senza fine nelle proprie rovine e in quelle degli altri.
Franco Arminio
Che cosa fa quindi la paesologia? Indaga quei luoghi che nel giro di poco tempo sono destinati a scomparire dalle mappe ufficiali, perché piccoli o poco interessanti ai più. Quell’azione di indagine, quel “dolore che combatte”, è già di per sé un tentativo di mettere in salvo, è atto di valorizzazione, possibilità di dare voce a quelle rovine mute, e calarsi, come racconta Silvia Camporesi, ospitata con le sue opere nella prima sala del percorso espositivo: “in una riscoperta dell’insolito, del desueto, portando a una nuova idea di misura, di velocità e di senso”.
Prendetevi un tempo lento per vedere questa mostra, prendetevi un tempo con qualcuno a cui volete bene per poter fermarvi e soffermarvi davanti alle fotografie e guardarle nei loro dettagli. Prendetevi un tempo silenzioso per poter sentire i racconti che da sole e insieme sussurrano; per osservare i richiami tra loro, per vedere gli scarti, le contraddizioni, le differenze, per riversare le immagini dentro di voi come racconti a più voci. Le fotografie di Silvia Camporesi, tanto rarefatte, quanto incisive, con il suo “Atlas Italiae”, un lavoro che racchiude due anni di esperienze sul territorio italiano alla ricerca errante di luoghi abbandonati di cui essere testimone, è solo l’inizio del percorso che ospita fotografie di Gabriele Basilico, Flavio Faganello, Paolo Simonazzi e Italo Zannier e i video di Vittorio De Seta, Franco La Cecla, Patrizia Giancotti. Oltre duecento scatti fotografici e quattro opere video che ci mostrano il nostro paese dagli anni Cinquanta fino a oggi.
Ricordatevi che la mostra chiude il 12 marzo, affrettatevi quindi a ritagliarvi il vostro tempo lento per immergervi in un viaggio suggestivo in luoghi a tratti familiari, a tratti inusuali, per interrogarvi su cosa voglia dire abitare consapevolmente un territorio, cosa significhi l’isolamento, la desolazione, l’invisibilità e cosa voglia davvero dire per voi essere comunità, abitarla e trattenerne la memoria.
Foto: exhibition view di Jacopo Salvi, courtesy Mart (1); Silvia Camporesi, Fabbrica – Ficarolo (Veneto), 2013-15, ciclo Atlas Italie, Courtesy artista (2); Gabriele Basilico, Rabbi, località San Bernardo, 2003, Mart, Soprintendenza beni culturali (3); Paolo Simonazzi, Fontanelle di Roccabianca (PR), 2007, dal ciclo Mondo Piccolo, courtesy artista (4); Italo Zannier, Stalla, 1956, Courtesy l’artista (5); Flavio Faganello, Partita a bocce su strada carrozzabile, 1961, Soprintendenza beni culturali (6)
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