“La dittatura dell’amore” di Antonio Nazzaro: resta solo una domanda, come si piangono i vivi?

svaniranno d’improvviso tutte le immagini
dietro il tuo sguardo
quelle che mi vedevano bambino
e che non ricorderò più
e quelle della vita tua e mia
che mai ci siamo detti (…)
Antonio Nazzaro
Amore dovuto e amore libero, amore libero e amore dovuto, un’altalena continua su cui ci lasciamo cullare, ingannare, abbracciare, ammanettare, può l’amore essere libero o se liberato si perde, si disperde, ci disperde? Leggere “La dittatura dell’amore”, l’ultima raccolta poetica di Antonio Nazzaro per Delta 3 Edizioni, dopo la presentazione all’Associazione culturale “Antonio Rosmini” di Trento, è stato un incontro a tu per tu con me stessa, con le mie paure, con i miei vuoti, con le mie dittature. È stato come entrare in punta di piedi nella vita di Antonio, nel diario dei suoi giorni e avere il permesso di spiarci dentro accompagnato dalla sua voce calda, a tratti morbida, a tratti ruvida, a tratti urlata, a tratti sussurrata, a raccontarci il suo viaggio sull’orlo dell’addio.
(…) non resteranno le tue parole e come le poesie si
[perderanno
non ci saranno più i luoghi comuni nostri
Un viaggio a due, un dialogo continuo tra la madre e il figlio, tra il presente e il passato, tra la memoria e l’oblio, in cui il racconto della lenta scomparsa è un’occasione per raccontarci la loro storia, una storia scritta tra le Alpi e le Ande, ma anche un’occasione continua di riscoperta del legame intimo che la natura ha con noi, esseri umani, minuscoli tessitori delle sue trame infinite. Così la narrazione a versi spesso inizia o comunque contiene un riferimento al tempo, alla natura, alle foglie, alle nuvole “impigliate” che si spargono e si radunano, si versano sul pavimento e si fanno “cielo canterino”, come i ricordi di Antonio e di Zambonina, tra mani che curano e mani che cullano, tra sorrisi regalati e lacrime pesanti, tra urla disperate e respiri sommessi, tra carezze indelebili e baci sulla fronte a rispettare i solchi del tempo.
(…) al tuo scomparire inevitabilmente
scompaio anch’io
Le parentesi con la data alla fine di ogni poesia trasformano ogni pagina in una bolla temporale, in un abbraccio che stringe e che accoglie, in una stretta che non vuol far volare via i ricordi, ma che li trasforma in parole, per tenerli stretti a sè, per conservarne anche i vuoti, perché “il vuoto delle parole è il sottovuoto dell’anima”. Così nel leggere i versi mi ritrovo anche io a riempire i vuoti della pagina, le pause tra i versi; gli a capo si affacciano sulle strade della mia vita, sulle vie tentate, quelle sbagliate, quelle dimenticate e quelle ancora da venire. Di fronte a quei bivi non posso che lottare assieme al poeta per trattenere una lacrima, un lamento soffocato.
Mentre leggo i versi di Antonio sono in treno, ho davanti a me una donna incinta che si accarezza la pancia e le parole sulla pagina sembrano farsi ancora più palpitanti, più vere, più necessarie: sono espressione della voce di un figlio che si trova ad affrontare una delle battaglie più umane e più difficili, lasciar andare la mano della madre. Ci ritroviamo così soli come solo è il poeta nel suo mare immenso, come “barca non senza porto / ma senza ancora”, in balia di una tempesta così immensa come la vita, così straordinaria come la morte.
(…) eppure aspetto la tua morte come una
[liberazione
come un oblio
Un viaggio nei ricordi che tra i versi, oltre ad accompagnarci a conoscere il poeta e sua madre, ci presenta il padre di Antonio, fotografo e autore delle foto che sono disseminate tra le parole di quest’articolo, e la sorella Daniela che “mai ha saputo di avere un fratello”. Leggere Antonio Nazzaro, giornalista, poeta, traduttore, video artista e mediatore culturale, è come fare un viaggio nel tempo e nello spazio, come sostare davanti a uno specchio e imparare a riflettersi; in questa raccolta sostare tra le sue parole è l’occasione per “vivere la morte come qualcosa di vivo e che vale la pena di essere vissuto” e raccontato.
la memoria accoppia vivi e morti
sogni e storia
(18 aprile 2022)
Foto di famiglia di Vittorio Nazzaro; la poesia nel testo è tratta da Antonio Nazzarro, La dittatura dell’amore, p. 89