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February 6, 2023

Borderline: la mostra di Eleonora Buselli curata da Francesca Fattinger

Stefania Santoni

Perché le nuvole hanno i bordi 
e seguirli è scompiglio. 
Perché i bordi del mondo sono tutti nuvolosi.
Chandra Livia Candiani, “La domanda della sete” 

Nella meravigliosa cornice della Sala Thun di Torre Mirana a Trento ha inagurato il 4 febbraio “Borderline”, la mostra personale di Eleonora Buselli, giovane artista trentina che espone in questa sede una serie di opere di fiber art e di collage che invitano visitatrici e visitatori a immergersi nei propri bordi, a interrogarli e magari a ricomporli. Visitabile fino al 12 febbraio la mostra vuole essere un’occasione, tramite un allestimento giocoso e alternativo, di far dialogare le opere con lo spazio e con chi avrà voglia di mettersi in relazione con loro. E proprio lʼaltro giorno, durante lʼinaugurazione, ho avuto modo di chiacchierare con Eleonora e Francesca.foto allestimento 1

Partiamo dal titolo, “Borderline”. Come nasce e a che cosa sʼispira, Eleonora?

Il titolo “Borderline” nasce dal doppio significato del termine inglese ovvero “linea di confine” e come aggettivo “limite fra due condizioni definite” cui ho aggiunto il significato per assonanza alla parola italiana bordare ovvero orlare in riferimento al fatto che in questa mostra presento per la prima volta le mie opere di arte tessile. Lʼidea è quella di rompere il concetto di confine, nelle opere di arte tessile facendo debordare i fili dal limite fisico della cornice per entrare in relazione con lo spettatore e l’ambiente circostante e nei collage dove il limite tra un’immagine e un’altra diventa apertura e punto d’incontro. Dall’altra parte vuole chiamare fuori dalla visione di genere la donna sia da quella di madre, casalinga e sposa o quella di corpo in vendita sia anche dallo stigmatizzare del femminismo con i suoi dogmi su cosa vuol dire essere femmina. Svincolata quindi anche dalla definizione di genere, donna come persona che è soggetto e oggetto in una scelta libera e cosciente.

Mi racconti del tuo modo di fare arte e di concepirla?

Il mio stile artistico è sicuramente ancorato al mio tempo, ovvero quello dellʼimmagine, di internet e dei social. Quindi nel mio fare arte l’uso del collage è il tentativo di creare un’arte a partire dal linguaggio visuale di quest’epoca attraverso l’uso di una tecnica divenuta arte grazie alla sperimentazione visiva che, agli inizi del Novecento, inserisce nel proprio linguaggio espressivo le Avanguardie artistiche. Proprio dal legame con i social nasce la mia predisposizione ad usare anche la mia immagine nelle opere; quindi dal selfie all’arte, anche se il passaggio non è semplice perché richiede appunto l’idea di un concetto e di unʼestetica. Nell’approfondire la tecnica dei collage a persiana mi sono avvicinata a quella che viene definita arte cinetica che mira a studiare e sperimentare il fenomeno della percezione visiva e del movimento. In pratica se nel futurismo l’idea era quella di rappresentare il movimento – si pensi all’opera Dinamismo di un cane al guinzaglio di Giacomo Balla – nei collage a persiana per cogliere l’immagine che racchiudono e il suo movimento lo spettatore è chiamato a muoversi a far scorrere l’opera nel suo campo visivo. E questo per me è molto importante perché uno dei miei riferimenti artistici è il gruppo Fluxus con la sua idea di spettatore come soggetto attivo, chiamato a interagire con l’opera o la performance in atto.

 Qual è il concept e il ritmo della mostra, Francesca? Come sono stata raggruppate le opere?

Il concept dellʼallestimento è nato piano piano e sicuramente è partito dal titolo. Quando Eleonora mi ha rivelato il titolo che aveva in mente mi si sono illuminati gli occhi perché conteneva due concetti a me molto cari, quello di bordo e di linea. Due temi che ho cercato di rimettere in gioco per trovare una nuova strada tra e nelle opere dellʼartista. I bordi e le linee di Eleonora sono difatti molto evidenti: si tratta di confini che lei ci invita a superare, ogni volta che taglia e incide unʼimmagine e la fa rientrare in unʼaltra immagine. È così che ogni rottura, ogni crepa diviene un ponte, una possibilità di unione tra due immagini creando in questo modo orizzonti di senso sempre nuovi e più ampi rispetto a quelli di partenza. Talvolta possono essere anche disturbanti: ho scelto, selezionando le opere, tante di queste immagini in cui cʼè lʼistinto, la carne, la donna in tutta la sua energia e lʼartista stessa che si pone tra i suoi lavori e ci guarda negli occhi con i propri bordi. Per quanto riguarda il ritmo, con Eleonora abbiamo scelto di creare delle sezioni non definite, se non il cuore centrale dellʼallestimento in cui si trovano le opere di fiber art con il filo rosso. Nelle altre pareti, difatti, tutte le opere si mescolano cercando di originare legami da un punto di vista cromatico e simbolico tra lʼuna e lʼaltra: è una corrispondenza non obbligatoria, ma piuttosto generativa e personale che può variare liberamente a seconda degli occhi di chi osserva. Inoltre, sul pavimento Eleonora ed io ci siamo servite di una linea nera molto netta ad impatto visivo con cui abbiamo creato un percorso non percorso: come nella vita ci ritroviamo spesso a seguire itinerari imposti e che non abbiamo scelto, così nel nostro allestimento abbiamo sì creato dei percorsi, ma che ci conducono al vuoto tra unʼopera e lʼaltra, a una finestra, a un muretto. È quindi un percorso fondato sulla libertà, sul coraggio di disorientarsi, di uscire dalle proprie linee, di disobbedire.  parete 1_3

Le opere con il filo rosso lo ricordando Maria Lai e i fili delle Janas sarde, le parenti delle nostre Giane. Vorresti approfondire quest’aspetto?

Abbiamo scelto di collocare le opere di fiber art nel cuore palpitante della mostra. Sono opere palpitanti, queste, il cui filo esce dalle cornici, si muove al passaggio o soffio delle persone che hanno il coraggio di avvicinarcisi: tutto questo fa sì che si crei un legame diretto ancora più esplicito rispetto al solo sguardo dell’osservatore o dell’osservatrice. I fili per me sono molto importanti: li ritrovo sempre di più nella mia ricerca nellʼambito della storia dellʼarte, come appunto Maria Lai. Per me lei è stata e continua a essere una maestra: le sue opere che più hanno parlato e toccato sono quelle in cui la tessitura riesce a diventare un modo per cancellare e distruggere quella scrittura fatta di parole già codificate e trasformandosi in opportunità di nuova riscrittura che ci offre la possibilità dellʼapertura di una nuova strada, di un senso differente. Maria Lai ci lega a una tradizione di donne fate e tessitrici con dei poteri di grande sensibilità e connessione: allo stesso modo, i fili di Eleonora uscendo dallʼimmagine creano una connessione con il nostro mondo, con il nostro personale immaginario. Quel rosso è energia demiurgica, è maternità: crea energia e al tempo stesso trattiene in sé grande sofferenza che mette in crisi una situazione consentendo unʼevoluzione. 

Un’ultima domanda. È la tua prima esperienza di curatela, questa, e io ci respiro la tua anima poetica. Comʼè stato prendersi cura di questa mostra, Francesca?

Ho voluto essere molto coerente con me stessa nel fare questo lavoro di curatela per Eleonora. Curatela contiene in sé la parola cura: è prendersi cura di una persona, di unʼartista in questo caso, del suo mondo e del suo immaginario per farlo emergere di più elevandolo (così da far vedere allʼartista fino a dove esso può spingersi) o abbassandolo (per renderlo più vicino alle persone che lo guardano). Ho cercato di coniugare le mie competenze con quello che sto studiando in questi anni: sicuramente la mia anima da mediatrice artistica o da scrittrice di poesia (amo definirmi un’artigiana delle parole) ho provato a prendermi cura di Eleonora e della sua arte, sperando che questo sia solo il primo passo di una nuova avventura per trovare altri mondi e dar vita a nuovi racconti. 

foto allestimento 4

Images: Eleonora Buselli, Antonio Nazzaro

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